Flesdens. Il cinema al modo di Paolo Cevoli
È “Flesdens. Breve storia del cinema, dai cavernicoli a Fast&Furious” il nuovo, esilarante spettacolo di Paolo Cevoli. Il comico romagnolo torna a Riccione domenica 10 febbraio alle ore 17, al Palacongressi, per divertire, ma anche per contribuire alla raccolta fondi #TendeAvsi, (www.avsi.org) per sostenere quattro progetti in Siria, Brasile, Burundi, Kenya e Italia.
Secondo Cevoli il film più importante dell’intera produzione cinematografica mondiale è proprio Flashdance (o meglio Flesdens per scriverlo come si pronuncia correttamente in Romagna). Il cinema poi non l’hanno inventato i fratelli Lumière ma i cavernicoli. Infatti per fare cinema occorre una sala buia (e quella volta di caverne ce n’erano tante), una fonte luminosa per proiettare immagini (i Neanderthalesi usavano il fuoco) ma soprattutto una storia da raccontare.
Il comico vuole divertire e al tempo stesso raccontare una sua visione del mondo. Questa volta parlando di cinema. Con un pot-pourri che va da James Bond ad Alejandro Jodorowsky. Da Fellini a “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda”. Dal neo-realismo italiano a “Dalla Cina con furore”.
Durante lo spettacolo non vengono proiettate immagini o spezzoni di film, infatti, secondo Cevoli “gli spettatori si faranno il cinema nella loro testa. Come quando da bambino, il nonno ti raccontava le storie prima di addormentarti”. Non immagini quindi, ma tanta musica. Le più belle colonne sonore eseguite al pianoforte dal maestro Pietro Beltrani e interpretate dalla voce di Daniela Galli. La Regia è di Daniele Sala, la produzione di Roberto Gemelli.
Per Info: 339/3125052
Prevendite a Riccione:Spendibene Maxishop, via Finale Ligure 1, Poker Calzature, viale Dante 31.
Prevendite a Rimini:Jaca Book, via V. Colonna 17, Luca Carni, via Michele Rosa 29, Farmacia Versari, viale Tiberio 49
Costo del biglietto: euro 18 – Apertura sala e vendita biglietti dalle ore 16
Proposta per il passaggio d’epoca
Dio non è invadente. Non vince a tutti i costi. Per la libertà dell’uomo si sottomette alla debolezza. Dimostra così la propria onnipotenza. Gli è naturale scegliere l’impotenza per lasciare esistere l’altro: pienezza dell’amore senza paragoni. Tale è stato l’inizio (la creazione), tale è la storia: la Sua parola non si sovrappone ai discorsi umani; per parlare aspetta l’attenzione di un silenzio libero.
Solo a questa condizione l’uomo ha dato forme al tempo. Sia che privilegiasse il dialogo col sacro sia che decidesse per un soliloquio, nella dimensione del profano secolarizzato. La liberalità di Dio ha permesso anche questo. Affinché l’uomo sperimentasse le proprie dimensioni. Perciò abbiamo avuto un’epoca che ha implicato il tempio e un’epoca in cui l’uomo ha escluso il tempio, trasferendone l’altare nel secolo. Kierkegaard la chiama “modernità: la cristianità senza Cristo”. Tesi della modernità non è l’inesistenza di Dio (ateismo teorico), quanto la Sua inutilità nella costruzione della città terrena (laicismo/ateismo pratico). L’uomo moderno tira le estreme conseguenze della propria libertà in cui Dio l’ha pensato. Perciò, mosso dall’idea di superare l’imbecillitas cristiana, il moderno escogita la potenza economico-tecnologica per fondare politicamente il soggetto. Come ogni generosa impresa, richiede ciclici bagni di sangue: le guerre cosiddette “di religione” confluite nella guerra dei trent’anni, il primo colonialismo europeo e le rivoluzioni liberal-democratiche creano lo Stato-nazionale; la rivoluzione fascista e proletaria, incubatrice dello Stato-totalitario, e due guerre mondiali, scoppiate all’apice delle magnifiche sorti progressive, chiudono il cerchio.
L’orrido di questo percorso doveva far nascere il sospetto che ad essere dimostrata non fosse l’inutilità di Dio, quanto la strutturale imbecillitas umana. Ma, per non mettersi in discussione radicalmente, il moderno ha occultato il proprio insuccesso dietro il dibattito ideologico-storiografico dell’antifascismo, rovesciando le responsabilità sull’irrazionalità (G.Lukàcs, La distruzione della ragione 1934) anziché sulla propria iper-razionalità.
Qualcuno ha chiamato anche il silenzio di Dio sul banco degli imputati. Mentre il silenzio di Dio, sarebbe bastato ascoltarlo, era sul banco degli innocenti. Con questo si evitava per l’ennesima volta di prendere atto che Dio si sottomette alla libertà umana – anche sfigurata - restando indisponibile a rientrare forzatamente nel tempo secolarizzato dal quale è stato cacciato.
Come notava Del Noce, alla fine della seconda guerra mondiale restavano due possibilità: un risveglio religioso (quello che Peguy direbbe il ritorno a Cristo dopo il clericalismo moderno) o la società del benessere (quella del soggetto senza fondamento politico, anzi senza fondamento alcuno diranno i padri del post-moderno Heidegger e Sartre). Il risveglio religioso richiedeva di mettere in discussione la tesi di nascita della modernità. Ma l’occultamento dietro il “discorso dell’antifascista” non lo permetteva e così si inaugurava, come profetizzerà Pasolini, la sottomissione al nuovo potere: il “discorso del capitalista”. Liberalismo e sovranità, democrazia e comunismo - aporie del moderno - si ritrovarono a festeggiare la società dei consumi (Agamben, Homo sacer). Nata per liberare la vita dalla schiavitù per mezzo della sovranità dello Stato e dall’ingiustizia per mezzo della democrazia proletaria, la modernità del soggetto politicamente fondato si è trovata catapultata nella modernità del soggetto economicamente svuotato.
