In un dibattito in cui i rappresentanti dei vari partiti (ed erano tutti big) hanno ripetuto le posizioni più o meno note, senza andare sopra le righe ma senza nemmeno scaldare il cuore, il compito di esprimere giudizi tranchant è toccato al presidente della Fondazione per la sussidiarietà, Giorgio Vittadini. Dopo il primo giro di interventi sulla retorica e provocatoria domanda “Il Parlamento serve ancora?”, Vittadini ha provato a dettare la sua linea: basta con gli uomini soli al comando, li abbiamo avuti negli ultimi 30 anni ed hanno tutti fallito; basta con le piattaforme che si propongono di sostituire la democrazia rappresentativa; basta con un parlamento di nominati, si torni alle preferenze o si facciano le primarie; basta con una magistratura che pretende di risolvere i conflitti; si facciano le leggi in un clima di collaborazione fra maggioranza e opposizione; si faccia una vera riforma costituzionale, senza procedere a spizzichi e bocconi.
Quest’anno all’incontro politico promosso dall’intergruppo della sussidiarietà, coordinato da Maurizio Lupi, c’era un panel di big, alcuni al loro esordio di fronte al Meeting: accanto ai frequentatori abituali come Antonio Tajani, Maria Elena Boschi, Graziano Delrio, spiccavano le new entry Roberto Speranza, Luigi di Maio, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Di Maio e Meloni in collegamento, tutti gli altri in presenza, con Speranza, a parte il pubblico, unico a indossare la mascherina, tolta solo quando è stato il suo turno a parlare.
Parlando del futuro del Parlamento, ognuno ha detto la propria sul referendum sul taglio dei parlamentari su cui si andrà votare il 20 settembre. Tutti, tranne Lupi, hanno approvato la legge, e quindi sono per il sì, pur sottolineando che così si tratta di una riforma incompleta, bisognosa di altri interventi. Ma chi ha voluto il taglio non ha nemmeno presentato un disegno di legge complessivo.
Breve e senza acuti l’intervento del ministro Di Maio: il taglio dei parlamentari dovrà essere completato dalla riforma dei regolamenti e da una nuova legge elettorale. Il ministro Speranza, poiché all’inizio Vittadini aveva ricordato il ruolo dei partiti in una democrazia rappresentativa come veicolo delle istanze della società, ha convenuto con questa impostazione. Ha sostenuto che durante la pandemia la democrazia ha retto, se sono stati presi alcuni provvedimenti limitativi è perché corrispondevano al comune sentire dei cittadini. Ha detto che la ripartenza deve cominciare con un robusto investimento sulla sanità. Bisogna ricorrere al Mes? Sembrava la logica conclusione del discorso, ma non l’ha detto.
Maria Elena Boschi ha riproposto un argomento topico del renzismo di governo: la democrazia per essere tale deve essere decidente, ma non alla Orban che con la scusa dell’emergenza ha chiuso il Parlamento. Il Parlamento deve decidere anche quando i provvedimenti sono impopolari, meglio una scelta difficile che una diretta su Facebook.
Secondo Delrio non c’è democrazia senza Parlamento, la sovranità popolare si esprime in quella sede, non è interpretata da un capo o da un leader. Quindi no al presidenzialismo perché non c’è bisogno di un uomo forte ma di una società forte.
Tajani ha polemizzato fortemente con la democrazia in salsa grillina (piattaforma Rousseau e dintorni) e ha rispolverato un argomento tradizionale del berlusconismo, cioè l’invadenza della magistratura in campo politico.
Salvini ha rilanciato una riforma dello Stato in senso presidenzialista e federalista e, in polemica con Boschi, ha difeso Orban perché ha fatto crescere la natalità del 10 per cento. Nel secondo intervento ha toccato gli argomenti che potevano strappare un applauso: le irruzioni dei carabinieri in chiesa durante il lockdown, l’ingiusta discriminazione nei confronti delle partite IVA che devono pagare le tasse, le scuole paritarie non finanziate, la proposta di legalizzare le droghe leggere, la legge Zan contro l’omofobia. Curiosamente non ha parlato di immigrati.
Giorgia Meloni ha sferrato un duro attacco al governo per aver usato il lockdown per decidere senza passare dal Parlamento. Ha attaccato anche la maggioranza perché vuole una legge elettorale proporzionale mentre lei è per il maggioritario .
Le conclusioni di Vittadini sono state sulla linea del primo intervento. Abbiamo problemi gravi, scuola, sanità, lavoro, che non possono essere affrontati a colpi di maggioranze del 51 per cento. Serve un salto di qualità, la ricerca del bene comune fra forze che sono diverse. Abbiamo bisogno di un Parlamento che, pur nelle differenze, riesca a concordare sulle priorità da affrontare. Altrimenti non riusciremo a fare quanto indicato da Draghi, e senza questo saremo morti.