(Rimini) “L’anfiteatro va tirato fuori e va recuperato. Bisogna restituirlo alla città come bene culturale e storico e come proposta turistica. Anche se sotto io non credo si troveranno statue o altri reperti, si tratta pur sempre del secondo anfiteatro romano per grandezza al mondo, e questo basta a renderlo un bene inestimabile. Certo, da qui a farlo c’è di mezzo un mare fatto di molti soldi, che ora come ora le casse comunali non hanno. Ma c’è la volontà politica della giuntà”. A ribadirlo ieri in commissione controllo e garanzia è stato Davide Frisoni di Patto civico, partito di maggioranza, facendo leva sulla “volontà politica” dell’attuale amministrazione. Resta il problema dei soldi, e resta il problema del Ceis, il centro educativo italo-svizzero, che nel caso di uno scavo all’anfiteatro dovrebbe traslocare. “Gli uffici stanno facendo tutte le verifiche necessarie. Se ci sarà da versare una quota di indennizzo sarà fatto, come in ogni caso quando ci si rapporti ad un soggetto privato. Voglio ribadire due cose. La prima - va avanti Frisoni - è che esiste una legge del 1939 (mai modificata) che dà potere allo stato di espropriare in qualsiasi momento un bene archeologico, e questo potrebbe accadere dall’oggi al domani anche per l’anfiteatro. La seconda è, e ci tengo particolarmente, quella di garantire la parità di opportunità tra amministrazione e tutti i soggetti privati, quindi la parità di trattamento tra Ceis e tutte le altre scuole private di Rimini”.
Se le indicazioni della giunta, la delega è in capo all’assessore alle arti Massimo Pulini, sono quelle di liberare l’area, per il trasloco del Ceis la soluzione potrebbe essere quella della riqualificazione dell’area della stazione, lì infatti, non molto distante dall’anfiteatro, i primi abbozzi del progetto prevedono posto anche per istituzioni scolastiche.
Le parole del consigliere Frisoni arrivano dolci alle orecchie del capogruppo della Lega Marzio Pecci che sottolinea come “la struttura, più conosciuta come asilo svizzero è prevalentemente abusiva perché insiste su un bene storico vincolata da Decreti Ministeriali dei primi del 1900”. Pecci però segnala “l'arroganza dell'assessore nel voler nascondere e giustificare gli abusi edilizi della struttura, con l'aberrante tesi della stratificazione delle opere, come se si trattasse di un dipinto, offende l'intelligenza non solo dei consiglieri comunali, ma di tutti i cittadini onesti”.