Il Cocco, Lambiasi e la solitudine dei padri
Fino a qualche anno fa si parlava con insistenza di emergenza educativa. Era diventato quasi un tormentone, che tutti con facilità ripetevano, senza spiegare a fondo cosa significasse e quali fossero i rimedi da applicare per superarla. Adesso non se ne parla più, ma non è che per questa ragione essa sia venuta meno.
Ora, in questa torrida estate, la cronaca ha portato qualcuno a rispolverare la parola educazione. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato il sindaco di Gallipoli, Francesco Errico, che con un tweet ha messo a rumore il Bel Paese: “Se le famiglie esercitassero un po' più di controllo sui figli non morirebbe un 18enne la settimana in disco. Se non sai educare, non procreare”. È stata una reazione a caldo alla morte di un ragazzo diciottenne, avvenuta dopo aver ingerito una bevanda in una discoteca del Salento. Ancora deve essere effettuata l’autopsia che dirà quali siano state le cause del decesso e se ancora una volta si debba tornare a parlare di morte per droga in un locale da ballo. Certo, la concomitanza con i fatti di Riccione ha legittimamente riaperto il discorso su giovani, discoteche, famiglia ed educazione.
Il sindaco di Gallipoli – diciamolo subito con chiarezza – è stato ruvido e irrispettoso del dolore della famiglia del giovane, mostrando l’assenza di ogni sentimento di umana pietà nei confronti di un lutto tanto grave. Non si richiamano le responsabilità educative della famiglia, semplicemente sparando a zero sui genitori.
Diverso, l’approccio del vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi. Intervistato qualche giorno fa dal Resto del Carlino a proposito della chiusura di quattro mesi del Cocoricò, per fargli dire se questa fosse giusta o sbagliata, Lambiasi ha intelligentemente dribblato la domanda per non far rientrare il suo pensiero di vescovo nella fiera delle opinioni favorevoli e contrarie. “Non ho tutti gli elementi in mano e non ho la competenza”, ha detto; allo stesso tempo però sottolineando come la cultura dello sballo nasca da una ricerca di felicità da parte dei giovani, che però la indirizzano verso una meta sbagliata, soli insieme ad altre solitudini in una pista da ballo. E allora cosa fare? “E’ necessario che i genitori dicano dei ‘no’ prima che i loro figli incontrino il ‘Cocco’ di turno. Noi adulti abbiamo abdicato al dovere dell’educazione: è un diritto dei figli. Confondiamo l’educazione con l’addestramento. Insegnare è riempire un secchio, educare è accendere un fuoco”.
Il punto dunque è il ruolo educativo degli adulti, la cui rinuncia è documentata da molti, troppi episodi. Basta parlare con qualsiasi insegnante per sentirsi raccontare che quando un ragazzo è oggetto di un provvedimento disciplinare o porta a casa una pagella con pessimi voti, si trova di fronte al genitore di turno che difende il figlio e accusa gli insegnanti di non capirlo. Lo stesso gestore del Cocoricò ha ricordato di aver ricevuto le proteste di un genitore perché il proprio ragazzo era stato sottoposto ad una perquisizione all’interno del locale, in quando sospettato di avere sostanze stupefacenti.
Ogni genitore trattiene il proprio figlio quando, bambino, si avvicina a una evidente fonte di pericolo. Questa normale reazione, dettata dal senso di responsabilità di chi sa cosa è bene e cosa è male per il proprio figlio, sembra sparire quando i ragazzi diventano adolescenti. Il vescovo Lambiasi ha detto che in mezzo ai giovani e alle discoteche ci vorrebbero più don Oreste. Ci viene allora da ricordare che proprio don Benzi, quando all’inizio degli anni Novanta imperversava lo slogan “educare, non punire”, usato per contrastare l’approccio repressivo al problema della droga, ribatteva con forza che educare è anche punire.
I genitori stessi però vivono in questa società e sono anch’essi facili prede di un malinteso senso di autonomia e di libertà. Ecco perché, tra tutto quello che se ne potrebbe dire, la frase scomposta del sindaco di Gallipoli è anche ingiusta. Perché nessuno nasce sapendo fare il difficile mestiere di genitore ed educatore: è una sfida, un rischio, che ogni giorno madri e padri sono chiamati ad affrontare. La loro autorità a confronto con la libertà e la responsabilità del figlio, e non ci sono ricette che possano stabilire quale sia il giusto rapporto.
Papa Francesco, quando parla di scuola, ricorda spesso che per educare ci vuole un “villaggio”. Ciò che manca oggi è proprio questo “villaggio”. Ci sono i giovani soli, ma ci sono anche i genitori che, sopraffatti dalla solitudine, sono tentati dalla via facile e sbrigativa di provare a fare gli amici dei figli.
Difficile il compito dei genitori se non è sostenuto dalla compagnia di un “villaggio” che per loro stessi sia occasione di confronto e di educazione.