Rimini. Giudici (Pdl) e il “bene comune in salsa cattocomunista”
Domandone. Cos’è il bene comune? Il Comune di Rimini da martedì ne ha data una definizione (sarebbe meglio dire limitazione) precisa nascosta dietro all’introduzione nello statuto di una norma secondo cui il “bene comune” è adesso tra i “principi fondamentali per l'azione amministrativa del comune”. Bello. Non fosse che nella delibera approvata, dove si fa espresso riferimento ai referendum, si dice a un certo punto, per esempio, che “beni comuni sono l’acqua, il territorio, le aree verdi, le spiagge, il patrimonio culturale e naturale, e tutti quei beni e servizi che appartengono alla comunità dei cittadini, e dei quali, dunque, alla comunità non può essere sottratto né godimento, né la possibilità di partecipare al loro governo e alla loro gestione”. C'è perlomeno una riduzione di bene comune a beni comuni.
La delibera dice anche che “è volontà dell’amministrazione di Rimini garantire i beni comuni: in quanto utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali, nonché al libero sviluppo della persona; in quanto bene di appartenenza collettiva e sociale, oltre la distinzione pubblico-privato e proprietà-gestione; attraverso un governo pubblico partecipato; per un utilizzo equo e solidale; per tutelare le generazioni future; per tutelare i bei come l’acqua, quali condizioni imprescindibili per garantire, attraverso il diritto di ciascuno al minimo vitale giornaliero, il diritto alla vita”.
Quindi, il Comune di Rimini ha aggiunto all’articolo 3 dello statuto dopo il comma 3 anche un comma 3 bis che dice: “Il Comune di Rimini, anche al fine di tutelare le generazioni future, garantisce il pieno riconoscimento dei beni comuni in quanto funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona nel suo contesto ecologico”. E il contesto morale, psichico, fisico, etico e via dicendo? Non è strano, allora che in prima battuta in consiglio comunale questa limitazione del significato di bene comune abbia fatto fatica a passare. Sarebbero stati necessari i due terzi dei voti. Hanno votato contro Pdl e Fratelli d’Italia. Martedì scorso con 22 voti su 32 più sindaco, a maggioranza è passato.
Parla di “bene comune in salsa ‘catto-comunista’”, Eraldo Giudici del Pdl. “Non è certo un gran risultato per l’assessore alle Politiche ambientali Sara Visintin per la sua proposta di introduzione nello Statuto del concetto di “bene comune”, piuttosto riduttiva, in senso tutto economicista, tipicamente marxista, con riduzione del "bene comune" a quei beni necessari alla sopravivenza di ciascun individuo; il che commuove un po’ tutti, specie quando si spiega che tali "beni comuni" devono essere gestiti garantendone l’accesso universale, la conservazione per le generazioni future in quanto funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona nel suo contesto ecologico”.
Qual è allora il punto in cui alla commozione segue altro? “Quel che non ci ha visto d’accordo, per questo ci siamo astenuti, è stata proprio la riduzione del ‘bene comune’ ai ‘beni comuni’. Perciò, stuzzicati, abbiamo chiesto di sapere, proprio al riguardo dell'acqua, la fine che fanno le somme raccolte in eccesso da Hera, da Romagna acque, ecc. rispetto ai costi reali derivanti dalla gestione del ciclo idrico nella nostra città, che non vorremmo fossero solo i diritti fondamentali di coloro che stanno seduti sugli scranni delle nostre multiutilities”.
Su questo interviene anche Gennaro Mauro. “Mi domando – spiega - su cosa si volesse votassimo, dal momento che le amministrazioni comunali di sinistra hanno già venduto le acque del Marecchia a Romagna Acque e quindi hanno già provveduto a privatizzare il bene comune”.
Nonostante quel bene comune ridotto a “bene demaniale” che pende da martedì sulle teste di tutti i riminesi (con buona pace di Socrate e allievi) Giudici si auspica “ che l’attività politico-amministrativa sia davvero caratterizzata da passione per il “bene comune”, che per noi è innanzitutto passione ed impegno personale per il benessere di tutti, sotto tutti i profili, da perseguire nell’azione di mediazione politica, e non solo un nuovo codicillo introdotto all’articolo 3 dello Statuto”.
Lavorare per il bene comune è, dunque, “responsabilità di tutti, non può essere una mera enunciazione di principi, che sarebbe un pessimo risultato proprio per quel processo catto-comunista partito dalla Commissione Rodotà del 2008 cui si rifà la Visintin; processo che non si è affatto affermato col referendum in difesa dell’acqua pubblica, ahimè disatteso, com’era prevedibile. Proponiamo quindi di dare corso agli impegni assunti, adottando un provvedimento che imponga un parere di corrispondenza ai principi enunciati per tutti gli atti amministrativi emanati dalla Giunta e dal Consiglio del Comune di Rimini”.