Cori allo stadio. Molto rigore per nulla
La regola è questa: "Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale e/o etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”. Se a commettere la violazione è il pubblico, paga la società. Le sanzioni non sono interpretabili, si va a salire: settore a porte chiuse per la prima violazione, stadio chiuso per la seconda, partita persa 3-0 a tavolino alla terza, sino ad arrivare all’esclusione dal campionato. Succede che a maggio il congresso dell’Uefa abbia inasprito le pene per i casi di razzismo negli stadi, l’articolo 14 parla infatti di “chi insulta la dignità umana di una persona o di un gruppo di persone in qualsiasi modo, inclusi il colore della pelle, la razza, la religione o l’etnia”. La Figc, come evidenziato sopra, ha esteso il concetto di razzismo a tutta un’altra serie di discriminazioni, compresa quella che riguarda l’origine territoriale. Per “discriminazione territoriale” s'intendono cori, insulti e sfottò che, generalmente, una curva rivolge alla tifoseria ospite, “colpevole” di provenire da un’altra regione d’Italia. Si parla di questo nell’ultima settimana pallonara, dopo l’episodio accaduto a Torino durante Juve - Milan con alcuni tifosi rossoneri che hanno intonato quel coro che gira negli stadi dai tempi di Maradona, quindi da 35 anni, sui cani che scappano dalla puzza per l’arrivo dei napoletani e via dicendo, ricordando colera e terremoti vari. Discriminazione territoriale appunto. In un paese non razzista come l’Italia tutti abbiamo stigmatizzato i buu all’interno degli stadi, così come l’infelice prima pagina della Gazzetta dello Sport su Balotelli raffigurato come uno scimmione sul Big Ben, o ancora le banane agitate contro il ministro Cécile Kyenge: è giusto tenere a freno certi episodi, reprimere certi comportamenti ma insomma, il più delle volte la deplorazione non valica il confine del disagio per una frase stupida o un gesto idiota. Il punto è che con la regola della discriminazione territoriale, si parla di altro. Per fare un esempio dalla curva si può urlare “laziale di merda” senza che nessuno punisca nessuno ma non “laziale romano di merda”, offese entrambe, ma diverse per la Figc. È come se di punto in bianco, dopo anni di totale permissivismo, si fosse passati all’applicazione draconiana della legge. La cosa però non sta in piedi e il corto circuito arriva dagli stessi tifosi napoletani che il 6 ottobre, nella partita al San Paolo contro il Livorno, hanno esposto uno striscione enorme con su scritto “Napoli colera” accompagnato da un altro “E adesso chiudeteci la curva”. Un segnale di sfida alle istituzioni, che si troverebbero a dover sanzionare tifosi per striscioni e cori contro se stessi. La verità è che nessuno si è mai sentito discriminato per questi sfottò e che ancora una volta si cerca di contenere la passione che a volte si manifesta in modo sguaiato, scomposto, intollerante come se il tifo più “acceso” si potesse contenere nel politicamente corretto, nel bon ton stile Ascot. Non è così. Poi è vero che tra il mondo ultras in quella terra di nessuno, in quella zona opaca della società, ci sono personaggi borderline con infiltrazioni di ogni tipo che a volte tengono sotto scacco le società e il pallone in generale e queste situazioni che vanno risolte ma c’è anche gente diversa. Gente con una “fede” difficile da comprendere da fuori, legata da un senso di appartenenza che afferma la propria identità sia indossando la dodicesima maglia, sia con lo sfottò, l’insulto dell’altro. L’odio a volte. Sì perche la maglia è una fede monoteista e solo così si può spiegare l’assurdo percorso tra tessere varie, file al botteghino, viaggi in pullman e filtraggi che il tifoso comunque accetta prima di arrivare alla curva. Si distingue certo, perché i confini della civiltà non possono essere oltrepassati ma allora perché in altri paesi il tifoso incivile, violento, razzista viene prelevato, portato fuori dallo stadio, processato e punito e da noi nessuno prende di petto il problema, salvo poi chiudere gli stadi per un semplice sfottò. Perché di questo si parla oggi, nessuno si è offeso o sentito discriminato a Napoli. Che poi a ben guardare ci sono certi sfottò che sono perle di humor, come per esempio “cesenate, romagnolo fallito, mangi la piada alta un dito” esposto dai tifosi del Rimini al Manuzzi durante un derby o ancora quello fantastico degli stessi tifosi napoletani a Verona in risposta al solito sulla puzza e il colera, “Giulietta è ‘na zoccola” scrissero. Un po’ più del campanile va ammesso, e a volte si va troppo oltre ma in questo alzarsi una mattina, per decidere di sdraiarsi sul perbenismo, anche un po’ ipocrita se vogliamo, partendo poi proprio dalla curva e dagli ultras, qualcosa non torna e pare l’ultima trovata sul nulla per evitare di affrontare seriemente i problemi del pallone, così come del resto accade nel nostro Paese. In questo contesto, nasce a Rimini il nuovo gruppo della curva, i “Red White Supporters”: in bocca al lupo ragazzi e fate i bravi, se potete.
Francesco Pancari