La Chiesa dopo il Concilio. Il libro di don Roberto Battaglia
Quale idea, quale immagine di Chiesa ha lasciato il Concilio Vaticano II? Un libro appena uscito dall’editore Cantagalli contiene la risposta già nel titolo La Chiesa evento di comunione. L’autore è un sacerdote riminese, don Roberto Battaglia, parroco di Montescudo, docente di teologia fondamentale, assistente diocesano di Comunione e Liberazione.
«La pubblicazione del mio lavoro – spiega – giunge a compimento nel contesto dell’Anno della fede, indetto nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, segnato dalla rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino e dall’inizio del pontificato di Francesco. Entrambi, con i loro gesti e le loro parole, affermano che l’origine della Chiesa non sta nei nostri progetti ma nell’azione di Dio nella storia. L’origine della Chiesa sta in questa comunicazione del Dio trinitario che raggiunge l’uomo, lo coinvolge appunto in una comunione che è all’origine della comunità ecclesiale. Il libro prende spunto dalle conclusioni del Sinodo del 1985, dedicato alla ricezione del Concilio a vent’anni dalla sua conclusione, dove è stato detto che dai documenti conciliari emerge una visione della Chiesa come evento di comunione».
Spesso però questa idea fondante è stata rivenuta nel concetto di popolo di Dio. «La Chiesa come comunione non è espressa in modo esplicito e immediato nei documenti conciliari. Nel dibattito post-conciliare è emersa però come l’immagine più adeguata ad esprimere l’ecclesiologia soggiacente a tutto il Vaticano II. Anche papa Benedetto XVI, nel dialogo con il clero romano dopo la sua rinuncia al ministero petrino, ha osservato che “dopo il Concilio è stato scoperto, direi, come il Concilio, in realtà, abbia trovato, abbia guidato a questo concetto: la comunione come concetto centrale. Direi che, filologicamente, nel Concilio esso non è ancora totalmente maturo, ma è frutto del Concilio che il concetto di comunione sia diventato sempre più l’espressione dell’essenza della Chiesa, comunione nelle diverse dimensioni: comunione con il Dio Trinitario (che è Egli stesso comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo), comunione sacramentale, comunione concreta nell’episcopato e nella vita della Chiesa”».
Il libro di don Battaglia è stato presentato nei giorni scorsi in un incontro pubblico, presente il vescovo monsignor Francesco Lambiasi, al quale ha partecipato anche il professor Gilfredo Marengo, docente di Antropologia Teologica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Roma e Membro del Comitato scientifico del Centro Studi e Ricerca "Concilio Vaticano II" della Pontificia Università Lateranense. «Attraverso una rassegna critica degli studi riguardanti l’ecclesiologia di comunione, nel periodo compreso tra il 1985 e il 2000, ed esaminando un’ampia letteratura nelle aree linguistiche italiana, francese, spagnola e inglese – ha osservato Marengo – l’autore presenta la recezione della nozione di “communio” in ordine ad una migliore conoscenza dell’insegnamento conciliare sulla Chiesa. Il pregio di questo lavoro consiste innanzitutto nel fornire una visione sintetica del dibattito ecclesiologico sul tema, permettendo al lettore di orientarsi nella vasta bibliografia considerata e di cogliere al tempo stesso le principali linee di sviluppo dell’ecclesiologia di comunione».
Cosa è emerso, chiediamo a don Battaglia, in quel dibattito? «Dal mio studio – risponde il sacerdote – emerge che il dibattito si blocca quando si riduce la questione ad un problema intraecclesiale, come quello, per esempio, relativo al rapporto fra Chiesa universale e Chiesa particolare. Invece la comunione è il concetto adeguato per capire l’essenziale della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha innanzitutto affermato il primato di Dio a partire dalla Sacrosanctum Concilium, un Dio che si rivela nella storia (Dei Verbum) per coinvolgere l'uomo nella comunione con Lui. Per questo ha concepito la Chiesa come tutta costituita dal comunicarsi della comunione trinitaria, dalla presenza viva del Corpo di Cristo che opera nella storia attraverso il Suo Popolo (Lumen gentium). Una Chiesa che guarda a Dio incrocia l'uomo concreto, perché solo "Cristo svela l'uomo all'uomo" (Gaudium et Spes). Questo è l'essenziale, Dio che si rivela nella storia, come ha detto Papa Francesco nell'intervista a Civiltà Cattolica, l'essenziale che "scalda il cuore".
Da questo punto di vista il contributo della mia ricerca va nella direzione del superamento di ciò che è stato chiamato ecclesiocentrismo. Una Chiesa che pone se stessa al centro non è capace di incontrare gli uomini.
Su questo punto c’è un’evidente continuità nel magistero degli ultimi pontefici. Giovanni Paolo II invitava ad evitare un chiuso «centrismo della Chiesa» che tradirebbe la genuina ispirazione del Vaticano II. Il teologo Joseph Ratzinger, e poi il papa Benedetto XVI, ha sempre ricordato che la Chiesa non esiste per se stessa ma per annunciare Dio. Papa Francesco ha sottolineato che “la Chiesa non è un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma è opera di Dio”. Francesco richiama continuamente pastori e fedeli a non essere preoccupati “dell’organizzazione e delle strutture”, ricorda che “se noi andiamo avanti con l’organizzazione, con altre cose, con belle cose, ma senza Gesù, non andiamo avanti” e che la Chiesa deve uscire da se stessa per andare verso le periferie esistenziali.
Dire Chiesa come comunione è ribadire l’essenziale, l’avvenimento nel quale riaccade la contemporaneità di Cristo. Questo è ciò che va messo a tema. Al contrario, una Chiesa che parla di se stessa non è interessante e, in questa prospettiva, lo stesso dibattito ecclesiologico finisce per ridursi a questioni di potere, lontane dalle esigenze dell'uomo».
Valerio Lessi