La prima modernità, quella dura, fondava l’uomo sulla potenza del progetto politico. La seconda, quella fluida, lo dissolve nella potenza del gadget pubblicitario. La si dice post-modernità per esprimere il passaggio al di là del soggetto. Si può anche chiamarla seconda modernità per la sua resistenza a mantenersi alla tesi originaria. Tuttavia la forma più onesta è quella di ipermodernità (usata per la prima volta da G. Lipovetsky e S. Charles in Les Temps hypermodernes, Paris 2004): dove Dio non serve, anche l’uomo si fa inutile dissolvendosi nella moda. La mancanza di fondamento consegna l’essenza alla potenza pura dello spettacolo. E’ l’inizio della rivoluzione antropologica che può portare allo svuotamento del soggetto, come insegna la psicanalisi lacaniana: la carica soggettivante del desiderio ingannata compulsivamente con le immagini di un piacere mortifero (De Sade e Pasolini docent con le 120 giornate di Sodoma, che il perbenismo borghese ha sempre contribuito a tenere fuori dai circuiti “diseducativi”). In questo contesto non sembra fuor di luogo la proposta degli ultimi due pontefici: sperimentare lo stile divino: vivere l’impotenza delle periferie con l’ipotesi dell’esistenza di Dio. Si tratta di una sfida geniale: non comporta nessuna rinuncia, possiamo tenerci tutto quanto abbiamo; solo, invita al rovesciamento di prospettiva, seguendo l’affascinante scoperta che autentica potenza è fare spazio all’altro.
Alfiero Mariotti
La vera potenza dell’uomo risiede nella sua impotenza
La Feltrinelli ha presentato nel mese di ottobre 2018 l’ultimo libro di Mauro Magatti, docente di Sociologia presso l’Università cattolica di Milano: Oltre l’infinito. Storia della potenza dal sacro alla tecnica.
Un’affascinante interpretazione della vicenda umana a partire dal concetto di “potenza” che si traduce nelle figure della religione, della politica e del sistema tecnico.
L’autore parte dalla tesi di fondo secondo la quale l’uomo è un soggetto “eccentrico”, aperto, proiettato oltre la propria esistenza finita, trascendente. Sempre in cerca di potenza ulteriore, l’uomo genera la storia come tentativo di raggiungere la propria essenza nella potenza. Sacro, politica e tecnica rappresentano tre poteri attraverso i quali l’uomo persegue il sogno di sopprimere una volta per tutte l’eccentricità costitutiva che lo fa essere imperfetto.
Ma proprio questo sforzo di Sisifo lo precipita ciclicamente in valli di lacrime. La religione piega l’uomo con la forza del Sacro. La politica lo neutralizza addomesticandolo con la Sovranità dello Stato-nazione e dello Stato-classe, della democrazia liberale e di quella proletaria. Avvincenti risultano le pagine che narrano il percorso dagli Stati assoluti del XVI secolo agli Stati totalitari dell’universo concentrazionario del XX secolo. Una conferma della tesi di un ‘900 tutt’altro che breve, quanto sterminato.
La nuova generazione che segue al crollo dell’ ’89, disincantata dalle rovine della religione e della politica, si rifugia nel consumo narcisistico reso possibile dalla potenza del sistema tecnico. In verità questo mondo, attraverso la standardizzazione di tutti i settori della vita psico-somatica e sociale, in forza del suo nudo potere pragmatico e auto-riproduttivo, rischia di presentarsi come il peggiore dei mondi possibili, dove risulta sempre più difficile la sola ipotesi di un mondo alternativo. Così la totalizzazione burocratica dissolve le ultime tracce della eccentricità del pensiero e della libertà. In effetti il sistema tecnico, per la prima volta, sembra svuotare la domanda dell’uomo – la sorgente della sua trascendenza -, dal momento che il sistema si auto-produce senza che l’uomo debba impegnarsi con il proprio destino. La produzione infinita di strumenti di cui siamo capaci ci illude di trovare il nostro centro nella ragione strumentale, la nuova essenza del potere che vorrebbe ridurre l’uomo ad un tasto di pianoforte, per dirla con Dostoevskij.
Si può ancora sperare che dopo le tragedie del fondamentalismo teologico e politico non segua una tregenda del fondamentalismo tecnologico?
Nell’ultimo capitolo, l’autore azzarda una via di uscita da questo mondo panottico: non bisogna cancellare l’eccentricità dell’uomo, non si deve cedere alla tentazione di chiuderlo per l’ennesima volta in una essenza, occorre invece garantirgli il suo limite, la sua natura di ossimoro: è proprio la sua incompiutezza, e per così dire fragilità, a costituire la sua vera potenza. E soprattutto, non sarà un ritorno ad universi monocratici teologici o politici a scagionare il pericolo incombente del potere tecnico del nuovo umanismo bionico. Solo difendendo un’area di pluralismo della potenza, nella quale nessun modello rivendichi il potere di raddrizzare l’eccentricità dell’uomo, e che salvaguardi la sua apertura e finitezza, potremmo risparmiarci nuovi inferni. In altri termini, occorre difendere - non sopprimere - la debolezza dell’uomo, segno distintivo della sua trascendenza infinita, così come l’autentica tradizione cristiana insegna, indicando nell’impotenza la sorgente della vera onnipotenza. Ma questo, di nuovo, non potrà essere un altro sistema, quanto piuttosto la pratica quotidiana di persone alle quali non faccia scandalo accettare il limite dello scarto tra esistenza ed essenza.
