Chi fra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso seguiva Il Sabato, settimanale cattolico di area ciellina molto battagliero e corsaro, ricorda come una delle sue campagne culturali più insistenti fosse indirizzata contro una tendenza neo-pelagiana nel pensiero e nella prassi ecclesiale. Pelagio, un monaco vissuto fra il IV e il V secolo, sosteneva che l'uomo avesse la possibilità di aderire con le sole sue forze alla volontà di Dio, senza l'intervento della Grazia. I pelagiani furono fieramente avversati da sant'Agostino che rivolgendosi a loro scrisse: “Questo è l'occulto e l'orrendo veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la Grazia di Cristo nel suo esempio e non nel dono della sua Persona”. Non a caso le battaglie de Il Sabato rinvenivano il pericolo di un neo-pelagianesimo in una riduzione del cristianesimo a valori etici.
Ad aver rispolverato il pericolo del pelagianesimo, e di un altra eresia antica, lo gnosticismo, è stato in questi anni papa Francesco. Ne ha parlato nella Evangelii Gaudium, il documento programmatico del pontificato, vi è tornato nel discorso tenuto al convegno della Chiesa italiana a Firenze, nel 2015; vi ha dedicato spazio nella Gaudete et Exultate, indicando le due eresie come nemiche della santità cristiana; vi è ritornato in diversi interventi; la stessa Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento, la Placuit Deo, per spiegare quale sia la preoccupazione di Francesco. Una insistenza evidente che ha indotto il sacerdote riminese don Roberto Battaglia, parroco, insegnante di religione nelle scuole e docente di teologia sistematica all'Istituto di scienze religiose Alberto Marvelli, a dedicarvi uno studio che è uscito in questi giorni per i tipi di Itaca, Un cristianesimo senza Cristo?, con prefazione di Erio Castellucci, arcivescovo di Modena.
Il titolo pone la questione sotto forma di domanda, ma come documenta Battaglia fin dalle prime pagine del suo saggio, il rischio che Francesco individua in pelagianesimo e gnosticismo è proprio quello di portare a “un cristianesimo senza Gesù”, a “un immanentismo antropocentrico”, a posizioni che privilegiano il primato della dottrina, un attivismo autoreferenziale o un vago spiritualismo, facendo fuori “la carne sofferente di Cristo”. Battaglia documenta con precisione che a spingere il pontefice non è tanto una motivazione dottrinale quanto una sollecitudine pastorale. Pelagianesimo e gnosticismo sono per lui innanzitutto tentazioni pastorali che hanno evidentemente anche implicazioni dottrinali. Lo scopo di Francesco è quello di chiamare i cristiani a una conversione da quella che lui, citando il teologo Henri De Lubac, chiama “mondanità spirituale”. È un tipo di mondanità diversa dall'attrazione verso i beni e i piaceri del mondo (che pure spesso colpisce fedeli laici ed ecclesiastici), è una mondanità tutta interna alla prassi ecclesiale, che si insinua in modo subdolo e spesso inconsapevole.
Nel testo di Battaglia abbondano le citazioni di Francesco in cui vengono elencati i comportamenti che appaiono tributari di questa mondanità spirituale. Per capire in profondità Francesco e per rendersi conto che non si tratta di una questione per specialisti di cose religiose, ma rilevante per la vita concreta di ciascuno nella società attuale, può essere utile ricordare cosa scrive il sacerdote riminese a proposito della riduzione del cristianesimo a etica o a dottrina, che sono, per Francesco, uno dei volti che assumono oggi le tentazioni pelagiane e gnostiche. Battaglia osserva che “Proporre l'umanesimo cristiano a prescindere dalla sua origine, ossia dal rapporto con Gesù che lo genera, nella reale esperienza di guardare a Lui e dal lasciarsi guardare da Cristo stesso, finisce, inevitabilmente, per ridursi alla proposta di valori evangelici privati della loro identità”. Secondo l'autore questo è particolarmente evidente nel dibattito sui nuovi diritti e sull'identità della famiglia. “Se nel contesto del dibattito pubblico si ritiene infatti che i cattolici siano innanzitutto coloro che sono contrari ad aborto o eutanasia, che difendono la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio fra l'uomo e la donna, in opposizione ala rivendicazione dei diritti delle coppie omosessuali, o che promuovono altre istanze etiche analoghe, piuttosto che identificarli con lo specifico dell'annuncio cristiano del Dio fattosi carne in Gesù Cristo, si deve riconoscere, senza voler in alcun modo sottovalutare le tematiche suddette e il rilievo di tali valori etici per la vita della nostra società, la presenza di un equivoco di fondo su ciò che è essenziale nel cristianesimo”.
Il libro di don Battaglia sarà presentato mercoledì 15 maggio alle ore 21 nel Teatro del Seminario don Oreste Benzi, in via Covignano a Rimini, su proposta dell'Istituto Marvelli e del centro culturale Il Portico del Vasaio. Oltre al teologo Ezio Prato, della Facoltà teologica dell'Italia settentrionale, ne discuteranno due amici di don Battaglia che hanno entrambi la caratteristica di un impegno quotidiano con la “carne di Cristo”: l'insegnante e presidente dell'Azione cattolica diocesana Manuel Mussoni e il direttore della Caritas di Rimini Mario Galasso.
Valerio Lessi