Ma allora la Romagna rossa esiste e resiste ancora! Il mito della Rivoluzione del 1917 è ancora saldo nel cuore dei romagnoli. La bandiera rossa probabilmente non trionferà più, ma quella volta che ci è riuscita, rappresenta ancora per molti una soddisfazione e un’emozione a cui non si può rinunciare. Ieri sera, nel sempre stupendo scenario di Villa Torlonia a San Mauro Pascoli, il tribunale popolare (il nome fa molto sovietismo d’antan) chiamato a giudicare, cento anni dopo, la rivoluzione che ha portato i comunisti al potere in Russia e fornito l’abbrivio per la nascita dell’Unione Sovietica, ha decretato l’assoluzione. E lo ha fatto a stragrande maggioranza, senza ombra di incertezze: solo in 195 hanno votato per la condanna di Lenin e compagni, mentre in 420 si sono espressi a favore. Anche il presidente del tribunale, Gianfranco Miro Gori, ha strabuzzato gli occhi quando gli hanno portato il verdetto; ha finto sorpresa e ha malcelato la soddisfazione di aver evocato e risvegliato, con il suo “giocattolo” del processo, queste forze assopite nel cuore dei romagnoli che, dopo quasi trent’anni dalla caduta del Muro, hanno dimostrato di non aver dimenticato il mito del Paese dove aveva cominciato a splendere il sol dell’avvenir.
Delle due l’una: o nonostante tutto quel è accaduto, dopo le sconfitte della storia e lo svelamento dei menzogneri ed ideologici inganni con cui una nomenklatura feroce ha soggiogato interi popoli, il mito della fondazione dell’Unione Sovietica come evento di riscatto delle classi subalterne è ancora vivo, ed è distinto dal giudizio sulle conseguenze concrete di quell’evento, ovvero l’immane tragedia del “socialismo reale”, oppure il pubblico convenuto a Villa Torlonia nella notte di San Lorenzo si è lasciato convincere dalle arringhe della difesa che aveva come campioni il giovane e televisivo filosofo Diego Fusaro e una istituzione della cultura di sinistra quale l’illustre filologo classico Luciano Canfora.
La stima per l’intelligenza e le capacità critiche del pubblico ci vanno propendere per la prima ipotesi, ma il dubbio rimane. D’altra parte, come poteva esserci un verdetto diverso quando a confrontarsi sulla Rivoluzione non sono stati chiamati esponenti di posizioni storiografiche e culturali contrapposte, ma, ci sia permessa la semplificazione, comunisti felici ed ex comunisti pentiti? E così Canfora, prendendo la parola dopo lo storico Maurizio Ridolfi, il quale, pensando di dire qualcosa di anticomunista aveva insistito nel sostenere che le istanze di egualitarismo e giustizia sociale erano precedenti al 1917 e che non sono un’esclusiva storica di Lenin e compagni, ha avuto buon gioco nel replicare che era perfettamente d’accordo e ne ha tratto spunto per la sua apologia della rivoluzione.
La serata è partita con Marcello Flores, nei panni dell’accusa e autore di un volume fresco di stampa proprio sul mito della rivoluzione sovietica. La sua tesi è che l’eclissi del socialismo, come possibilità di ribaltamento del sistema capitalista, sua cominciata proprio nel 1917 con la vittoria dei bolscevici. Il comunismo sovietico è diventato il modello vincente che ha vanificato ogni altro tentativo e reso sterili le altre correnti socialiste. Insomma, la nascita dell’Unione Sovietica è stata una sciagura per il mondo ma innanzitutto per la fortuna dell’idea socialista.
Sulla stessa traccia si è mosso l’altro accusatore, Maurizio Ridolfi, che, tra gli altri argomenti, ha evocato un bambino di undici anni, lui stesso, allevato al mito del comunismo e dell’Unione Sovietica da un zio, sgomento di fronte ai carri armati che nel 1968 schiacciano la primavera di Praga.
Ma la star mediatica della serata è stato Diego Fusaro, che si autodefinisce “Allievo indipendente di Hegel e Marx. Al di là della destra e della sinistra. Anticapitalista in lotta per l'emancipazione umana”. Il filosofo, ospite fisso della trasmissioni di Gianluigi Paragone su La7, ha offerto un saggio del suo eloquio forbito e ricercato, ricco di paroloni ad effetto (che ne dite della “forza catecontica”?) ma ossessivamente ruotante intorno ad un unico concetto: con il crollo dell’Unione Sovietica viviamo nel peggiore dei mondi possibili, dominati dal capitalismo assoluto, che chiama globalizzazione la sua vocazione imperialista e costringe tutti ad avere un unico pensiero, a ritenere che non ci sia altro mondo possibile che quello del totalitarismo liberale. Il suo, più che una difesa, è stato un elogio della Rivoluzione sovietica che, in più punti, quando le frasi ad effetto avevano qualche comprensibile risvolto populista, è riuscito a strappare qualche applauso. La rivoluzione è da elogiare perché è stato il primo imperituro tentativo di riscatto delle classi subalterne, perché ha liberato l’Europa dai nazifascismi (altro che americani!), perché ha costituito un faro per tutti i popoli in cerca di liberazione, perché il socialismo reale è alle origini del welfare degli stati occidentali, perché la sua forza catecontica (eccola!) ha tenuto a freno il dominio del capitalismo.
Si poteva legittimamente sperare che da un uomo della levatura di Canfora potesse arrivare una documentata e argomentata difesa della rivoluzione, ma il professore è scivolato sull’anedottica, offrendo infine agli ascoltatori una perla come l’elogio delle costituzioni dell’Urss che per la prima volta affermavano i diritti dell’uomo. Aveva ragione Berlusconi – ha poi chiosato - a sostenere che la nostra, quella italiana del 1948, è una costituzione sovietica.
Il pubblico ha assolto, e che altro poteva fare? Il dibattito non ha per nulla risposta all’interessante domanda che Gori, nel presentare l’evento, aveva posto sul piatto: “La rivoluzione naufragò tradita dallo stalinismo o le premesse dittatoriali stavano già nella teoria e nella prassi leninista?”.
È sperabile che chi cerca ancora questa risposta la possa trovare nella mostra Russia 1917. Il sogno infranto di un “mondo mai visto”, visitabile in Fiera dal 20 agosto in occasione del Meeting.
Valerio Lessi