Alfiero Mariotti
“Ancora una volta, il problema dei nostri giorni è quello di come disinnescare gli aspetti distruttivi e negativi della potenza che, connaturata all’idea stessa di azione, pretende di tradurre immediatamente senza residui, in potere. Il che significa arrivare ad ammettere che la libertà che tanto amiamo non si autodistrugge solo quando non ha la pretesa di diventare padrona di se stessa e per questa via delle cose, degli altri, della realtà.” (p. 243)
Cultura. Il 'ritorno' di Ezra Pound a Rimini
A Rimini sabato 24 novembre 2018, alle ore 17.30, al Museo della Città, Alessandro Rivali parlerà con Davide Brullo del libro, edito da Mondadori, Ho cercato di scrivere Paradiso.
Il libro, una lunga intervista a Mary de Rachewiltz, la figlia di Pound, è una ricognizione dentro l’opera del grande poeta americano, ricca di materiali inediti.
Per Ezra Pound si tratta di una sorta di ritorno ideale a Rimini. A Rimini infatti il poeta fa tappa nel 1922 e nel 1923 per alcuni studi archivistici alla Biblioteca Gambalunghiana e per visitare il Tempio Malatestiano. Il poeta scriverà poi i ‘Malatesta Cantos’ (VIII-XI) e un ‘lamento’ sulla città dopo i bombardamenti della Seconda guerra.
A Rimini poi Ezra Pound farà ritorno l’11 settembre del 1963, insieme a Olga Rudge, talentuosa violinista, ad assistere a un concerto della Sagra Malatestiana, “bianco di chiome e di barba breve, alto, un po’ curvo, raccolto in sè, gli occhi azzurri d'acquamarina lampeggianti di pagliuzze d’oro”, come lo descrive Luigi Pasquini.
Per gentile concessione dell’editore riportiamo qui di seguito uno stralcio dell’introduzione di Alessandro Rivali al libro.
Ezra Pound, pianeta misterioso
Questo libro è una lunga conversazione con Mary: il frutto di alcune settimane d’estate passate insieme al Castello, di molte cartoline e lettere (prima lettere e poi mail), dello scambio di libri. Tutto nacque una quindicina di anni fa. Allora, Pound era per me un pianeta misterioso. Ricordo che per un Natale, doveva essere il 1996, un amico mi regalò il «Meridiano» dei Cantos. Fino a quel momento, di Pound cono- scevo solo la poesia L’albero – icona dell’Imagismo –, che avevo letto in un’antologia del liceo. Mi colpì la foto del cofanetto dei «Meridiani». Da lontano, Pound sembrava un palombaro pronto all’immersione o un vecchio lupo di mare. Del resto, Giorgio Caproni amava accostare la figura del poeta al palombaro che scende negli abissi e Ungaretti era sempre in cerca del Porto sepolto... Chissà, forse quella prima impressione di uomo con lunga confidenza con il mare non era troppo azzardata. Nella sua poesia il viaggio e il mito hanno una cifra essenziale. Ma questo lo scoprii molto più tardi.
Il primo impatto con i Cantos fu una parete difficile da scalare. Oppure, una torre di Babele, costruita con i materiali più disparati: storia, economia, lette- ratura, ideogrammi, spartiti musicali, lingue diverse... e, sempre, come un basso continuo, la sua vita. Uno scriptor che toccava tutti i registri, dai canti infernali dedicati alla Prima guerra mondiale («I saccarinosi, stesi in glucosio, / i pomposi in ovatta / in un puzzo di grassi a Grasse, / il grand’ano scabroso scacazza mosche, / tuona imperialismo, / latrina, cesso, pisciatoio, senza cloaca»), fino alle visioni di estrema dolcezza: «Il mare oltre i tetti, ma sempre mare e promontorio. / E in ogni donna, pur fra l’a- credine c’è una tenerezza, / Una luce azzurra sotto le stelle». Per anni Pound fu irraggiungibile.
Tre incontri mi avvicinarono alla montagna. Il primo fu con Cesare Cavalleri, storico direttore delle Edizioni Ares. Un giorno, nel suo ufficio, tra gli autografi di Buzzati e Quasimodo e trattati di estetica e astrologia, mi illustrò gli scaffali poundiani. E mi raccontò della notte in cui aveva pedinato di nascosto per le calli di Venezia il vecchio poeta mentre questi rincasava con Olga. Era il 21 marzo 1971 [...]. Il secondo incontro fu quello con Giampiero Neri, maestro silenzioso della nostra poesia. A lui debbo la conoscenza di diversi autori fuori dal canone «grande»: Villon, Campana e, soprattutto, Fenoglio. Ma a lui debbo anche due forti suggestioni poundiane: mi regalò, infatti, i Cantos appartenuti a Vittorio Sereni (l’elegante e rossa «Edizioni Lerici»), che a sua volta lui aveva ricevuto dalla vedova dell’autore di Stella variabile. E sempre Neri mi volle donare una busta con una foglia raccolta a Rapallo sulla tomba di Homer Pound, il padre di Ezra. Nuovi richiami a stringere il cerchio. Il terzo decisivo incontro fu proprio quello con Mary, a Brunnenburg, circondati da una costellazione di libri: la parete con la biblioteca paterna protetta da una tenda, quella con la saggistica, i numeri della rivista «Paideuma», i carteggi usciti negli Stati Uniti e mai tradotti in Italia. Naturalmente ci fu il tè con i biscotti, nel salotto colorato dai libri Scheiwiller e con i ricordi egiziani di Boris de Rachewiltz. Ebbi la fortuna di assistere ad alcune lezioni di Mary ai suoi studenti americani. Per anni ragazzi appassionati di poesia si sono immersi in Pound attingendo alla fonte più diretta. Il loro programma prevedeva, oltre allo studio dei Cantos, sessioni di lavoro nei campi e nelle vigne: chi ama Pound, ama la natura e il lavoro manuale. Mary illustrava l’affresco dei Cantos, chiarendo dettagli e fornendo suggestioni per ulteriori ricerche. Qualche volta vide lei stessa in diretta le «occasioni» dei Cantos. Sono le migliori lezioni che abbia mai ascoltato. Da quegli incontri nasce l’idea di questo libro. Mettere a frutto una miniera di memorie per comprendere uno dei più grandi poeti del Novecento, farlo conoscere alle nuove generazioni, che, anche se può non sembrare, sono ancora assetate di poesia.
