Anche solo seguendo la traccia delle notizie che escono ufficialmente dai due schieramenti, risulta ormai chiaro quale sia l’atteggiamento assunto dai partiti verso il ‘civismo’ per le prossime elezioni.
A sinistra, in modo più che esplicito, Gnassi ha chiamato a raccolta le liste civiche che l’hanno appoggiato nel 2016 per fare muro contro la candidatura di Emma Petitti e, nel caso si dovesse comunque andare alle primarie, per provare a compensare con i loro voti quei voti di appartenenza stretta al partito che la ‘voce del popolo’ attribuisce in larga parte alla Presidente del consiglio regionale. Una tattica a metà tra la linea Maginot e la guerriglia vietcong. Da una parte per provare a disinnescarne la candidatura stessa, dall’altra – nel caso non si faccia ‘dissuadere’ – una strategia di erosione di quei settori, anche solo valoriali, nei quali la Petitti potrebbe provare ad allargarsi: in questo modo costringendola a rimanere prigioniera nel cliché, ben più facile da contrastare (peraltro sia da destra che da sinistra), del candidato di apparato, tutto partito e ritualità autoreferenziali.
A questa ‘raccolta’ di liste, la cui genesi civica coincide comunque fin dall’inizio con la scelta di farsi rappresentare da ciò che il PD offriva in quel momento, si aggiunge la neonata Sarà. Al momento l’associazione è fuori dai radar della politica sui giornali ma certamente non si sente neutrale nella partita sul sindaco che si gioca a sinistra; tanto che proprio la sua nascita ha accelerato l’autocandidatura di Emma Petitti.
A destra, potremmo dire che rispetto alle ultime tornate elettorali, la ‘gestione’ del civismo è ritornata all’antico.
La prassi politica abituale, almeno fino alla candidatura Spigolon, prevedeva infatti la creazione di liste civiche di appoggio per allargare la base elettorale ‘diretta’ della coalizione, ed è solo con la crisi dei partiti tradizionali che nasce il civismo così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi lustri. Quando i partiti cessano di attirare energie, risorse, idee, uomini significativi della vita cittadina, e in sostanza non sono più in grado di rappresentare i vari ‘mondi’ che compongono la vita di una città, ecco dunque che questi ‘mondi’ decidono di presentarsi in prima persona. Tanto è vero che anche tecnicamente i partiti fanno un passo indietro. Era stato così all’inizio dell’avventura di Tadei, lo è stato con la candidatura della Spinelli e, pur in modo diverso, anche con la Tosi a Riccione.
Si trattava di liste civiche ‘spontanee’, potremmo definirle ‘di base’, che si assumevano il compito di raccogliere le domande e le esigenze più urgenti tra i cittadini, provando ad aggregare personalità e soggetti dell’impresa, del sociale, della cultura intorno a una ‘visione’ più o meno dettagliata di una città desiderabile e desiderata. Di contro l’atteggiamento dei partiti, almeno nell’esperienza riminese, era improntato a un più o meno benevolo laissez faire, in attesa che da esse si materializzasse quel candidato perfetto – conosciuto, stimato, politicamente vergine, interclassista, con un bacino proprio di voti – che potesse regalare loro la vittoria. Poi, se questo non fosse accaduto, ognuno per la sua strada; con i partiti che sarebbero stati liberi di capitalizzare in modo identitario i propri voti in attesa di tempi migliori.
Esattamente come ha fatto la Lega cinque anni fa con Dreamini e con la cosiddetta ‘lista dei curiali’. Quando né la prima, né la seconda hanno offerto soluzioni valide, ha elevato motu proprio Marzio Pecci al rango di portabandiera locale del centrodestra. Proprio come Forza Italia, a suo tempo leader del centrodestra, fece ‘inventandosi’ il nome di Bucci all’ultimo momento.
Oggi, sembra appunto si sia ritornati all’antico. La Lega, guidata in prima persona da Jacopo Morrone, ha preso l’iniziativa e deciso di dar vita in proprio a una lista civica, convocando attorno a sé un raggruppamento selezionato di liberi cittadini: riunioni aperte a ‘mondi’ diversi, a personalità varie, imprenditori, gente conosciuta, abituata alla scena pubblica.
Naturalmente, quello delle relazioni, è un mestiere che i politici hanno sempre svolto - e anche le liste di appoggio non erano certo scomparse durante il periodo del ‘civismo’ strettamente inteso -, ma in questo caso sembra si voglia replicare una certa dinamica di rappresentanza pur con uno strumento approntato e confezionato direttamente dai partiti.
Come a dire, se dobbiamo scegliere chi lanciare come sindaco all’interno del mondo cittadino, tanto vale fare noi direttamente la selezione dei potenziali candidati piuttosto che aspettare una proposta da terzi (con trattative e mercanteggiamenti compresi). Di positivo vi si può intravedere un atteggiamento che desidera mantenere l’unità del centrodestra evitando spinte personalistiche o direttive romane; di negativo, che questa riaffermata centralità e capacità di rappresentanza dei partiti tradizionali inevitabilmente assume nei confronti del territorio un sapore strumentale. In poche parole, quella che viene uccisa nella culla è l’autonomia culturale e di scelta propria delle liste civiche che nascono indipendentemente dai partiti, autonomia che peraltro dovrebbe essere proprio ciò che attira il voto verso il civismo (e il riscontro della percentuale dei votanti ci dirà se quella dei partiti è una ‘pretesa’ fondata o meno).
In questo senso anche il movimento promosso da Paesani, pur con un linguaggio proprio, diretto e anche ruvido, sembra assolutamente sintonico con i contenuti e i modi più ‘populisti’ del centrodestra. Un soggetto che nasce certamente dal ‘basso’, ma che non sembra intenzionato a smarcarsi, non sembra ricalcare quella distanza dai partiti che invece attirava i delusi della politica, rompendo anche le abitudini di voto degli elettori.
A questo proposito, tra destra e sinistra, è difficile ricollocare il movimento (o l’ex movimento) grillino, l’ultimo appunto ad aver scompaginato gli schieramenti tradizionali, ma che oggi si configura come una forza partitica a tutti gli effetti.
In sintesi, sembra davvero difficile che a destra, a sinistra o anche al centro (se non altro per la sua incerta consistenza elettorale) possa nascere qualcosa di autonomo rispetto ai partiti e a quanto già esiste o è stato programmato. In ogni caso, in attesa di qualcosa che ci sorprenda, speriamo che i partiti storici sappiano far tesoro di questi rapporti cui oggi tengono tanto ma di cui si ricordano solo alla vigilia di ogni nuova elezione.
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