Quando un giornalista famoso si innamora di Rimini
Sarà che è nato nella stessa stanza che ha visto venire al mondo Paolo Mantegazza, il grande inventore ottocentesco della Rimini balneare e festaiola. Sarà che fin dagli anni Sessanta ha respirato in estate l’aria della Romagna. Sarà che sulle nostre spiagge, avendo come compagno di giochi Alessandro, figlio di Luca Goldoni, ha realizzato che il giornalismo sarebbe stato la passione della sua vita. Sarà per tutto questo, o per qualche altra misteriosa ispirazione, ma Michele Brambilla, da qualche mese direttore della Gazzetta di Parma, è un innamorato di Rimini.
Una città che ha ripreso a frequentare negli ultimi anni, a partire dal 2011, l’anno delle elezioni in cui Andrea Gnassi è diventato sindaco. Il giornale di cui era inviato ed editorialista, La Stampa, lo aveva mandato a seguire i risultati perché Rimini era data fra le città a rischio per il Pd. Poi ha conosciuto Ferruccio Farina, che lo ha introdotto nei segreti e nelle mille curiosità della storia balneare di Rimini. Quindi è stato invitato al Meeting a moderare una tavola rotonda, portandosi dietro tutta la famiglia, compresa l’ultima figlia, di quattro cinque anni, che da allora è una piccola fan di Rimini perché il nome della città le ricorda vacanze e divertimento. Succede così che negli ultimi anni un affermato giornalista, vice direttore de La Stampa e adesso alla guida di uno dei più antichi giornali italiani, abbia trascorso le vacanze a Rimini.
“Mi hanno preso in giro e mi prendono tuttora in giro perché preferivo e preferisco questa terra e questo mare a tanti lidi di gran moda.”. Lo scrive anche nel suo ultimo libro, Vinceremo di sicuro, edito da Piemme, in cui racconta l’epopea degli anni Sessanta, quando gli italiani inseguivano un grande sogno collettivo, convinti che il futuro sarebbe stato senz’altro migliore del presente. Vinceremo di sicuro, appunto.
Di quella epopea fa parte a pieno diritto Rimini, che in quegli anni diventa la meta di un popolo che finalmente può andare in vacanza. Nel libro Brambilla riporta la testimonianza di Pupi Avati che racconta le vacanze dei bolognesi all’inizio del boom economico. I poveri dovevano accontentarsi di stare in canottiera sui balconi con i piedi immersi in una bacinella d’acqua o al massimo di un bagno sulle rive del Reno. I ricchi, invece, facevano come la sua famiglia: caricavano tutti i mobili su un camioncino, venivano a Rimini, affittavano un garage, con una tenda divisoria lo trasformavano in un appartamento camera e cucina, e poi tutti sulla spiaggia, sotto una tenda, in attesa che la mamma arrivasse a mezzogiorno con la pasta asciutta fumante.
“Preferisco Rimini – spiega Brambilla – perché il calore dell’umanità romagnola non si trova da nessuna altra parte. Certamente c’è stato il cementificio, certamente ci sono stati gli anni delle spiagge super affollate. Ma oggi non è così. Oggi Rimini ha in Italia la spiaggia in cui si sta meglio, in cui c’è tanto spazio fra un ombrellone e l’altro. In Liguria sì che non c’è spazio, che si sta gomito a gomito. È vero che il mare forse non è il più bello, ma ricordo la battuta del film di Ligabue, Da zero a dieci. Non dice vado al mare, dice vado a Rimini. Perché Rimini non è solo il mare, è un insieme di cose. Il centro storico, il borgo, l’entroterra con paesi stupendi come Santarcangelo, San Leo, Verucchio, le tante opportunità di divertimento”.
Fa sempre impressione, a noi riminesi abituati ad elencare motivi di crisi e difetti della città, ascoltare i giudizi entusiasti di chi ci osserva dall’esterno. “La tentazione di parlar male della propria città e del proprio territorio è comune a tutti. – osserva Brambilla – Sono arrivato a Parma, una città dove si vive benissimo, e ho trovato lo stesso atteggiamento: siamo in declino, sono finiti gli anni d’oro. Quando ci si abitua ad un contesto, non si scorge più la sua bellezza. Il riminese non capisce che davvero il suo è un temperamento umano diverso. Solo a Rimini si accolgono i turisti non come fossero degli intrusi, ma con calore e simpatia”.
Nel suo libro Brambilla tesse l’elogio di una città che ha sempre saputo riprendersi dalle sue crisi: dal fallimento del primo stabilimento balneare, dai bombardamenti della seconda guerra mondiale (“Quando racconto che Rimini è stata la città più distrutta, nessuno mi crede”), dalla sciagura delle mucillagini in Adriatico. “La capacità di attrazione di Rimini – ripete con forza – è data dalla sua gente. Basti pensare ai tedeschi, che erano stati prigionieri da queste parti. Una volta tornati in Germania, quando hanno cominciato a potersi permettere una vacanza, dove sono andati? Sono tornati a Rimini, dove avevano vissuto momenti brutti, ma ricordavano lo spirito e l’umanità delle persone. E i riminesi sono stati capaci di accogliere i nemici di un tempo”.
Il libro sarà presentato domani, venerdì 5 febbraio, alla biblioteca Gambalunga (ore 17,30) avendo come testimonial il sindaco Andrea Gnassi e Ferruccio Farina.
Michele Brambilla è scrittore che ha al suo attivo numerosi libri, fra cui il long seller L’eskimo in redazione (con prefazione di Indro Montanelli) dedicato al conformismo ideologico con cui negli anni Settanta nei grandi giornali si guardava al fenomeno del terrorismo rosso. Un altro volume è dedicato al Sessantotto, Dieci anni illusioni. Altri libri sono invece di argomento religioso, fra cui Penso a Dio qualche volta di notte. Incontri con gente famosa, uscito nel 2012.