L’incontro è parte della rassegna “Frontespizio”, curata dal Comune di Rimini, ed è in collaborazione con il quotidiano culturale Pangea (pangea.news).
La caduta del muro di Berlino? No, grazie
Per l’ennesima volta il 9 novembre è passato inosservato. Anche a Rimini. Eppure si tratta della data più importante dell’ultimo secolo. Anche a giudizio della storiografia marxista. Nessuno celebra l’anniversario della caduta del muro di Berlino, la fine del maggiore esperimento sociale del ‘900: il socialismo comunista, il peggiore, direbbe Camus, dei muri che la storia abbia conosciuto. Parlarne sarebbe come aprire il vaso di Pandora e scoprire che si possono creare ghetti anche tifando l’internazionalismo. Magari con buone scuse.
Il dizionario del politicamente corretto oggi ha una sola voce: non muri ma ponti. Benissimo! E allora perché perdere un’occasione come quella del 9 novembre, la giornata della Libertà? Parliamo almeno un giorno all’anno di questo muro che ha segregato più di mezzo miliardo di persone oltre la cortina Leningrado- Odessa prima, e Stettino-Trieste dopo la seconda guerra mondiale. Un intero mondo: 22 nazioni!
Quello che si è sentito in giro - bisogna andarlo a cercare su qualche giornale con la lente di ingrandimento -
è che il muro di Berlino divideva due blocchi contrapposti: quello filo-americano e quello filo-sovietico. Come se si trattasse di una partita a baseball o di un tavolo di Risiko.
Il muro di Berlino non è un simbolo della contrapposizione, come la vulgata vorrebbe far passare: un muro che divideva occidente e oriente, quasi fossero due forze a giocare sullo stesso piano. Un muro di confine che entrambe le proprietà riconoscono secondo i principi del diritto. Il muro di Berlino non è stato costruito da due parti in contesa. Il muro di Berlino è stato innalzato da una parte sola, quella di chi non voleva che i propri cittadini uscissero dal ghetto. Cioè: i comunisti dell’est non permisero a centinaia di milioni di persone di visitare il mondo libero occidentale, quello nel quale stava rinascendo l’Europa dopo il nefasto orrore del nazi-fascismo, privandole di quella libertà di cui i nostri nonni, i nostri genitori e noi stessi abbiamo goduto. Una libertà sicuramente sfregiata, ferita e bistrattata, masturbata e oltraggiata, sbugiardata e stuprata, venduta e consumata, ma pur sempre qualcosa di più del campo concentrazionario del GULag al quale i popoli dell’est sovietico sono stati sottoposti. E una libertà tutta da difendere ancora, soprattutto dall’ideologia consumista e del sistema tecnico-finanziario, ai piedi della quale anche la sinistra purtroppo si è piegata da quando non ha voluto ascoltare il corsaro Pasolini.
E’ strana questa storia, molto strana. Che numerose amministrazioni locali, specialmente di sinistra, all’insegna della educazione alla memoria, spendano fior di quattrini per intavolare sulla shoah tam tam che si protraggono per tutto l’anno (tra l’altro con il risultato - segnalato da molti studiosi - di rendere invisibile il fenomeno) e non dedichino un euro, dico uno, a coltivare la memoria dei propri cittadini, o almeno dei propri stranieri aspiranti alla cittadinanza e provenienti da quella storia (chissà perché?) circa la grande bestemmia del comunismo, non fa onore alla verità. Dal 2007 ad oggi il Comune di Rimini ha organizzato decine di giornate di studio sul fenomeno della persecuzione nazionalista. Sollecito a visitare il sito della “educazione alla memoria” ricchissimo di contributi estremamente importanti (http://memoria.comune.rimini.it/chi_siamo/). Tuttavia vi accorgerete che solamente le lezioni introduttive dei primi due anni, tenute dallo storico Francesco Maria Feltri, hanno azzardato un accenno alla comparazione dei totalitarismi nazi-fascista e comunista (politically scorrect). Per di più, sembra, per dichiarare la loro incomparabilità.
