L’iniziativa riminese Biblioterapia 2018: Narrami l’uomo, o Musa. Come curarsi (o ammalarsi) coi libri propone al Teatro degli atti, venerdì 9 novembre alle 18.00, una lezione di Massimo Recalcati per sentire la psicanalisi, una forma eminente di narrazione, sul ruolo della narrazione in una società che sembra mal sopportare il tempo analogico e profondo del racconto.
Il pensiero di Recalcati, noto psicanalista e docente universitario, uno dei maggiori interpreti del pensiero lacaniano, impegnato in numerosi comitati scientifici e centri di studio nazionali e internazionali, con un’ampia clinica nel settore dei nuovi sintomi (bulimia, anoressia, …) - ambito in cui opera Jonas Onlus: Centro di clinica psicoanalitica, di cui è stato fondatore e presidente sino al 2007 -, gode di un ampio pubblico grazie ad una consistente pubblicazione e alla sua dedizione divulgativa.
In questi anni Recalcati è intervenuto su numerosi argomenti - l’evaporazione del padre e il ritorno di Telemaco, la cura materna e le relazioni famigliari, la scuola e la trasmissione della conoscenza, l’identità postmoderna e la perdita del desiderio, dallo stadio edipico del ’68 al narcisismo degli anni ‘90 - utilizzando un bagaglio culturale impiantato sulle ricerche di Freud e Lacan in un ricco dialogo con il pensiero filosofico e letterario, nonché con il testo biblico. La psicanalisi ha il merito, come tutte le narrazioni profonde, di aver aperto il sancta sanctorum del soggetto umano per scoprire che il desiderio dell’Altro è il fuoco che lo fa bruciare.Ma questo fuoco ha bisogno di essere difeso dalla libido del mercato che rischia di soffocarlo con la legge del consumo. Per vincere la minaccia del vuoto incombente di questa “generazione sfortunata”, dice Recalcati, occorre riportare l’uomo al linguaggio autentico del desiderio che lo abita; in questo certamente gioca un ruolo importante il ritorno della narrazione.
Ecco perché quello proposto dalla Biblioterapia, Come curarsi (o ammalarsi) coi libri, è un tema di primo piano in una società come la nostra, invasa da linguaggi in codice (della tecno-scienza e del marketing), senza respiro, brevi, spezzati, storti, con prevaricazione economicistica cui fa da pendant lo slang social emojistico; linguaggi sempre meno pensanti e immaginativi, che seppelliscono l’evento e la sua possibilità di generare sotto le forme compulsive delle tecniche di comportamento e delle emozioni istantanee.
Sentiamo la necessità del ritorno ad una narrazione ampia e profonda, che racconti l’uomo, quella che fa pensare e accendere il desiderio perché sa tracciare ipotesi di destino.
Alfiero Mariotti