Grandi novità in vista nella ‘grossa coalizione’ di centro sinistra.
I più avevano temuto il peggio nei giorni scorsi dopo il colpo di mano con cui Tirincanti aveva provato a concordare un candidato sindaco direttamente col Pd e fuori dai canali di confronto condivisi con gli altri aspiranti alleati.
Probabilmente lo spavento, più che dalla proposta in sé, è stato prodotto dalla scoperta di quanto debba essere debole oggi il Pd di Riccione per accodarsi a un tentativo così estemporaneo, e tanto combattuto al proprio interno da lasciar trasparire quei comportamenti apertamente egemonici di cui fin dall’inizio il Pd ha cercato di evitare l’accusa.
La debolezza del partito è comunque certificata dall’ipotesi che circola in queste ore, che cioè tutte le componenti della coalizione di centrosinistra si riuniscano in un unico listone senza simboli: e che il Pd, dopo aver governato ininterrottamente per decenni, dopo solo due mandati all’opposizione, sia costretto a rinunciare al proprio nome e simbolo sulla scheda elettorale pur di sperare di vincere ha un sapore quasi malinconico.
L’idea del listone unico risponde comunque all’unica domanda che angoscia fin dalla prima ora i vari referenti della coalizione: come prendere i voti dei moderati erodendo al centro il consenso del centrodestra.
Con l’ipotesi di una aggregazione di liste con un unico candidato sindaco, l’ampiezza della coalizione dovrebbe essere certificata dall’estrazione politica e culturale delle liste stesse: tanto che, pur piccole, le componenti come quelle di Tirincanti e Baleani per la coalizione valgono oro, perché sarebbero la riprova (almeno nell’idea dei suoi promotori) della non egemonia del Pd sull’operazione.
Con il listone unico invece, lo spostamento dell’equilibrio politico da sinistra al centro sarebbe invece affidato alla scelta dei candidati.
Vale la pena notare, in attesa che le varie parti si confrontino al loro interno per decidere che strada prendere, che la formula vincente a Rimini è stata esattamente opposta: tante liste, tanti candidati motivati (anche a non fare brutta figura), rappresentanza estesa sia geografica che professionale che valoriale; soprattutto generando un’impressione di interesse e di fiducia nella politica che, alla prova dei fatti, si è dimostrata contagiosa.