Non si tratta della logica del cerchiobottismo, o par condicio - tra l’altro tanto cara alla sinistra quando è in minoranza - per carità! La memoria integrale, che non può esimersi dallo studio comparato degli orrori del nazi-fascismo e del comunismo, è l’unica a permettere di vedere chiaramente i connotati dell’errore, e individua il più radicalmente possibile le profondità della hýbris moderna che non ha a che fare tanto con l’irrazionalismo nazionalista, quanto piuttosto con i migliori principi del “pensiero libero”. Fior di studiosi, a cominciare da Hanna Arendt (della quale in certi convegni viene sempre citato il saggio La banalità del male e mai lo studio Le origini del totalitarismo) sino a Zigmunt Bauman (di cui varrebbe la pena conoscere Modernità e Olocausto), hanno insegnato che risulta fuorviante schiacciare il fenomeno totalitario – vivo e vegeto anche oggi in versione economicista e tecno nichilista - sulla categoria dell’irrazionalismo nazionalista. Porre l’attenzione sull’internazionalismo comunista permette di osservare l’autentica matrice del totalitarismo che è ideologica: l’utopia politica autoredentiva che ha le proprie origini nelle filosofie razionaliste del XVIII e XIX secolo. E se dico che ogni muro è nazionalista e fascista faccio del fascismo. O del comunismo, che è lo stesso. Peggio se dico che ogni male è fascista. Il male non è semplicemente fascista, purtroppo, è ideologico. Nel ‘900 è stato fascista ed è stato comunista, e non solo. Oggi potrebbe essere trampiano o anche politically correct. E quale sia più pericoloso è tutto da dimostrare.
Sarà il mio ascendente socialista che non mi permette di dire con Camus, che quella comunista è stata l’ideologia più nefasta perché il carnefice la giustificava in nome delle vittime, ma certamente non è stata inferiore, o di altro genere. E finché la memoria non sarà vitalizzata anche su questo versante, vivremo ancora nella menzogna che non ci rende liberi.
Non tutte le speranze sono perse: il prossimo anno sarà il 30° della caduta del muro di Berlino. Invito l’amministrazione a mettersi al lavoro.
Alfiero Mariotti
Cultura. Teatro Cor.te Coriano: il viaggio continua
La Stagione 2018/2019 del Teatro CorTe rinnova l’impegno e la collaborazione tra Comune di Coriano e Compagnia Fratelli di Taglia, vincitrice del Bando indetto dal comune stesso per la gestione del teatro. Dal 17 novembre al 23 marzo una kermesse di spettacoli di ogni genere che mirano a valorizzare l’entroterra e a confermare il borgo malatestiano come protagonista delle arti performative.
Il cartellone, con il contributo di Regione Emilia-Romagna e ATER, gode di una trasversalità unica portando in scena drammaturgie contemporanee, musica dal vivo locale e internazionale e interessanti novità del panorama teatrale dando vita ad un percorso culturale tutto da seguire.
La Stagione 2018/19 sarà per lo spettatore un viaggio artistico e onirico all'insegna del buon gusto, dell'impegno civile e della leggerezza. Un percorso che attraversa la contemporaneità del teatro passando dalle storie dell'attore e regista romano Edoardo Leo arricchite da monologhi di Umberto Eco, Italo Calvino, Stefano Benni e altri, per passare a Pier Paolo Pasolini a cui si sono ispirate le travolgenti Alessandra Faiella, Livia Grossi, Rita Pelusio e Lucia Vasini nei loro comizi d'amore; il percorso continua con la modernizzazione del Mito di Sisifo, emblema dell'uomo ingannatore raccontato da Antonello Fassari, e sempre sulla scia del mito si traghetta sulla Maratona Iliade ideata da Fratelli di Taglia: due serate per raccontare l'ira funesta del pelide Achille seguendo le tracce della riscrittura di Alessandro Baricco e la bellissima traduzione in prosa di Maria Grazia Ciani con le suggestive immagini di Sand Art ideate e realizzate dal vivo dall'artista riminese Mauro Masi.
Il viaggio continua nel mondo della comicità d'autore: Chiara Becchimanzi, Premio Migliore Attrice Giovane Maschera d’oro di Vicenza 2017, Premio Comedy al Roma Fringe 2016, Coppa Solinas al Roma Comic Off 2017, tra le 100 eccellenze creative del Lazio 2018, che con Principesse e sfumature ci propone uno sguardo piccante, sincero, acuto, femminile e soprattutto esilarante sui cliché di genere (e non solo); per approdare alla comicità di Maurizio Lastrico e i suoi celebri endecasillabi danteschi generando un gioco comico di grande impatto.
Il viaggio musicale è un'altra tappa importante: la musica d'autore con Risveglio, il secondo disco di Elena Sanchi s’incontrano paesaggi incantati, gufi millenari, libri di magia, farfalle, vagabondi e guerrieri e cieli stellati; l'omaggio a Chet Baker del trombettista Fabrizio Bosso & Jazz Inc. con Chet To Chet per celebrare il trentennale passaggio in Romagna di Chet Baker; il Concerto Gospel Roderick Giles & Grace dove si può ascoltare la passione e la devozione per il canto ed il gospel, infondendo in tutti gli ascoltatori il messaggio di pace, amore gioia e speranza; San Valentino concert and love dinner Cristina di Pietro in concerto con i Pop Deluxe proporrà una scaletta da brividi con cui si potrà gustare sia il lato romantico che il lato rock della giovane artista, che metterà sul campo tutto il suo talento.
A concludere il viaggio musicale uno spettacolo di contaminazione di diversi linguaggi artistici dove la lirica si mescolerà alla narrazione con musica elettronica, tessuto aereo e fusion dance, per parlare delle donne, per celebrare le donne che con il loro coraggio hanno saputo cambiare le loro sorti e quelle di un’intera società. Con Marina e Patrizia Signorini (narratrici), Valentina Giglio (danzatrice), Daniela Bertozzi (cantante lirica), Irina Dainelli e Elias Moroncelli (danza aerea).
