Dalla globalizzazione dell'indifferenza non si esce da soli, con uno sforzo di volontà o con un progetto ideale. Il cuore del messaggio di Francesco è che se ne esce solo con la riproposizione dell'annuncio e della promessa cristiana nei suoi termini più elementari. Lo ha detto lunedì sera a Viserba il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, invitato dal parroco don Aldo Fonti, vecchia conoscenza dai tempi in cui uno era nunzio apostolico e l'altro missionario in Venezuela. C'era la chiesa piena di turisti e riminesi arrivati per ascoltare la conferenza con a tema La profezia di papa Francesco nell'era della globalizzazione dell'indifferenza. Se nella prima parte dell'intervento, Parolin ha ripercorso l'analisi che del mondo contemporaneo offre Francesco (l'economia che uccide, la cultura dello scarto, l'individualismo, l'autoreferenzialità, ecc.) , nella seconda, a detta dello stesso cardinale la più importante, ha toccato la sostanza del messaggio di papa Bergoglio, quella che a volte passa in secondo piano anche dentro la comunità ecclesiale.
Se gli uomini anelano alla felicità e alla liberazione, nello stesso tempo fanno l'esperienza di non riuscire e darsela da soli. Ecco che allora nella storia accade un fatto nuovo e imprevisto, è venuto il Signore Gesù. La felicità e la liberazione non sono il frutto di una ricerca riservata agli illuminati. È Cristo stesso che ci guarda per primo, che ci prende in braccio e ci attira a sé. “Chi segue papa Francesco – ha osservato il cardinale - sa che nel suo magistero tutto ruota intorno all'opera della grazia, al gesto del Signore che viene prima della grazia. Già nel 1998, presentando un libro a Buenos Aires, Bergoglio aveva indicato nel primerear della grazia la sorgente dell'avvenimento cristiano, di come si diventa e si rimane cristiani”.
Ed è proprio questa promessa di felicità, questa caparra di salvezza pregustata già in questa terra, la forza che può far uscire ciascuno di noi dal ripiegamento su se stesso, dalla globalizzazione dell'indifferenza. “Se uno sperimenta nella propria vita la carezza del Signore che guarisce – ha sottolineato Parolin – avrà una gratitudine che sarà portato a riversare sugli altri. La stessa dinamica di gratuità può abbracciare anche chi è lontano, chi si trova nel bisogno. La Chiesa – scrive Francesco nella Evangelii Gaudium – vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia perché ha sperimentato la misericordia del Padre”. Ecco perché il papa usa l'immagine della Chiesa come mysterium lunae, cioè la paragona alla luna che riflette una luce che non è propria, oppure propone la nota immagine della Chiesa come ospedale da campo: accoglie i feriti della vita perchè ha sperimentato che il Signore guarisce e risana.
La carità stessa ha la sua sorgente nella grazia. La carità non viene prodotta artificialmente da nessun programma o da nessuna teoria eticista. E questo va tenuto presente anche per ciò che papa Francesco ripete con insistenza riguardo ai migranti e ai profughi, che vanno trattati come persone e non come numeri di emergenze sociali o umanitarie. “Quando il papa ripete queste cose, qualcuno si inquieta. Ma la carità è davvero il cambiamento che nasce dall'operare della grazia nei cuori di chi segue Cristo; e se è così non si può pensare di presentarsi come portatori della religione cristiana teorizzando nello stesso tempo che gli effetti di questo cambiamento siano politicamente e socialmente di intralcio mentre sarebbe più consono alla situazione presente voltarsi dall'altra parte”.
Il cardinale ha spiegato che la posizione del papa porta ad avere simpatia con qualsiasi tentativo di migliorare la vita degli uomini, da qualunque parte provengano. “Ed anche i potenti e i capi di stato, ne sono testimone diretto, si sentono sollecitati dal richiamo di Francesco.
Il cardinale ha quindi concluso con una digressione sulle ormai celebri periferie che spesso il pontefice cita. “Bisogna uscire dai clichè. Il papa spiega che dalle periferie le cose si vedono meglio che dal centro. Per cui quando si va incontro alle periferie non è per un volontaristico autocompiacimento ma per essere ricentrati, per una convenienza umana. I sacerdoti delle villas miseria di Buenos Aires non andavano e non vanno a portare qualche loro strategia pastorale. Non andavano a portare Cristo, andavano perché anche a loro poteva capitare con più facilità di incontrare Cristo già presente e operante. “Lì si capisce che la grazia di Cristo può far rifiorire un tessuto di vita nuova anche nelle situazioni più impensabili. E allora conviene trovarsi lì per vedere passare Gesù, come fece Zaccheo, che era basso e per vederlo passare si mise su un sicomoro. E la sua vita cambiò quando si accorse di essere guardato dal Signore. Una volta Bergoglio osservò che crediamo che la fede venga dal nostro sforzo di guardare Gesù, invece è il contrario, tu sei salvo quando ti lasci guardare”.
Al termine sono state rivolte al cardinale Parolin alcune domande. Il legame fra fede e vita? “Il cristianesimo abbraccia tutta la vita, anche la politica. Poi ci sono responsabilità diverse, ai pastori spetta indicare i valori, ai laici di realizzarli nella vita concreta. E' un compito difficile. Lo dico a chi viene a trovarci. Di recente è venuto uno che mi ha spiegato l'importanza di difendere l'identità cristiana. Sono d'accordo in tutto e per tutto, gli ho detto, ma di questa identità fa parte anche Mt 25”. Cioè, avevo fame e mi avete dato da mangiare, ecc. Il papa non interviene a difesa dei cristiani perseguitati? “No, ci sono molti interventi. E quando si tace, non è detto che non si agisca. Non bisogna lasciarsi manipolare dalle sintesi che a volte offrono i giornali. La Santa Sede sta lavorando perché nelle costituzioni dei paesi ognuno abbia diritti e doveri di cittadinanza al di là dell'appartenenza religiosa”. Perché tanta ostilità, anche dentro la Chiesa, verso il magistero del papa? “E' un'ostilità che mi preoccupa molto perché mette in pericolo l'unità della Chiesa, il cui centro di unità visibile è appunto il papa. Per carità, c'è un margine di opinione, non tutto è magistero, ma bisogna saper discernere. Il papa di recente mi ha detto: dì a quella persona che non ho niente contro di lui, ma io devo seguire il Vangelo. E il Vangelo è sempre un segno di contraddizione, dentro e fuori la Chiesa”.
Valerio Lessi