Il consiglio comunale ha approvato l’altra sera una delle maggiori delibere di spesa: il piano di zona per la salute e il benessere sociale valido per triennio 2018-2020. È il piano relativo al distretto di Rimini Nord, che comprende oltre a Rimini anche Bellaria Igea Marina e tutta la Valmarecchia. Si tratta di un provvedimento complesso, articolato in 39 schede per altrettanti progetti, che movimenta complessivamente 54 milioni.
Una spesa enorme che non grava tutta sulle casse comunali, la maggior parte dei finanziamenti arriva dallo Stato, dalla Regione, dall’Asl, da programmi europei. Il Comune di Rimini vi partecipa per circa nove milioni. Quindi, quando spesso si dice che il Comune di Rimini spende nel sociale oltre 40 milioni, non si fa un’affermazione esatta. Il Comune movimenta 40 milioni, decide dove e come spenderli, ma la maggior parte delle risorse arriva da altri enti. Quaranta milioni è la spesa di Rimini, 54 milioni quella complessiva del distretto.
Era dal 2009 che non c’era un piano di zona, si è andati avanti di proroga in proroga. Era quindi un appuntamento importante quello dell’altra sera, una di quelle occasioni in cui le forze di opposizione hanno la possibilità – se vogliono - di mostrare di avere un’altra cultura e un altro approccio rispetto al tema così rilevante dei servizi sociali. Purtroppo così non è stato. Significativo a questo proposito l’intervento di Carlo Rufo Spina di Forza Italia, che in sostanza ha detto: voi siete avvantaggiati perché avete l’apparato che lavora per voi, noi no. Noi non siamo in grado di valutare se questi soldi sono spesi bene, quanto ci sia di efficiente sostegno e quanto invece di inefficiente assistenzialismo, e se in questi 54 milioni si annida anche una mal gestione finanziaria, ovvero finanziamenti a pioggia a cooperative a voi organiche.
Studiare un po’ la prossima volta? Sulla stessa linea, o quasi, Matteo Zoccarato della Lega, che si lancia in elogi ai tecnici che bene hanno lavorato ma poi annuncia il voto contrario perché la Lega non è stata coinvolta negli obiettivi politici. L’opposizione, benché tutta riconducibile all’area del centrodestra, ancora una volta ha votato in ordine sparso. Se Spina, Zoccarato e Renzi hanno votato contro, Gennaro Mauro e Obiettivo Civico si sono astenuti con la motivazione che in un momento di crisi quale quello in cui siamo è giusto intervenire, riservandosi nel futuro di giudicare i risultati raggiunti. Solo Mauro, nel suo intervento, ha cercato di entrare nel merito sollevando due questioni: quella degli anziani ai quali non si riesce a dare una risposta nelle strutture di accoglienza, i controlli nelle strutture private non convenzionate dove non sempre vengono erogati servizi di qualità.
Per quanto riguarda il comune di Rimini, il piano di zona risponde ai bisogni di oltre cinquemila persone: 2600 anziani, 730 disabili, 550 ragazzi con handicap ai quali è assicurato il sostegno scolastico, 600 minori e 530 soggetti con disagio economico e sociale.
In apertura di dibattito, l’assessore Gloria Lisi ha evidenziato alcuni numeri che mostrano come dal 2010 ad oggi sia cambiata la mappa del disagio sociale.
I grandi anziani, ovvero gli over 75, sono cresciuti di circa tremila unità: erano l’11,2 per cento della popolazione, oggi sono il 12,3. In crescita anche gli stranieri che sono passati dal 10,1 al 12,9 per cento sul totale dei residenti. È notevolmente cresciuto il numero delle famiglie, da 61.241 a 66.193: sono composte in media da 2,27 componenti. Non solo perché le nascite scarseggiano, ma perché cresce in modo impressionate il numero delle famiglie unipersonali (spesso anziani soli) che a Rimini rappresentano il 36,9 per cento del totale. Si afferma anche il fenomeno delle famiglie con un solo genitore, cresciute dal 14 al 16 per cento del totale.
L’assessore ha quindi spiegato quali sono gli otto obiettivi strategici del piano. Il primo è la corresponsabilità del terzo settore sui risultati. Significa coinvolgimento nella progettazione e nel gestire il risultato finale, volto a far uscire la persona dall’assistenza o comunque a favorire la sua autonomia.
Secondo obiettivo: promuovere la logica del budget di salute. Significa evitare schemi e gabbie rigide, liberare risorse liquide, coinvolgere il volontariato e la comunità.
Terzo obiettivo: interventi calibrati sulle fasi critiche e di transizione del ciclo di vita familiare. Se in una famiglia una persona da risorsa diventa un problema, la famiglia deve essere aiutata subito con l’intervento tempestivo dei servizi.
Quarto obiettivo: Strutture sociosanitarie come avamposti di culture ed approcci innovativi declinabili sul territorio (dove innovativi vuole dire soprattutto puntare sulla reversibilità della condizione di disagio).
Quinto obiettivo: “dopo di noi”, cioè gli interventi per dare garanzia alle famiglie che i loro figli disabili abbiano punti di appoggio quando i genitori non ci saranno più. L’obiettivo parla dell’utilizzo di risorse private e di percorsi per favorire l’autonomia.
Sesto obiettivo: Interventi sanitari e sociali nei primi mille giorni di vita, poiché è nei primi tre anni di vita che si forma la personalità del futuro adulto.
Settimo obiettivo: promuovere la "operosità" come chiave di lettura degli avanzamenti nei percorsi inclusivi, in parole semplici significa coinvolgere gli utenti dei servizi sociai in lavori realmente utili e gratificanti.
Ottavo obiettivo: Sviluppo della rete di strutture di cure intermedie, cioè meno ricoveri in ospedale e più assistenza sul territorio attraverso le “case della salute”.
Una nota (battuta) a margine. Se a livello nazionale è stata annunciata l’abolizione della povertà (?!), il piano di zona si limita a parlare di “un sistema di contrasto alla povertà”. Meno male.