Anche per tutta la Famiglia c'è qualcosa da scoprire con la Rassegna Favole a Corte: il viaggio di una placida e ostinata tartaruga, le vicende di Cenerentola, il profumo del pane appena sfornato del Gatto con gli Stivali e del suo ignaro padroncino e lo spirito avventuriero di Sindbad il marinaio.
Oltre a questi spettacoli lo spettatore continuerà a esplorare nuove strade. Il Circo Teatro del Circo PaniKo uno spettacolo che unisce circo, comicità e musica dal vivo; la rassegna di Teatro Vernacolare in collaborazione con AVIS Coriano con le migliori Compagnie del territorio; Buon Compleanno CorTe con le avventure del Rinoceronte Norberto Nucagrossa e per concludere speciale Epifania in collaborazione con AVIS Coriano con uno spettacolo dedicato al mondo del Clown.
Cultura. Recalcati, i libri che non abbiamo dimenticato
L’iniziativa riminese Biblioterapia 2018: Narrami l’uomo, o Musa. Come curarsi (o ammalarsi) coi libri propone al Teatro degli atti, venerdì 9 novembre alle 18.00, una lezione di Massimo Recalcati per sentire la psicanalisi, una forma eminente di narrazione, sul ruolo della narrazione in una società che sembra mal sopportare il tempo analogico e profondo del racconto.
Il pensiero di Recalcati, noto psicanalista e docente universitario, uno dei maggiori interpreti del pensiero lacaniano, impegnato in numerosi comitati scientifici e centri di studio nazionali e internazionali, con un’ampia clinica nel settore dei nuovi sintomi (bulimia, anoressia, …) - ambito in cui opera Jonas Onlus: Centro di clinica psicoanalitica, di cui è stato fondatore e presidente sino al 2007 -, gode di un ampio pubblico grazie ad una consistente pubblicazione e alla sua dedizione divulgativa.
In questi anni Recalcati è intervenuto su numerosi argomenti - l’evaporazione del padre e il ritorno di Telemaco, la cura materna e le relazioni famigliari, la scuola e la trasmissione della conoscenza, l’identità postmoderna e la perdita del desiderio, dallo stadio edipico del ’68 al narcisismo degli anni ‘90 - utilizzando un bagaglio culturale impiantato sulle ricerche di Freud e Lacan in un ricco dialogo con il pensiero filosofico e letterario, nonché con il testo biblico. La psicanalisi ha il merito, come tutte le narrazioni profonde, di aver aperto il sancta sanctorum del soggetto umano per scoprire che il desiderio dell’Altro è il fuoco che lo fa bruciare.Ma questo fuoco ha bisogno di essere difeso dalla libido del mercato che rischia di soffocarlo con la legge del consumo. Per vincere la minaccia del vuoto incombente di questa “generazione sfortunata”, dice Recalcati, occorre riportare l’uomo al linguaggio autentico del desiderio che lo abita; in questo certamente gioca un ruolo importante il ritorno della narrazione.
Ecco perché quello proposto dalla Biblioterapia, Come curarsi (o ammalarsi) coi libri, è un tema di primo piano in una società come la nostra, invasa da linguaggi in codice (della tecno-scienza e del marketing), senza respiro, brevi, spezzati, storti, con prevaricazione economicistica cui fa da pendant lo slang social emojistico; linguaggi sempre meno pensanti e immaginativi, che seppelliscono l’evento e la sua possibilità di generare sotto le forme compulsive delle tecniche di comportamento e delle emozioni istantanee.
Sentiamo la necessità del ritorno ad una narrazione ampia e profonda, che racconti l’uomo, quella che fa pensare e accendere il desiderio perché sa tracciare ipotesi di destino.
Alfiero Mariotti
Cultura. Teatro Sociale Novafeltria, stagione 2018-2019
Dal 2017 l’Associazione culturale l’Arboreto ha assunto la direzione artistica del Teatro Sociale Novafeltria, che da tre anni si propone di determinare un progetto culturale per la comunità di Novafeltria e della Valmarecchia: residenti e ospiti che scelgono di frequentare un teatro storico (realizzato nel 1925), bello e accogliente.
Sedici appuntamenti, da novembre ad aprile, di teatro, musica, danza e poesia, per comprendere i differenti linguaggi espressivi delle arti sceniche e raccontare la vitalità del Teatro Sociale Novafeltria che propone attività per adulti, bambini e ragazzi.
“Anche quest’anno – dichiara Elena Vannoni, Vice Sindaco e Assessore alla cultura di Novafeltria – abbiamo costruito una stagione capace di soddisfare le più diverse sensibilità: ci sarà prosa, ma anche musica e danza e poesia, nell’ottica, già percorsa nei due anni precedenti, di abbracciare tutte le varie forme d’arte. Un progetto di cultura per il teatro che si rivolge agli adulti per guardare oltre, alle sensibilità dei bambini e dei ragazzi, i giovani e futuri cittadini della comunità, e forse un domani anche spettatori consapevoli che sapranno leggere e apprezzare gli spettacoli e le opere d’arte. Per noi il teatro non è solo un luogo fisico ma può diventare un modo di vivere e stare dentro le relazioni di una comunità creativa: energie diffuse per innescare anche atteggiamenti positivi di coinvolgimento sociale. È da questa visione che partono i progetti “Amici del Teatro, per un teatro di comunità” e quello del “Biglietto sospeso”: un modo per condividere e supportare la vita culturale del teatro, in un’ottica di dono e farsi dono.
