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Il linguaggio della scultura di Ennio Morri

Lunedì, 27 Maggio 2013

8bIl linguaggio della scultura di Ennio Morri

 

Si è inaugurata sabato 12 maggio presso la clinica Merli una mostra commemorativa di Elio Morri (scultore riminese) a cento anni dalla nascita e a vent’anni dalla prima mostra pubblica riminese realizzata nel 1983 per ricordare l’artista che era scomparso pochi mesi prima

 
Di Morri non ho ricordi personali, se non per il fatto che il suo studio era poco distante dalla bottega di mio padre e da ragazzino l’ho visto qualche volta in cerca di ritagli di legno rugoso da utilizzare per le sue sculture, ma di certo è forte il ricordo del suo studio allocato in fondo al cortile tra i resti di palazzo Lettimi in via Tempio Malatestiano, le pareti altissime sovrastate da un tetto di fortuna e lucernari.


Entrai in quello studio con un’allegra brigata di giovani artisti qualche anno dopo la sua morte perché il Comune, proprietario dello stabile, ci aveva concesso di realizzarvi una mostra sulla nuova generazione di artisti che si affacciava sulla scena riminese. Le sculture dell’artista ovviamente non c’erano più, ma ancora, in quell’antro arroccato e misterioso, noi vi trovammo ben vivido lo spirito dell’arte di Morri. Del resto le “macchine” della bottega artigiana erano ancora tutte presenti: il grande trespolo girevole per le sculture monumentali e il graticcio a parete con le travi chiodate per farvi aggrappare la creta su cui modellare le formelle di grandi dimensioni, il bancone da lavoro e, su un lato, un lungo mobile a scaffali per riporre oggetti, colori, piccole sculture. Le attrezzature realizzate da Morri in loco con legno di recupero, soprattutto assi e cantinelle in abete grezzo da cantiere edile, emanavano ancora un fascino incredibile e ci fu impossibile intervenire su alcuna di esse, tanto che ognuno degli otto ribaldi creò la propria opera ritagliandosi una voce che dialogasse con gli oggetti presenti. Nacque così l’Officina riminese – con un tributo all’artista Morri – scultore in Rimini.


La mostra che oggi riunisce alcune sue opere e disegni, vuole ricordarlo a cento anni dalla nascita e vent’anni dopo la grande mostra che fu realizzata postuma a pochi mesi dalla scomparsa dell’artista. Vi sono riunite opere di piccolo formato ma appartenenti alle varie fasi creative dell’artista, dal figurativo di impronta novecentista dei primi anni di maturità artistica alle forme destruttutate degli anni sessanta. Sono spesso lavori ad uso pubblico come il Sigismondo a cavallo utilizzato per un premio cittadino o i bozzetti per opere monumentali poi fuse in bronzo; sculture in legno di impronta classica come il Nudo di giovinetta e altre in cui la scomposizione formale delle figure di Nudo nello spazio si fa più astratto-modernista, a prendere l'impronta da Moore e da Minguzzi; il ritratto di Lorenzo Morri che, pur del sessanta, ripercorre invece l'esperienza del Novecento con un confronto più serrato con le opere di Arturo Martini, che già nei suoi lucidi scriiti sull’arte della scultura, l’aveva definita una lingua morta e con un certo Fontana, il Fontana della prima stagione figurativa con i suoi ritratti ricoperti a foglia oro a fare da riferimento.


Proprio in questo dilemma continuo tra astrazione e figurazione più classica si svolge tutta la tensione evolutiva, il linguaggio della scultura di Ennio Morri che, credo, non trovi soluzione: come evidenziato anche dai disegni dove un prigione, di impronta sironiana, segue l'impronta del grande maestro in quella propensione dei suoi anni tardi a rinchiudere le figure dentro una gabbia, quasi ad impedire alla figura di essere soggetto umano.


Morri è stato sicuramente un artista vero operante però ai confini del dibattito culturale dove la committenza, sia pubblica che privata, non usciva forse da un certo provincialismo. Certo, appare chiaro che in questo dilemma l’artista si sia dibattuto, tra le proprie necessità espressive e le richieste di questa committenza un po’ tradizionalista, tra il bisogno di sentirsi moderno e di partecipare a quel dibattito culturale che aveva portato, prima, all’abbandono della riconoscibilità del soggetto, cioè all'astrazione, e, in seguito, negli anni settanta del novecento, prefigurato la fine dell'arte stessa e la sua formazione umanista di artista che gli impediva di cancellare totalmente ogni riferimento alla figura. E in questo dilemma, e contraddizione, pare svolgersi l’intera avventura artistica di Morri.
Alessandro La Motta


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