Cosa è cambiato da un anno all’altro? Quasi nulla, tartassati eravamo e tartassati restiamo. È la sconsolante conclusione a cui perviene lo studio condotto dalla Fondazione dei dottori commercialisti sulla pressione fiscale che grava sui lavoratori dipendenti e sugli autonomi. L’unica consolazione è che il dipendente che in busta paga ha un netto di 1.300 euro nel 2015 ha impiegato un giorno in meno per guadagnare ciò che deve allo Stato: 187 giorni invece di 188. In ogni caso ha lavorato fino al 6 luglio per pagare i balzelli che gli rallegrano, si fa per dire, l’esistenza.
Lo studio prende in esame sia le imposte dirette che le imposte indirette, quelle che gravano sui consumi e sui servizi di cui si usufruisce. Le imposte dirette sono le detrazioni Irpef a cui è soggetta la propria busta paga. Di invariato, rispetto all’anno precedente, ci sono solo le aliquote nazionali e l’addizionale comunale (per quanto riguarda il Comune di Rimini) che è rimasta ferma allo 0,3. È invece cambiata l’aliquota regionale: la minima è scesa all’1,33 (ma non riguarda i casi presi in esame) e la massima è cresciuta fino al 2,3. Per l’addizionale comunale c’è in realtà un mosaico: alcuni Comuni applicano aliquote più alte, arrivando anche allo 0,8.
Ma ad alimentare la pressione fiscale non ci sono solo le tasse che ciascuno di noi paga sul reddito. Una quota consistente è data dalle imposte indirette: l’Iva che paghiamo sugli acquisti, il bollo dell’auto, le varie accise della benzina, le iscrizioni alla scuola e all’università, le imposte comunali, le spese sanitarie, e così via. Per l’ammontare delle varie aree di spesa, i commercialisti hanno tenuto conto delle percentuali fornite dall’Istat. Si è fatto insomma riferimento ad un ipotetico italiano medio.
Lo studio ha preso in esame tre ipotesi: Mario, lavoratore dipendente con 1.300 euro mensili netti in busta paga; Giovanni, lavoratore dipendente con 2.400 euro in busta paga; Mauro, lavoratore autonomo con un reddito annuo di 24.500 euro. Tutti e tre vivono in un nucleo famigliare di tre persone (con un figlio che frequenta l’università), hanno la casa in proprietà, possiedono un’automobile di media cilindrata, hanno tre telefonini in famiglia.
Mario paga il 16,3 per cento del proprio lordo per l’Irpef che, contributi assistenziali e assicurativi, sale al 25,4 per cento. La pressione fiscale reale, comprensiva delle imposte dirette, sale però al 51,5. Tradotto in soldoni, per lo Stato e per gli altri enti impositivi lascia 1.050 euro al mese. Dei 1.300 netti in busta paga, gli restano in realtà solo 990 euro al mese. Le risorse sono drenato per il 72,1% dallo Stato, dalle Regione per il 4,3%, dalla Provincia per l’1,3%, dal Comune per il 4,4% e dall’Inps per il 17,8%.
Le cose vanno peggio per Giovanni che pure si ritrova con 2.500 euro netti in busta paga. Questo lavoratore dipendente deve lavorare fino al 18 luglio per pagare imposte dirette e indirette. Se il suo loro in busta paga è di 56.366 euro, ben 30.730 se ne vanno in balzelli vari. La pressione fiscale che grava sul suo reddito è quindi del 54,5 per cento.
E così arriviamo al lavoratore autonomi Marco. Lo studio conferma che la categoria dei piccoli imprenditori (commerciante, artigiano, partite Iva) è quella più vessata dal fisco. Per pagare le tasse deve lavorare fino al 17 agosto, e per carità di patria lo studio non ha tenuto conto di alcuni costi come l’iscrizione alla Camera di Commercio, il contributo obbligatorio al Conai, l’imposta di bollo sui libri contabili, e così via. La pressione fiscale è del 63 per cento, pari ai due terzi del reddito prodotto.
“Rilanciamo – ha commentato Giuseppe Savioli, presidente della Fondazione dei dottori commercialisti – l’urlo disperato dei contribuenti anche quest’anno sottoposti ad un prelievo umiliante. Persiste un modello che esclude ogni ipotesi di crescita, con le Amministrazioni che mostrano l’incapacità di immaginare politiche di sviluppo, di agire per rendere più efficiente e utile il loro supporto a cittadini e imprese, e ancor meno di mettere insieme risultati concreti nel contrasto dell’evasione fiscale. Anche quest’anno abbiamo allargato l’analisi al reddito d’impresa e si conferma il giudizio dello scorso anno: in questo quadro è impossibile trovare qualsiasi motivazione per accollarsi il rischio dell’avvio di nuove attività imprenditoriali”..