In quest’ottica il nuovo corso culturale del Teatro Sociale, quest’anno si avvale di due nuove e strategiche collaborazioni con i Comuni di Maiolo e Talamello che hanno scelto di condividere la Stagione Teatrale 2018-2019, per realizzare un unico palcoscenico, immaginario e reale: l’inizio di una collaborazione importante per costruire assieme un progetto teatrale maggiore, ricco di nuove e altre opportunità di partecipazione per i cittadini e il pubblico”.
“Il Teatro Sociale Novafeltria - dichiara il direttore Fabio Biondi - assume sempre di più l’identità e il ruolo di “teatro di comunità” per favorire la partecipazione, i dialoghi con i cittadini e gli spettatori. In questo tracciato, quest’anno continua il progetto, dal titolo Amici del Teatro: un’idea semplice che consentirà, a tutti coloro che lo vorranno, di supportare e condividere la vita culturale del teatro della città.
L’iniziativa – ispirata alla tradizione napoletana del “caffè sospeso” – permetterà, grazie al contributo dei cittadini, la creazione di un fondo di biglietti sospesi: biglietti gratuiti che saranno messi a disposizione di coloro che al momento non sono in grado di permettersi l’accesso alle attività culturali e di spettacolo. Un vero e proprio dono di cittadini ad altri cittadini, con l’intento di sviluppare la solidarietà, il valore delle relazioni sociali e la partecipazione attiva alla vita culturale della propria comunità.
Primo appuntamento della nuova Stagione Teatrale sarà venerdì 9 novembre ore 21, con lo spettacolo A TREBBO CON SHAKESPEARE, con Denis Campitelli del Teatro Zigoia liberamente tratto da Shakespeare in dialet di Franco Mescolini.
“Trebbo" deriva dalla parola dialettale Trebb, che significa incontro, ritrovo, veglia con amici. In Romagna, fino a qualche anno fa, questi incontri avvenivano nelle stalle dove, nelle lunghe e gelide notti d'inverno, uomini, donne e bambini si trovavano per raccontarsi storie attorno al lume di una lanterna. Ed ecco che ai giorni nostri, nel ristrutturare una vecchia casa colonica, proprio in un anfratto del muro di una stalla, viene ritrovato un vecchio manoscritto. È Teatro. Racconta degli spiriti di Amleto, Romeo e Giulietta e Otello. È Shakespeare. Riscritto da poveri contadini, rigorosamente in dialetto romagnolo.
Cultura. The deep blue sea, Luisa Ranieri al Teatro Galli
Amore, passione e limiti: fin dove possono spingersi un uomo o una donna per inseguire l’oggetto del loro amore? Ruota attorno a questa domanda The deep blue sea, lo spettacolo che apre il cartellone dei turni ABC della stagione di prosa del Teatro Galli in scena da martedì 6 a giovedì 8 novembre (ore 21).
Protagonista sul palco sarà Luisa Ranieri che torna a teatro per dare vita ad uno dei capolavori del drammaturgo Sir Terence Rattigan, diretta per la prima volta da Luca Zingaretti, reduce a teatro dal grande successo di The Pride e alla sua prima regia pura (senza far parte del cast). La celebre attrice napoletana sarà Hester Collier Page, un personaggio di straordinaria potenza e forza, che incarna l’essenza stessa della capacità di amare, resistere e rinascere delle donne.
The Deep Blue Sea, lavoro che ha debutatto in ottobre, racconta l’amore che tutto travolge, a cominciare dal più elementare rispetto per sé stessi, parla di strade perse e ritrovate e soprattutto della casualità delle vite umane. “Chi oggi ha il coraggio di seguire le proprie aspirazioni più profonde? La protagonista di The Deep Blue Sea lascia una vita agiata che la rende moderatamente felice per inseguire sé stessa.” Cosi il regista Luca Zingaretti racconta Hester Collyer Page e la sua determinazione.
La storia si sviluppa nell’arco di un’unica giornata e inizia con la scoperta, da parte dei vicini di appartamento, del fallito tentativo di Hester Collyer Page di togliersi la vita utilizzando il gas. La donna ha lasciato il marito, un facoltoso e influente giudice dell’Alta Corte, perché innamorata del giovane Freddie Page un contadino, ex pilota della Raf, ormai dedito all’alcool. La relazione, nata sull’onda della passione e della sensualità, si spegne progressivamente a causa delle difficoltà economiche, della differenza di età e di ceto. Alla fine della giornata, grazie all’intercessione di Mr Miller - un inquilino del palazzo, ex dottore, radiato dall’albo per ragioni sconosciute -, Hester, per continuare a vivere, sarà costretta a prendere una decisione particolarmente difficile. Questi due reietti, emarginati dalla società per il loro eccesivo “amare”, si scopriranno legati da una curiosa e commovente solidarietà.
Accanto a Luisa Ranieri sul palco ci saranno Maddalena Amorini, Giovanni Anzaldo, Francesco Argirò Alessia Giuliani, Aldo Ottobrino, Luciano Scarpa e Giovanni Serratore.
Halloween, dal body "pattinatrice horror" al vestito “Fenice del Galli”
Eh insomma, ridendo e scherzando, siamo arrivati anche al momento di Halloween.
