“Tutte le emozioni passano, solo lo stupore rimane”. La frase dello scrittore argentino J. L. Borges, citata nel messaggio che papa Francesco tramite il cardinale Parolin ha fatto pervenire al Meeting, ben si attaglia a descrivere l’esperienza di Mikel Azurmendi. La sua si identifica nel percorso di un uomo che non si è fermato alla prima emozione, che ha saputo uscire dalla propria bolla e dalle proprie certezze consolidate, per lasciarsi guidare dallo stupore alla scoperta di una realtà umana fino a quel momento del tutto sconosciuta.
Azurmendi è un uomo di 75 anni che ha alle spalle una prestigiosa carriera accademica alla Sorbona di Parigi e all’Università dei Paesi Baschi. In gioventù è stato fra i fondatori dell’Eta, il movimento indipendentista basco, dal quale si è distaccato non appena ha intrapreso la strada del terrorismo. È antropologo, sociologo, anche un po’ filosofo, un uomo insomma dai vasti interessi culturali. Dal punto di vista dell’esperienza religiosa si definiva agnostico.
La svolta per lui comincia quando, ricoverato in ospedale, ascolta la voce di Fernando che alla radio commenta la foto del giorno pubblicata dai giornali. Rimane colpito perché quella voce documenta un approccio diverso ai fatti della vita. “Da Fernando esce sempre qualche voce umana intrisa di luci, inaspettata come una riva di uccelli”. Fernando è Fernando Haro, il giornalista che domani sera alle 21 lo intervisterà al Meeting in un incontro che ha lo stesso titolo del libro, L’abbraccio. Verso una cultura dell’incontro, in cui Azurmendi racconta la sua indagine intorno a quello strano “villaggio” di cristiani che gli è capitato di incontrare.
Le felici coincidenze della storia hanno voluto che il testo di Azurmendi uscisse in Italia proprio nello stesso periodo in cui è stato ripubblicato con un certo interesse di pubblico il romanzo di Lloyd Douglas, La tunica, uscito nel lontano 1942. È stato anche oggetto di un incontro promosso dal riminese centro culturale Portico del Vasaio. Vi si racconta la storia del tribuno che vinse ai dadi la tunica di Gesù e che, attraverso varie circostanze, si mette in viaggio fra i villaggi della Galilea alla ricerca degli amici di Gesù, di quanti erano stati con lui, avevano udito le sue parole e visto e i suoi miracoli. È stato talmente colpito da quell’uomo innocente che lui ha contribuito a crocifiggere che vuole saperne di più, che letteralmente non ha pace finché non trova risposta alle domande che lo inseguono.
Il libro di Azurmendi propone oggi la stessa esperienza del tribuno Marcello Gallio. Dopo averlo ascoltato alla radio, l’intellettuale basco parla di Fernando a Javier, un amico prete con cui aveva condiviso iniziative accademiche. Sorpreso, scopre che Javier e Fernando si conoscono, che partecipano dello stesso “villaggio” cristiano. Un “villaggio” che lui stesso incontra la prima volta quando lo invitano a Encuentro Madrid, una sorta di Meeting in terra spagnola. Lì conosce “gente nuova” che non corrisponde all’immagine precostituita che lui aveva di quanti oggi si professano cristiani. Scopre gente lieta, grata, che gratuitamente ha ricevuto e gratuitamente si dona agli altri. Che non confida sulla spada, ma sull’attrattiva che una bellezza disarmata può esercitare sugli altri. Mille domande ribollono nel suo animo e confliggono con quanto ha sempre saputo e pensato, con quello che è stato il suo approccio all’esistenza. Ed allora ritorna all’Encuentro Madrid, va a visitare le scuole che questi cristiani hanno creato e si intrattiene con gli insegnanti, ascolta le loro storie personali, capisce che c’è un modo di educare a lui sconosciuto. Va alla loro caritativa Bocatas, il capitolo più denso e commovente del libro; portano panini e bevande calde a tossicodipendenti e zingari nella bidonville di Madrid, una terra di nessuno dove nemmeno le forze dell’ordine osano inoltrarsi. Lui vuole vedere con i suoi occhi cosa succede. “Perché soccorrere con del cibo chi vuole distruggere la propria vita?”. Non smette di interrogarli, non gli bastano le prime risposte, vuole andare a fondo, fino a che riceve risposte sorprendenti: “L’essere umano è fatto per amare ed essere amato, e io lì lo sono”. Va alle vacanze dei giovani studenti ai Picos de Europa, alle vacanze delle famiglie sui Pirenei. Li guarda, li osserva, si lascia interrogare. Pagina dopo pagina siamo introdotti al mondo di Macario, Belén, Carlos, Pablo, Alberto, Javier, Enrique, Jesus Angel, Jordi, Ferran, e molti altri ancora. Ciò che vede e ciò che gli dicono lo paragona sempre con la sua storia, con ciò che ha studiato, con ciò che hanno detto Durkheim, Wittgeinstein o altri autori. Non si limita all’emozione, mette in moto la ragione. E non parla solo con i capi, si ferma a bere una birra o un caffè con chiunque glielo chieda. Con sua sorpresa gli dicono di ricevere molto da lui. Quando gli chiedono cosa lui ha ricevuto da loro, rimane spiazzato, imbarazzato, non sa cosa dire. Gli viene in aiuto la moglie Irene che semplicemente osserva: “Ogni volta che vi incontriamo, scopriamo di volerci più bene”.
Ecco perché dicevamo all’inizio che l’esperienza di Azurmendi è un segno di contraddizione rispetto alle bolle digitali in cui siamo immersi. E' un'iniezione potente di realtà. Vediamo il percorso di un uomo che non si ferma alle emozioni, anche se queste lo mettono in moto; di fronte ad un fatto o un’affermazione non si limita al “mi piace” o “non mi piace”; non si ferma al sentito dire, non prende per buone le fake news; pur vivendo in una sua bolla accademica e culturale il desiderio di conoscere e capire lo porta a uscire fuori, a inoltrarsi in territori sconosciuti e comunque attraenti. E il cammino progressivamente lo porta a intendere che rapporto hanno con la realtà di oggi parole come salvezza, grazia, carità, fede, bellezza, amore, educazione.
Molto altro si potrà conoscere della sua avventura umana sintonizzandosi domani sera sui canali del Meeting.
Valerio Lessi