“Sia pace sulle tue mura”. Il vescovo di Rimini Francesco Lambiasi paragona Santarcangelo a Gerusalemme e gli dedica il salmo 122, la preghiera dei pellegrini che si dirigevano verso la città santa posta sul monte. Spiega che pace non è semplicemente assenza di guerra ma pienezza di vita. Si augura pertanto che nella prossima competizione elettore la città non degeneri in un grande ring ma sia una palestra di cittadinanza e di democrazia.
Monsignor Lambiasi inaugura con questo augurio il ciclo di incontri che la parrocchia di Santarcagelo ha organizzato su “Bene comune e pace sociale”, chiamando i relatori, il primo è stato appunto il vescovo, a confrontarsi sui principi per la costruzione di un popolo che Papa Francesco ha indicato nella Evangelii gaudium, il suo documento programmatico.
Il primo è “Il tempo è superiore allo spazio”, una frase che nel pensiero di Bergoglio significa la priorità dei processi rispetto all’occupazione degli spazi di potere. Un’accezione che Lambiasi sposa e snocciola punto per punto agli ascoltatori convenuti nel teatrino della parrocchia. Ciò significa, spiega, “lavorare a lunga scadenza, senza lasciarsi imprigionare nell’immediatismo che paralizza”. Afferma il Papa nel documento: “Dare priorità allo spazio porta a diventare matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione”. Il vescovo non ha fatto alcun riferimento all’attualità politica, dove pure non mancano gli esempi di come, invece che “dar vita a processi che costruiscono un popolo”, “si cercano risultati immediati che producono una rendita politica facile”. Ognuno potrà rinvenire questi esempi osservando la cronaca quotidiana.
Si è invece soffermato a delineare il concetto di “bene comune”, sempre sulla bocca dei politici di ogni colore, ma spesso non compreso nel suo autentico significato. Ha sgomberato il campo da due equivoci. Il bene comune non può essere ridotto alla somma degli interessi individuali. “Se adotto un Prg e poi concedo una deroga ad ogni cittadino, questo non è bene comune”. Non è nemmeno, secondo equivoco, una cornice formale. Il bene comune non richiede semplicemente coordinazione ma cooperazione, gioco di squadra. Citando il compendio della dottrina sociale della Chiesa, spiega che nel costruire il bene comune non basta rispettare la volontà della maggioranza, ma tenere conto anche delle esigenze della minoranza.
Fra le diverse etimologie del bene comune, monsignor Lambiasi mostra di preferire quella che deriva da munus inteso come dono piuttosto che come sistema difensivo. Afferma che il bene comune è la Costituzione, frutto di un accordo fra forze diverse e opposte. Il bene comune, inoltre, è la città, secondo l’accezione di Giorgio La Pira, cioè un luogo dove ciascuno ha una casa per abitare, una officina per lavorare, un ospedale dove guarire, una scuola dove imparare e una chiesa dove pregare.
La politica è servizio al bene comune. Per spiegarlo monsignor Lambiasi cita ampi brani del discorso di papa Francesco a Cesena il 1 ottobre 2017, compresa la frase secondo cui “il buon politico finisce sempre per essere un “martire” al servizio, perché lascia le proprie idee ma non le abbandona, le mette in discussione con tutti per andare verso il bene comune, e questo è molto bello”. Nell’intervento del vescovo non sono mancati i riferimenti a don Oreste Benzi (la società del gratuito) e, come abbiamo visto, a Giorgio La Pira.
Il prossimo appuntamento del ciclo è mercoledì 13 febbraio su “L’unità prevale sul coflitto”, relatrice Cecilia Calandra, magistrato e dirigente scout.