Perché quando ero piccolo io, a novembre al massimo, si iniziava a guardare i cataloghi dei negozi di giocattoli, eh, catalogando accuratamente e partendo con l’elenco da sciorinare nella famosa lettera a Babbo Natale. Che poi non è che si andava tanto per il dettaglio, del tipo “il Lego con i cavalieri e i draghi”, come se Babbo Natale fosse una immensa banca dati di tutti i giocattoli del mondo… poveri genitori… ma vabbè, questa è un’altra storia.
Ad ogni modo, ai costumi si iniziava a pensare circa verso il mese di febbraio, quando a scuola arrivavano le circolari sulle feste di carnevale, che ci piacevano un bel po’, quanto meno perché la mattina di lezione se ne andava a ramengo, mica poco.
Insomma, tutto ‘sto problema di Halloween era un po’ come una sorta di leggenda, quelle cose da film, in sostanza, di cui capivi al massimo che in America, per festeggiare i morti, si facevano scorte di dolci con un tasso glicemico che poi, oh, vai tu a lamentarti se quelli sono tutti fuori forma.
Ma i tempi cambiano come dicono gli anziani, e, guarda un po’, ci si deve adeguare: se la notte del 31 ottobre ti suonano il campanello alle dieci di sera, invece di chiamare il 113 e denunciare un tentativo di intrusione, a quanto pare devi rispondere “dolcetto o scherzetto” e lanciare caramelle e dolciumi come se piovessero dal cielo (oh, occhio a quelle dure, eh, che poi vi denunciano pure).
Come tutto questo sia arrivato oltre oceano, poi, si che è una bella storia: se di tradizione si parla, infatti, optare per la scusa della globalizzazione o del trapianto culturale, a ben vedere, non è che tenga poi tanto; i maligni, me compreso, preferiscono optare per la tesi della congiura commerciale, che una festa in più all’anno fa carne e sangue, eh, fra costumi, dolciumi, gadget e feste organizzate qua e là.
Ma se per i nostri piccoli si sopporta questo e altro, perché in fondo, diciamolo, non è che ci diventano pagani per due caramelle e un vestito da zombie, la cosa si fa più interessante pensando agli adulti, tanto è vero che, più che di business, è più corretto parlare di una vera e propria moda, con le sue regole, i suoi dettami e le sue hit, perfino.
Pare che la tendenza per la stagione dei morti 2018 2019 sia quella del “fai da te”, ovvero l’arte dell’arrangiarsi con quello che si ha in casa, perché oh, sia chiaro, i soldi non crescono sugl’alberi e poi, suvvia, in una Europa dove i Verdi stravincono le elezioni e i gasdotti sono il demonio del nuovo millennio, mi volete rinunciare a un sano spirito green?
E allora via, scartabellate negli scatoloni in soffitta, tirate fuori il body con il gonnellino di quanto, a sei anni, vostra madre vi ha convinto che sareste diventate la nuova Carla Fracci, rollerblade dei figli ai piedi et voilà, la tendenza è fatta: pare, infatti, che i nostri maestri americani abbiamo scelto Tonya Harding ( la famosa pattinatrice olimpionica accusata di aver tentato di falciare la rivale Nancy Karrigan) come maschera preferita per Halloween, tanto che le richieste di body online sono aumentate del 720%.
Se i reati di tentato azzoppamento non sono proprio il vostro modello di vita, potete sempre optare per l’evergreen: nell’armadio dei parenti troverete sicuramente quella giacca brutta, ma talmente brutta e sformata che, abbinata a una cravatta delle dimensioni di una coperta, fa immediato Donald Trump in visita ufficiale; se poi la mamma, ai tempi d’oro, inneggiava all’amore libero alla guida di un pulmino Volkswaghen, sicuramente avrà conservato in fondo all’armadio qualche pezzo cult per un perfetto look da “Mamma Mia”, altro cult halloweeniano.
Tutto facile a quanto pare, no? Il problema, però, a ben vedere, è che noi poi si vive a Rimini eh, mica a New York… che vestiti da Donald Trump o Megan Markle si rischia di passare inosservati o prendere un frullo di botte… Allora, ve le do io tre ricette per un costume di Halloween da vero riminese, di quelli che, ciao, dopo di voi solo il deserto dello stile:
- Proposta uno: un capitello corinzio in testa, due grifoni al posto delle mani, un bel telo porpora come veste e quattro Barbie sgarrupate piazzate qua e la e via, il costume da prima del teatro Galli è bello che fatto, tutta roba presa in casa e riciclata in perfetto spirito green, nevvero?
- Proposta due: una tuta nera da mimo, 4 cartoncini bristol tagliati a cerchio, una confezione di macchinine e due ciuffi di prato…et voilà ecco pronto il costume da “Rimini città delle rotonde”! Idea geniale, oh, vi potete anche presentare in squadra: uno fa la rotonda del Grand Hotel aggiungendo una bambola Fellini che saluta i passanti; un altro, magari con il fisico un po’ a pera, fa quella di viale della Repubblica che ha una forma che chiamarla rotonda ci vuole fantasia; un altro ancora, magari quello che ha il linguaggio più colorito, fa la rotonda di via Flaminia, che gli insulti che si sentono volare a quella rotonda farebbero paura anche Salvini.
- Proposta tre: andate dalla mia amica Teresa, regina incontrastata dei cartelloni da scuola elementare, e vi fate disegnare due cartelli: uno con un bel parcheggio, magari quello comodo comodo davanti al castello Malatesta, con una grande X rossa sopra; sul secondo, invece, un bell’omino sorridente che viaggia spensierato sulla sua bella bicicletta per le vie del centro… ed ecco, in due e due quattro avrete pronto il costume da Sindaco Gnassi, altro che Donald Trump!
Roberto Neri