Il nodo delle prossime elezioni comunali 2021 di Rimini si chiama Andrea Gnassi. Nel senso che sia per il centrosinistra che per il centrodestra le possibilità di vittoria sono strettamente legate alla posizione che i due schieramenti assumeranno di fronte al lavoro compiuto dal sindaco uscente negli ultimi dieci anni. La possibilità di un cambiamento di colore in un’amministrazione comunale, al di là della geografia politica del momento, è facilitata dall’esaurirsi di un ciclo e dalla uscita di scena del suo protagonista principale. Se il sindaco uscente – come nel caso di Rimini – ha lasciato una forte impronta sulla città e nel corso degli anni ha allargato la fascia di consenso sul proprio operato, quanti si candidano a rilevarne l’eredità non possono però non tenerne conto.
Il discorso vale innanzitutto per il campo politico in cui milita Gnassi. Il candidato sindaco del Pd e dei suoi eventuali alleati sarà scelto nel segno della continuità o della discontinuità rispetto a Gnassi e alla presa che ha dimostrato di avere su settori della città non riconducibili al tradizionale blocco sociale della sinistra? Detto brutalmente, il centrosinistra sceglierà il candidato con Gnassi o contro o a prescindere da Gnassi? Con l’importante inciso che non è affatto automatico che il consenso raccolto da Gnassi sul proprio progetto di trasformazione della città si riversi automaticamente su qualsiasi candidato scelto dal Pd. Nell’opinione pubblica è prevalente la percezione che i meriti siano di Gnassi, non del partito rispetto al quale spesso e volentieri ha agito autonomamente, rifuggendone tic ideologici e antiche liturgie. Se la scelta del partito dovesse cadere su un candidato che, al di là delle dichiarazioni ufficiali che saranno senza dubbio nel segno della continuità, fosse percepito, per identità e cultura politica, in sostanziale discontinuità, la riconquista di Palazzo Garampi presenterebbe qualche rischio in più.
Le recenti elezioni regionali per gli strateghi all’opera sono state un test importante. Con la candidatura di Emma Petitti, si è voluto verificare la sua popolarità e la sua capacità di attirare voti. Le urne le hanno attribuito 8.000 preferenze, di cui 3.800 nel comune di Rimini, ed il risultato è stato presentato come eccezionale. Tralasciando il 2014, quando c’è stata la metà dei votanti, Roberto Piva nel 2010 prese 8.300 preferenze e Massimo Pironi nel 2005 superò le 14 mila, di cui 5.200 solo a Rimini. Si dirà che erano altri tempi, ma il Pd il 26 gennaio ha comunque raccolto il 32 per cento dei voti e sul nome di Petitti si è mobilitato tutto l’apparato del partito. Al di là delle valutazioni che si possono dare sulla perfomance elettorale dell’ex assessore regionale, è evidente che è sul suo nome che intende puntare l’area che fa riferimento a Maurizio Melucci. Sarebbe un ritorno a un esponente del partito “ditta”, per dirla alla Bersani, e difficilmente potrebbe essere percepito dall’elettorato in sostanziale continuità con Gnassi.
Il Pd ripiegherà su un esponente della giunta uscente? A questo proposito il primo nome che viene in mente è quello di Jamil Sadegholvaad, molto amico di Gnassi, figura molto pragmatica.
Certo è, pena frizioni e spaccature che risulterebbero dannose e perdenti, il candidato dovrà comunque avere il beneplacito di Gnassi. Chi lo frequenta, ritiene che le sue preferenze non siano per un uomo o una donna di partito, nemmeno per un esponente della sua giunta, ma per un candidato esterno, una figura della cosiddetta società civile.
Lo stesso problema di fronte all’eredità di Gnassi ce l’ha lo schieramento di centrodestra che punta a realizzare lo storico ribaltone. Si potrebbe dire che il dibattito finora svolto (“bisogna guardare ai moderati, all’elettorato cattolico”, oppure “bisogna fare proposte di buon senso”) rischia di essere teorico o fuorviante. La prima e più importante questione che anche il centrodestra deve dirimere è spiegare cosa vuole fare della città ereditata da Gnassi. Si presenterà agli elettori come un comitato di liberazione dallo storico predominio della sinistra, incarnato negli ultimi anni dal sindaco Andrea Gnassi, o si proporrà come l’amministrazione che completerà al meglio l’opera iniziata dal sindaco uscente e la integrerà con misure e progetti che negli ultimi dieci anni sono stati trascurati e con un metodo che punterà di più sull’ascolto e sulla valorizzazione di istanze ed esperienze dei cittadini? Non è una domanda retorica. Se l’alternativa che sarà proposta avrà i toni e i contenuti dell’opposizione fino ad oggi condotta in consiglio comunale o di certe dichiarazioni pubbliche, la scelta cadrà evidentemente sulla prima ipotesi e l’esito – non c’è bisogno di fare i profeti – sarà inevitabilmente disastroso. È invece auspicabile, proprio per dare agli elettori una reale possibilità di scelta, che il centrodestra a guida leghista si confronti seriamente con la seconda ipotesi e la traduca in una proposta credibile. A partire innanzitutto dalla scelta del candidato sindaco. Ricordiamo ancora le roboanti dichiarazioni del 2016 su assi nella manica pronti ad essere calati e, in realtà, mai visti. Il tempo per aggiustare il tiro e agire di conseguenza c’è. Si tratta di verificare se la classe politica dell’attuale centrodestra sarà all’altezza della sfida.