Temeroli: vi spiego come e perché Rimini Fiera va privatizzata
Ma i soci pubblici ci credono alla privatizzazione di Rimini Fiera come mezzo per uscire dall’indebitamento insostenibile per il Palacongressi?
La domanda l’abbiamo posta in relazione al modo con cui si è appreso che Comune, Provincia e Camera di Commercio hanno deciso di vendere il pacchetto di maggioranza di Rimini Fiera: lo si è saputo quasi per caso nel corso di una commissione comunale dedicata al bilancio di Rimini Holding.
L’incaricato ad avviare il processo di privatizzazione è Maurizio Temeroli, nella sua veste di presidente di Rimini Congressi, la società che ha contratto l’ormai famoso mutuo di 46 milioni con Unicredit.
«Mi sembra – afferma Temeroli – che a volte si dimentichi con troppa facilità, anche fra gli addetti ai lavori, che la privatizzazione della Fiera era stata già decisa in tempi non sospetti. Nell’accordo del 2005 sul piano finanziario era stabilito che una parte dei costi del Palacongressi doveva comunque essere coperto dalla vendita di quote di Rimini Fiera. All’epoca la società era ancora al cento per cento di proprietà pubblica».
E poi cosa è successo?
«E’ successo che il processo di privatizzazione si è fermato al primo step. E’ stato venduto solo il 15 per cento alle associazioni di categoria e alla società che a loro fanno riferimento. Devo dire che da quella cessione ai soci pubblici non è arrivato un euro».
Perché quel processo di privatizzazione non andò avanti?
«Perché - detta con un’immagine - si vivevano tempi felici e si pensava che non fosse necessaria. Si è quindi optato per fare il mutuo con Unicredit, perché il Palacongressi doveva comunque essere finanziato».
Mutuo che adesso si fa fatica a pagare…
«Sul piano finanziario del Palacongressi hanno avuto un forte impatto tre elementi: il blocco della privatizzazione di Rimini Fiera; la crisi economica che ha diminuito fortemente la redditività della Fiera e l’attività congressuale; la prossima “sparizione” di una delle tre gambe su cui si reggeva il tavolo, cioè la Provincia».
Non c’è forse un peccato originale, cioè le previsioni esagerate e ultra-ottimiste sull’attività del Palacongressi?
«L’eccesso di ottimismo forse è stato provocato dal successo che ha avuto l’operazione di costruzione della Fiera. Anche in quel caso ci sono state polemiche. Sulla collocazione e sulle dimensioni che si ritenevano spropositate. Poi la Fiera si è affermata. Certo che se invece die due Palacongressi se ne fosse costruito solo uno, oggi la situazione sarebbe diversa. Comunque, più che recriminare sul passato, è importante trovare una soluzione che possa giovare all’economia del territorio».
E qual è la soluzione per uscirne?
«E’ quella che i tre soci pubblici hanno indicato: va ripreso il processo di privatizzazione. Con una novità importante e fondamentale: questa volta si mette in gioco il pacchetto di maggioranza di Rimini Fiera, e con tempi veloci. Però mi preme sottolineare che non decidiamo di privatizzare perché non possiamo farne a meno. La strada – ripeto - era già tracciata dall’accordo del 2005 e mai smentita in nessun successivo documento scritto».
In realtà si ha l’impressione che sia più una necessità che una scelta voluta e consapevole.
«A parte la crisi, che può dettare ritmi più serrati, secondo me è giusto privatizzare. L’ente pubblico fa bene a compiere importanti investimenti che tornano a beneficio delle aziende locali e del territorio. Ma una volta svolto questo ruolo propulsivo, fa bene a rientrare, a cercare di realizzare un guadagno da reinvestire in altre opere pubbliche, sempre a vantaggio del territorio. C’è chi, per principio o motivazione ideologica, è contrario alla privatizzazione. Subito dopo però deve presentare un piano economicamente sostenibile, altrimenti resta una posizione ideologica».
Nel dibattito di queste settimane si è parlato di “vendere i muri”, “vendere le manifestazioni”, ecc. Come stanno le cose?
«L’unica condizione che poniamo è che i marchi, le manifestazioni restino a Rimini, che non ci sia una sorta di spacchettamento deleterio. Per il resto Rimini Fiera è una società che riunisce in sé la proprietà dei muri e della gestione. Se si decide di cedere il pacchetto di maggioranza, si vendono insieme l’uno e l’altro. Si potrebbe scoprire che il mercato è più ricettivo e disponibile ad acquistare solo la gestione o solo i muri. In questo caso si dovrà procedere allo spin-off, cioè alla separazione di proprietà e gestione».
Come sarà questo processo di privatizzazione?
«Sarà condotto con la massima trasparenza, con un bando ad evidenza pubblica. Su questo posso rassicurare tutti coloro che hanno manifestato dubbi o pensieri obliqui. Ci faremo assistere da un advisor che ci dica cosa il mercato è in grado recepire. La nostra posizione è che cediamo tutto ciò che il mercato è in grado di recepire».
Sembra che il presidente Lorenzo Cagnoni non sia molto d’accordo con la privatizzazione…
«Lui e anche altri sostengono che questo, a motivo della crisi, non è il momento buono per vendere. Certo anche un privato se deve vendere un appartamento aspetta un momento più favorevole. Bisogna però guardare al mercato mondiale, esistono paesi che non sono in crisi come il nostro. Penso che qualcuno interessato ci possa essere, in ogni caso dobbiamo verificarlo. Al momento comunque non vedo alternative. I due soci pubblici che restano, Comune e Camera di Commercio, forse potrebbero anche sostenere l’onere del mutuo, ma attingendo risorse da altri settori che così resterebbero sguarniti. La coperta è diventata stretta».