Rimini | Nazarat, testimonianza e preghiera in piazza per i cristiani perseguitati
"Sono molto lieto di sapere che non siamo soli, che la Grazia del Signore muove e fa portare i figli di Abramo. Avanti carissimi fratelli ed il Signore vi benedica": è questo il testo del messaggio scritto che monsignor Shlemon Warduni vescovo ausiliare del patriarca di Caldea in Iraq e presidente della Caritas irachena e indirizzato, attraverso Marco Ferrini, agli amici di Rimini del comitato Nazarat che il 20 di ogni mese organizzano, in piazza Tre Martiri, una preghiera per i cristiani e altre minoranze religiose perseguitate in Iraq e Siria. Il messaggio è stato letto giovedì sera prima della recita del rosario davanti a alcune centinaia di persone che hanno anche potuto ascoltare la testimonianza di Maria Acqua Simi, giovane giornalista del Giornale del Popolo di Lugano, che è rimasta per circa un mese tra i profughi cristiani iracheni sfollati nel territorio curdo di Arbil nel Nord del paese vicino ai confini con la Turchia. Oramai sono quasi due milioni. "Una testimonianza breve e toccante" che, ha detto la giornalista senza troppe introduzioni geopolitiche e storiche, ha raccontato storie che l'hanno colpita prima di tutto nell'umanità. Come quella di un monaco 70enne, malmenato e costretto ad assistere in ginocchio all'incendio del suo monastero e alle raffiche di mitra contro il crocifisso. Riuscito a fuggire pur con le osse rotte ha cominciato a girare tra le tende degli sfollati per portare loro conforto e distribuire gli aiuti. Ha raccontato che il dolore più grande e straziante "non è stato vedere incendiare il suo monastero ma quegli spari contro il Crocifisso, contro il mio Gesù". Sono state raccontate anche le storie di due donne, Marya e Haidi, la prima riuscita a scappare col marito e i figli, dopo essere stati costretti ad abiurare pubblicamente la fede cristiana e a convertirsi all'islam. Dice Marya: "Siamo stati costretti ad accettare ma dentro il nostro cuore sapevamo di essere cristiani. Così, subito dopo siamo stati riempiti di cibo, medicine e una casa nuova. Ma ci avevano tolto Gesù e questo non mi dava pace, grazie a nostro zio e persino a due famiglie vicine sunnite siamo riusciti a scappare in Kurdistan". Ha di nuovo riperso tutto e vive in condizioni durissime ma la prima cosa che ha fatto è andare con la famiglia dal sua vescovo per farsi benedire e tornare cristiane.
Poi è stata raccontata la storia di Haidi, fuggita col marito cieco e i suoi 5 figli che ha saputo solo in ritardo dell'arrivo degli uomini del Califfato e nella fuga ha incontrato un posto di blocco a cui però non ha potuto pagare la tassa e così, un miliaziano le ha strappato di dosso l'ultima figlioletta di 3 anni e gliel'ha rapita. Lei e il marito si romproverano ogni giorno di non averla saputa proteggere: "Ogni giorno prego Maria che me la riporti a casa" e rivolta alla giornalista le dice sottovoce che ringrazia Dio perché finora sono rimasti vivi e le chiede di pregare e fare pregare per la piccola figlioletta. Non si tratta, ha detto la giornalista in piazza Tre martiri, di persone deboli; sono spicci e diretti nel denunciare le violenze del Califfato e le inefficienze della comutà internazionale, ma non sono persone angosciate. Bisognose di tutto e addolorate, ma non angosciate. I vescovi e i loro preti, che conoscono bene la loro gente, si adoperano per coordinare gli aiuti, li segnano in registri e stabiliscono priorità.
Per concludere, quelli del comitato Nazarat rinnovano l'invito (oltre alla preghiera) ad aderire alla raccolta fondi per aiutare i cristiani in fuga (alla vigilia di un inverno molto freddo) promosso da Asia News e dall'Avsi.