Rimini, la crisi, l’evasione. I numeri e il parere del prof Amenta
Hanno fatto discutere – come era prevedibile – i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2012 diffusi dal Ministero delle Finanze.
Prima di ogni considerazione, ricapitoliamo i dati relativi al capoluogo Rimini.
Numero dei contribuenti 113.456
Contribuenti con redditi da lavoro dipendente o assimilati 58.021 / Reddito medio pro-capite dei dipendenti 17.594
Contribuenti con redditi da pensione 37.895 / Reddito medio pro-capite dei pensionati 15.547
Contribuenti con reddito da lavoro autonomo 2.939 / Reddito medio pro-capite lavoro autonomo 37.245
Contribuenti con reddito da imprenditore 496 / Reddito medio pro-capite imprenditori 30.904
Contribuenti imprenditori contabilità semplificata 4.710 / Reddito medio pro capite 16.558
Contribuenti con redditi da partecipazione 9.470 / Reddito medio pro capite 15.000
Contribuenti con redditi pari a 0 o in perdita 798 / Valore delle perdite –7.703.766
Dichiarano da 0 a 10.000 euro 36.726
Dichiarano da 10.000 a 15.000 euro 16.559
Dichiarano da 15.000 a 28.000 euro 33.009
Dichiarano da 26.000 a 55.000 euro 19.030
Dichiarano da 55.000 a 75.000 euro 2.120
Da 75.000 a 120.000 euro 1.468
Dichiarano oltre 120.000 euro 668
Reddito medio città di Rimini 18.469
Facendo un raffronto con i dati nazionali, emerge che il reddito medio procapite di un riminese è inferiore (18.469 contro 20.280), quello di un lavoratore autonomo è superiore (37.245 contro 36.070), altrettanto quello di un imprenditore, mentre sono sulla stessa linea pensionati e redditi da partecipazione. Va specificato che per imprenditori si intendono le ditte individuali, sono quindi esclusi coloro che esercitano l’attività con una società. La precisazione è importante perché, per esempio, la stragrande maggioranza degli alberghi riminesi è gestito da società di persone. Inoltre, visto che ci si riferisce alle ditte individuali, imprenditore non equivale a datore di lavoro.
Messi nero su bianco i dati, fatte queste precisazioni, resta il compito dell’interpretazione. Rimini e la Riviera sono un paradiso dell’evasione fiscale? O, visto che un terzo dei contribuenti dichiara meno di 10mila euro all’anno siamo in un’area con evidenti sacche di povertà? Anche un politico molto sensibile al tema dell’evasione, come il presidente della Provincia Stefano Vitali, riconosce che l’altra faccia della medaglia è la crisi economica.
Colpisce il dato dei 798 contribuenti che dichiarano zero o che sono in perdita, colpisce anche il valore di queste perdite, quasi otto milioni di euro. Ci sarà evasione, ci sarà elusione, ma probabilmente c’è anche sofferenza economica.
Ci sono inoltre un terzo di contribuenti che sono pensionati ed è facile pensare che dietro quella media di 15 mila euro ci siano pensioni d’oro o d’argento ma anche pensioni minime che appunto non arrivano a 10.000 euro all’anno.
La realtà è complessa e non è piegabile a rappresentazioni semplificate, usate per dimostrate tesi precostituite.
Nei commenti usciti a livello nazionale, quasi tutti scandalizzati e inclini al giudizio moralistico sull’evasione come cronico vizio nazionale, si sono distinti due docenti di economia dell’Università di Palermo, Carlo Amenta e Paolo Di Betta. «Spesso si dimentica – spiega il professor Amenta a Inter-Vista – che lo stesso imprenditore percepisce un reddito come dipendente dell’impresa. E allora stipendi dei dipendenti e stipendi degli imprenditori, specialmente quando si tratta di piccole imprese, possono essere di valore simile. Lo stesso Ministero poi invita a tener conto che quando si parla di imprenditori si parla in questo caso di ditte individuali, che spesso hanno pochissimi dipendenti. Se le imprese turistiche di Rimini sono gestite da società, il reddito che emerge dalle dichiarazioni individuali Irpef non è l’utile della società, ma probabilmente il reddito dell’imprenditore come dipendente».
Amenta e Di Betta hanno voluto anche demolire il mito che l’Italia sia un paese di evasori. «Sia chiaro, è evidente che l’evasione c’è – afferma Amenta – ma bisogna valutarla con serietà e non con approssimazioni. L’indagine secondo noi più seria è quella che conduce ogni anno Master Card. Il nero italiano sarebbe pari al 21 per cento del Pil. È chiaro che è una dimensione importante, ma se ci confrontiamo con altri paesi europei scopriamo che anche virtuosi paesi nordici come la Svezia e la Norvegia hanno il loro 13 e 14 per cento. E la Germania, con il suo 14 per cento, ha in termini assoluti un valore del nero doppio di quello italiano».
Valerio Lessi