Una lontana estate/II. Sotto il tiro delle bombarde papali
La grande struttura difensiva del torrione di porta S. Pietro fu fondata nel XIV secolo per controllare l’ingresso cittadino, di fronte al Ponte di Tiberio. Nella sua più antica rappresentazione (XV secolo), visibile in un bassorilievo del Tempio Malatestiano, il fortilizio merlato appare alto e possente, in grado di dominare il territorio e, in particolare, il porto sul Marecchia. Nelle immagini più recenti tuttavia, sino a quelle di poco precedenti la sua distruzione (XIX secolo), la torre si vede ridotta ad una struttura piuttosto tozza, affiancate da altre che sembrano in cattivo stato.
Tra i più alti edifici della città di epoca medievale, il caso della porta di S. Pietro è comunque solo uno di quelli in cui sono (o furono) evidenti segni di un abbassamento o parziali demolizioni. E’ infatti sufficiente dare un’occhiata al campanile del vicino complesso dei Servi per notare chiari indizi di un capitozzamento e di una successiva ricostruzione. Anche nella torre del Palazzo Comunale (detto dell’”Arengo”) emergono tracce di vari rifacimenti in altezza e persino nel campanile di S. Agostino, che mostra ancora un massiccio aspetto trecentesco, si intravedono segni di ristrutturazioni all’altezza della cella campanaria. In realtà, la successione delle torri qui segnalate può essere utile ad evidenziare, in linea di massima, quale fu la traiettoria principale dei tiri sparati dalle “bombarde grosse” - piazzate dall’esercito pontificio nel Borgo S. Giuliano – diretti alle strutture più alte della città, durante l’assedio del 1469. Così riportava il cronista riminese Baldo Branchi, contemporaneo ai fatti: “...stettero a campo tre mesi; bombardonno la Porta di San Piero, tutta la facciata lungo il fiume...et ruppe le mura della Torre; spianò e guastò molte case, la campana del comune, quella dei Frati de’ Servi, et fenno general guasto di fuori....”. Per quanto riguarda il campanile di S. Agostino, sappiamo da altre fonti che fu colpito dal primo tiro delle artiglierie e ancora nel 1487 aspettava di essere adeguatamente restaurato. Sempre i cronisti riminesi parlano di “mille cento ventun colpi sparati dalle bombarde sulla città, senza contare le piccole”.
In realtà, l’assedio riminese, attuato dalle truppe papali per por fine all’ormai precario dominio malatestiano, attirò l’attenzione di informatori e relatori di diversi potentati, impressionati anche dallo sforzo militare messo in campo dai pontifici. Nelle relazioni si trovano commenti stupiti, ad esempio, per il fatto, allora inedito, che i difensori addirittura temessero di sporgersi dalle difese per non essere colpiti da proiettili sparati da armi da fuoco leggere. Il possente fuoco delle artiglierie era comunque solo parte del piano degli ecclesiastici, i quali seguivano una strategia precisa, suggerita da fuoriusciti che ben conoscevano il luoghi. Essi infatti, passati tre giorni dall’espugnazione del Borgo, guadarono in forze il Marecchia in un punto ed in un momento in cui ciò era consentito dalle marea, spingendosi verso la marina ed impadronendosi dell’antico faro di origine romana che sorgeva all’imboccatura del torrente Ausa. Si tentò inoltre di sfondare il muro cittadino ove esso, nel Borgo Marina, era più debole. Ciò che tuttavia il Tesoriere del Papa – a capo delle truppe assedianti – non aveva messo in conto fu la violenta reazione di Roberto Malatesta che, seguito dalla “volontà operosa dei cittadini”, si scagliò coi suoi sui nemici e, come spiega il contemporaneo Gaspare Broglio, “...li andò ad assalire in modo che ne ammazzò più di 50 con molti feriti; e alcuni huomini d’arme anque se anegarono; e cacciolli de fora di tutto il Borgo [di Marina] li quali se ridussero di fora della Porta di S. Nicolò; et così stavano racchiuse tucte quelle genti, che non potivano ritornare per la via che avivano facto del fiume”. Le milizie del Tesoriere, rimaste imbottigliate a mare delle mura cittadine, dovettero aspettare il giorno successivo per guadare nuovamente il Marecchia: aggiunge a tal proposito un altro cronista che “la notte seguente parve mille anni levarsi de lì et le genti d’arme passarono a guazzo al muro a levarsi”.
Da quel che se ne sa, la sconfitta subita indusse gli ecclesiastici ad evitare nuovi scontri frontali, mentre si ha notizia di altre scaramucce dopo le quali Roberto, “coi pochi soldati da piede e da cavallo che aviva” sempre ritornò onorevolmente in città. Per inciso, al di là dei toni celebrativi degli antichi cronisti, si rimane comunque impressionati dall’ardore militare (forse è il caso di parlare di “attitudine alla violenza”?) che si ritrova nei componenti della schiatta malatestiana, sino agli ultimi più degeneri, quasi sempre in grado di tenere in scacco i nemici sulla punta della propria spada e di trascinare nell’impeto i compagni.
Quanto alla città, bloccata anche dalla parte del mare da una piccola flotta da guerra, continuò a soffrire sotto i colpi delle bombarde, mentre l’intero borgo S. Ginesio (attuale borgo S. Giovanni) fu dato alle fiamme, nel timore potesse offrire nascondiglio agli assedianti. In Agosto, quando si era allo stremo delle forze, giunse notizia dell’imminente arrivo delle truppe di Federico da Montefeltro in soccorso ai difensori e finalmente le milizie papali furono costrette a lasciare il borgo S. Giuliano, non senza metterne in atto la piena distruzione: “...fo usata grande disonestà, che nella partita loro abrusarono dicto Borgo; e più ferono gettare gran parte delle mura...”. Dal punto di vista politico, tuttavia, gli stessi meccanismi che avevano trascinato il padre Sigismondo alla rovina, ora, con il loro procedere, si volgevano a favore del figlio Roberto, quest’ultimo sempre accortissimo ad afferrare le occasioni favorevoli. Federico del Montefeltro, aderente alla lega antipapale appena costituita e vecchio nemico mortale dei Malatesti, aveva invece ora interesse a soccorrerli e si dirigeva con i suoi uomini verso Rimini, per la via che scendeva da San Marino. Gli ecclesiastici avevano così dovuto rinunciare all’assedio per andargli incontro, con il loro notevole potenziale militare, trincerandosi a Vergiano. Lo scontro si stava preparando presso Burgazzano, - di rimpetto a Cerasolo, attuale località Zingarina -, lungo il cammino che collega il Titano a Rimini.
Questo evolversi della situazione condusse anche Roberto a lasciare la città con i suoi, per dar man forte all’alleato. Le antiche vedute mostrano i rilievi del contado riminese ben coltivati, con campi e filari di vigne, trapuntati da macchie boscose; nella tarda estate del 1469, tra i declivi di quelle dolci colline, al passo degli armigeri che calpestavano strade sterrate, la resa dei conti si avvicinava.
L. Tonini, Storia di Rimini, vol. V, P. I, , Rimini, 1887, pp. 332 e ss. C. Clementini, Racconto istorico...., vol. II , 1616, p. 499. A. Turchini, La signoria di Roberto Malatesta detto il Magnifico (1468-1482), Bruno Ghigi Editore, Rimini, 2001.
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