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Gli strani movimenti delle società partecipate dal Comune

Mercoledì, 20 Settembre 2017

Stando alla legge, il Comune dovrebbe disfarsi della partecipazione (5 per cento) che ancora detiene in Rimini Terme, la società che gestisce il talassoterapico. L’attività di talassoterapia non rientra fra le attività ammesse dal decreto che obbliga i Comuni a redigere entro il 30 settembre un piano di revisione straordinaria delle proprie partecipazioni. Quindi la scelta più coerente che dovrebbe fare il Comune sarebbe quella di mettere sul mercato anche quel residuale 5 per cento. Al contrario l’amministrazione ha deciso di recuperare pienamente il controllo della società e solo a quel punto metterla in vendita.

Nell’epoca delle privatizzazioni, avremo un caso forse unico di ri-pubblicizzazione di una società privatizzata solo qualche anno prima. Per capire il paradosso, bisogna ricordare brevemente la storia. Nel 2005 il Comune di Rimini cedette il 94 per cento delle azioni a Coopsette, individuata come il soggetto per realizzare il “polo del benessere e della salute”, che comprendeva, oltre allo storico talassoterapico, anche l’ex colonia Novarese. Poiché entro il 31 dicembre del 2012 del famoso polo non c’era neppure l’ombra (Coopsette ha cominciato a navigare in cattive acque fino al punto di finire in liquidazione coatta), il Comune ha avviato un contenzioso arbitrale, ancora in corso, che ha l’obiettivo di tornare in possesso del 77 per cento delle azioni della società. Perché non il 94 per cento? Perché nel frattempo Coopsette aveva ceduto una piccola quota ad altro soggetto. Quando il Comune tornerà ad avere il controllo della società (l’82 per cento), farà un bando per vender ad un soggetto privato l’intera partecipazione. Fra le condizioni poste a carico del privato, c’è quella, fondamentale, di portare a termine il progetto del polo del benessere e della salute. Nel piano che è passato nei giorni scorsi in commissione e che sarà presto portato all’esame del consiglio comunale, si puntualizza che la partecipazione in tale società è quindi uno strumento imprescindibile per la valorizzazione del territorio di Miramare.

Ma questa ri-pubblicizzazione della società è un’operazione che si può fare? L’amministrazione scrive testualmente che essa è «puntualmente formalmente incompatibile con il dettato normativo», tuttavia sarebbe però «coerente con i fini (“prevalenti” rispetto al puntuale e formale rispetto della norma) della “efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche” e della “razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica”. Sembra di capire che questo è il ragionamento di Palazzo Garampi: noi possiamo anche disfarci del 5 per cento, però il progetto di riqualificazione dell’area di confine con Riccione rimane lettera morta: è conveniente per il bene pubblico una scelta di questo genere? A questa domanda si può replicare con un’altra domanda: siete certi che una volta rientrati in possesso della società, troverete l’imprenditore che decide di investire e che ritiene un polo del benessere a Miramare un business interessante? I tempi non sono una variabile trascurabile: ciò che era vero nel 2005, lo è ancora nel prossimo decennio?

Che questa interpretazione “politica” della norma corra comunque su un equilibrio instabile lo avverte anche il Comune che nella relazione assicura che tutto sarà inviato alla Corte dei Conti, all’Antitrust e in ogni caso dovrà passare da un voto del consiglio comunale. Certo che in tempi di legalismo imperante e di grillismo come mentalità dominante sono pochi quegli amministratori che decidono di scommettere su un’ipotesi ritenuta positiva per la propria città.

Ad una interpretazione creativa delle norme il Comune ricorre anche a proposito della società Rimini Congressi, che detiene il 65,07 per cento del capitale IEG, la società della Fiera. Non avendo dipendenti e avendo un fatturato annuo inferiore ai 500 mila euro, potrebbe ricadere fra quelle scatole vuote improduttive di cui la legge chiede la soppressione. Secondo il Comune «tale obbligo non sembra sussistere, in quanto, nella realtà sostanziale dei fatti, la società non ha dipendenti e fatturato “minimi” se considerata autonomamente, ma, al contrario, li possiede ed anzi li supera abbondantemente, entrambi, se, come appare ragionevole, viene considerata nella sua reale funzione di “holding pura”, capogruppo di un gruppo societario, che, al contrario, ha 346 dipendenti e un fatturato consolidato superiore ai 69 milioni di euro».

Dal piano straordinario (che prevede la vendita del 25 per cento residuale delle farmacie comunali e la dismissione di Rimini Reservation), si apprende che si andrà ad una fusione per incorporazione fra Rimini Congressi e la Società del Palazzo, quella costituita per realizzare l’astronave di via della Fiera. L’operazione però non sarà fatta subito, si aspetta la quotazione in borsa di IEG, perché la società della fiera possiede azioni della Società del Palazzo e ciò provocherebbe qualche inconveniente amministrativo.


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