Rimini, 100 milioni il debito del sistema fieristico congressuale
Nel sistema fieristico-congressuale di Rimini non c’è solo Convention Bureau in sofferenza. La società presieduta da Roberto Berardi appare in questo momento come l’anello più debole di una catena che però non gode complessivamente di una salute di ferro. Visto il deficit di un milione di euro con cui si chiuderà il bilancio del 2013 e la non disponibilità e/o l’impossibilità dei soci di minoranza di partecipare alla ricapitalizzazione, il suo destino può anche essere quello della chiusura ed il passaggio dell’attività congressuale sotto la diretta gestione di Rimini Fiera.
Ma, come si diceva, il problema non è solo Convention Bureau. Secondo uno studio condotto dall’ex assessore Mario Ferri e basato sui bilanci del 2012, il sistema fieristico congressuale di Rimini è indebitato complessivamente per più di 100 milioni di euro. Sono quattro le società coinvolte. Di Convention Bureau si è detto, vediamo la situazione delle altre tre.
La prima è Rimini Fiera Spa (detiene il 72 per cento di Convention Bureau), che chiude il 2013 con un calo di fatturato di circa 5 milioni ed un leggero attivo (320 mila euro) ma il Gruppo di cui fa parte ha un bilancio negativo di 1,9 milioni di euro. La società al 31 dicembre 2012 presentava un’esposizione bancaria per più di 36 milioni di euro. Va comunque detto che Rimini Fiera ha saputo far fronte alla situazione di crisi del mercato.
La Palazzo dei Congressi Spa, proprietaria dell’immobile dove si svolgono i congressi, alla stessa data risulta indebitata con le banche per oltre 29 milioni di euro. Per la costruzione del Palacongressi è stato contratto con il Monte dei Paschi un mutuo del valore di 28 milioni. Il piano finanziario prevedeva che Convention Bureau pagasse un affitto annuo di 1,1 milioni (ma il Cda visti gli andamenti del mercato ha chiesto che venga dimezzato) e che le royalties pagate dagli albergatori fruttassero 1,1 milioni all’anno, mentre nel 2012 si sono fermate a 300 mila euro. Sul tappeto c’è anche la vertenza con la società costruttrice, la Cofely Italia alla quale sono stati chiesti 21 milioni per i danni derivanti dalla ritardata apertura del Palacongressi. Soci di questa società sono Rimini Fiera (34%), Rimini Congressi S.r.l. (64,65%), Rimini Holding S.p.a. (0,38%), Camera di Commercio (0,38%), Provincia di Rimini (0,38%).
Un altro tassello di questo mosaico è rappresentato da Rimini Congressi srl, società i cui soci sono per un terzo ciascuno Rimini Fiera, Provincia di Rimini e Camera di Commercio. Rimini Congressi non ha altra funzione che quella di essere uno strumento di indebitamento per finanziare la costruzione del Palacongressi. A questo scopo è stato contratto un mutuo di 46,5 milioni di euro con Unicredit che come garanzia ha preteso il pegno sulla partecipazione di maggioranza in Rimini Fiera (52%) e le lettere di patronage di Comune di Rimini e Provincia di Rimini.
La società si è avvalsa dell’accordo sulle “Nuove misure per il credito alle PMI”, sottoscritto fra ABI e le associazioni di categoria, ottenendo così che nel 2013 fosse sospeso il pagamento della quota capitale. Da gennaio 2014 il pagamento del mutuo dovrebbe quindi riprendere regolarmente.
Il piano finanziario prevedeva anche che Rimini Congressi S.r.l. potesse rientrare dall’esposizione bancaria tramite la vendita di una partecipazione di minoranza in Rimini Fiera S.p.a che però è apparsa fin da subito di difficile realizzazione.
Un altro strumento per ridurre l’indebitamento è la cessione delle aree di via della Fiera e di via Emilia. Ma la condizione essenziale per un’eventuale vendita è il cambio di destinazione d’uso, vanno cioè rese edificabili. Nella conferenza stampa di inizio dicembre il presidente di Rimini Fiera Lorenzo Cagnoni aveva annunciato che prima di Natale il Comune di Rimini avrebbe presentato la relativa variante urbanistica. Non è accaduto e si capisce anche il perché: rendere edificabili quelle aree contrasta con lo stop al mattone del sindaco Andrea Gnassi. Ma anche nel caso si facesse l’eccezione, con l’attuale crisi dell’edilizia chi potrebbe essere interessato?
La tabella che segue fotografa l’andamento delle quattro società nel triennio 2010-2012
Volendo fare una sintesi di tutti questi dati emerge una situazione più che preoccupante:
• Un indebitamento bancario consistente e deludenti risultati economici delle società che fanno parte del sistema fieristico-congressuale riminese;
• L’indebitamento attuale ha superato quello programmato, nonostante i versamenti in conto futuro aumento di capitale da parte dei soci pubblici di Rimini Congressi S.r.l. per 15 milioni di euro;
• La maggioranza del capitale di Fiera Rimini S.p.a. è in pegno ad Unicredit che dispone anche di lettere di patronage da parte del Comune e della Provincia di Rimini;
• Non ci sono prospettive positive per la cessione della minoranza delle azioni di Rimini Fiera S.p.a. (detenute dalle associazioni di categoria) corrispondente al valore di 168 milioni di euro.
Non si tratta di fare degli allarmismi o di intonare un de profundis prima del tempo e soprattutto prima di aver tentato di rilanciare la partita. Il caso Aeradria è lì ad indicare che gli allarmi vanno colti per tempo. Ma nel mondo politico e istituzionale riminese c’è qualcuno disposto a farlo?