La Chiesa di papa Francesco. Conversazione con Alessandro Banfi
In papa Benedetto c’è l’attesa, la profezia, il germe di papa Francesco. Una lettura decisamente controcorrente (almeno contro una certa corrente in voga sui media, spesso anche cattolici) quella che Alessandro Banfi, direttore di Tgcom, ha proposto all’incontro promosso dal centro culturale Il Portico del Vasaio per capire meglio la Chiesa di Francesco.
Le prime domande che hanno dato il via alla conversazione erano proprio sulla presunta contrapposizione far i due pontefici. Banfi ha spiegato e ben documentato che è stata l’ansia di rinnovamento della Chiesa a spingere Benedetto alla rinuncia e a generare Francesco. Non solo perché il grande gesto di libertà e umiltà del primo è stato la condizione perché al soglio di Pietro fosse eletto il cardinale di Buenos Aires che nel 2005 si era ritirato dalla corsa per il bene e l’unità della Chiesa.
Benedetto, che si é definito povero mendicante davanti a Dio, Benedetto che è entrato in colloquio con Celestino V fino a stendere il suo pallio sulla tomba nella basilica di Collemaggio, Benedetto che ha ripetuto il gesto di Celestino V che si era spogliato degli abiti papali così come San Francesco si era spogliato di quelli mondani, Benedetto che si scopre prigioniero in casa sua e capisce che un papa ha il diritto e in certi casi anche il dovere di lasciare. Benedetto che apre il pontificato con la purificazione della ragione, prosegue con la purificazione della fede e intuisce che è arrivato il momento per una purificazione della Chiesa. Così come San Francesco nel suo testamento ringraziava il Signore perché gli aveva donato di cominciare a convertirsi. Sono numerose le suggestione che Banfi ha proposto per suffragare che la novità Francesco non si spiega senza la novità Benedetto.
Ma qual è la Chiesa che Francesco ha in mente? Cosa c’è dietro alle sue parole e soprattutto dietro ai gesti che tanto colpiscono l’opinione pubblica? Banfi spiega Francesco citando Francesco, come nella risposta a Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera: «Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie. Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Quando si dice per esempio che esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale». Oppure come nel racconto del pentimento per quel giovane imbevuto di psicofarmaci che non voleva confessare perché aveva altro da fare. Oppure con la citazione della Evangelii Gaudium dove Francesco spiega che «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Una Chiesa che capisce che c’è qualcosa che non va se nella predicazione si parla «più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio». Una Chiesa che preferisce parlare il linguaggio della testimonianza piuttosto che attardarsi sulla restaurazione di forme del passato. È una Chiesa che, per dirla con uno psichiatra che forse non è nemmeno credente, parla il linguaggio della testimonianza perché solo questa può unire la legge e il desiderio.
Non potevano a questo punto mancare nella conversazione le domande sulla posizione di Francesco su quelli che vengono definiti i valori non negoziabili, sulla questione dei divorziati, dei gay. Francesco parla il linguaggio della misericordia e della tenerezza, propone un Vangelo della gioia e non un insieme di regole. L’etica, nella sua visione, è solo una conseguenza dell’amore, di un’attrattiva verso Gesù. E non è neanche vero che non è duro contro il peccato, specialmente quando si fa corruzione, cioè abitudine consolidata e giustificata. Cioè quando il cristiano insegue un proprio potere nel mondo e sul mondo, invece che mendicare la presenza che libera.
E infine la Chiesa povera, dei poveri. Sempre nell’Evangelii Gaudium ha spiegato perché ne parla tanto: «Gesù ci ha indicato questo cammino di riconoscimento dell’altro con le sue parole e con i suoi gesti. Perché oscurare ciò che è così chiaro? Non preoccupiamoci solo di non cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza».
Ed infine una “chicca” del giornalista che si è trovato a vivere come cronista il mese straordinario che va dalla rinuncia di Benedetto all’elezione di Francesco. Bandi nella diretta da piazza Pietro, prima dell’Habemus Papam, aveva osservato che l’attesa della gente era per un papa che prendesse finalmente il nome di Francesco. Il resto è storia nota.