Quando i partiti ancora esprimevano una rappresentanza popolare, votare era facile. Ci si doveva “turare il naso” per le contraddizioni, le incapacità e gli scandali, ma l’appartenenza anche ideologica alla fine costituiva una scelta obbligata.
Oggi, passati dal proporzionale al maggioritario e di nuovo al proporzionale, ma senza quella identità valoriale che un tempo offriva e riceveva fedeltà, i partiti cercano di conquistare volta a volta l’opinione dei singoli cittadini offrendo loro pacchetti di provvedimenti che ne blandiscano gli umori, le aspettative e le preoccupazioni.
Infatti, franate le sponde che ne incanalavano ogni giudizio verso un voto prestabilito, è diventato naturale, per tutti i cittadini chiamati alle elezioni, fare ricorso prima di tutto alla propria personale esperienza della convivenza civile.
Ed è guardando ad essa che ognuno riconosce quale sentimento prevalga dentro di sé di fronte al Paese e ai suoi problemi: se di fiducia o di scetticismo, di apertura o di chiusura, di timore o invece di speranza, di partecipazione o di indifferenza, eccetera; sentimenti nei quali sono prefigurabili anche le scelte che ci toccano oggi in materia di immigrazione, Europa, stabilità, sicurezza; e così i diversi campi politici (se non i singoli partiti) cui esse corrispondono.
Da una parte, questo comporta il guardare a questa personale ‘esperienza del vivere insieme’ con la necessaria lealtà, riconoscendo quanto di positivo o di negativo sperimentiamo nei nostri ambiti di vita e, allo stesso tempo, quali siano i valori che noi per primi affermiamo praticamente nel nostro agire quotidiano e quale sia il nostro atteggiamento verso la comunità civile cui apparteniamo: cosa pensiamo di poter pretendere e cosa pensiamo di dover fare per essa (magari senza addossare alla politica tutte le colpe di quello che non va e senza far coincidere il ‘bene del mondo’ con il nostro piccolo interesse particolare o ‘di bottega’).
Dall’altra, occorre ammettere che ognuno di noi è responsabile (almeno in parte) di quella stessa ‘esperienza del vivere insieme’ che fanno le persone che abbiamo vicino e così (sempre in parte) degli atteggiamenti che esse assumeranno di conseguenza.
Insomma, che il mondo in cui viviamo, ben prima che dai partiti che lo governano, dipenda anche da come ognuno di noi tratta le proprie aspettative e quelle degli altri, da cosa affermi e da cosa ricerchi, da quali risorse personali metta a disposizione del ‘bene’ di tutti, è una ammissione di responsabilità che non possiamo smettere di ridirci.
Tra l’altro, rimettere all’origine della scelta di voto la nostra ‘esperienza’ e la nostra responsabilità verso gli altri, apre la possibilità di un voto consapevole e anche utile non solo agli esperti e a chi mastica di politica, ma a tutti: ad esempio a un ragazzo di diciotto anni che non abbia mai avuto prima la necessità di pensare al futuro in termini di comunità e non solo individuali; così come costituisce l’unica possibilità di difesa dal pensiero dominante veicolato dai grandi media (una volta dai media ‘di massa’, oggi, ancora più efficacemente, da quelli social).
Non solo. È tanta l’importanza che ognuno possa ritrovare in sé questa responsabilità verso i propri desideri e le proprie capacità, così come verso il bene di tutta la società e di quelli che ha a fianco, che neppure una scelta sbagliata alle elezioni può inficiarla. Alla lunga infatti, quando cioè sarà più facile dire “quel voto era giusto, quel voto era sbagliato”, se tanti avranno deciso di non restare “al balcone”, ma di mettersi alla prova in questa responsabilità, questo sarà comunque un punto positivo dal quale si potrà sempre ripartire.
(rg)