Per il Sert, il servizio dipendenze patologiche dell’Ausl Romagna, sono come dei piccoli Robinson Crusoe che cercano di sopravvivere nella loro isola deserta nell’oceano della pandemia. Si chiama proprio così (Robinson. Strategie di sopravvivenza) il questionario diffuso fra i giovani dai 14 ai 25 anni e destinato a sondare come hanno reagito all’emergenza Covid. Una prima volta il questionario è stato realizzato dopo il lockdown dell’anno scorso, in queste settimane è in corso la seconda raccolta di dati. “Durante l'emergenza Covid-19, stai passando più tempo di prima sul cellulare?” “Durante questo periodo di emergenza, ti capita di perdere la cognizione del tempo che passi on-line?” “In questo periodo di emergenza hai avuto cambiamenti d'umore più significativi o più frequenti?”. Sono alcune delle domande che vengono rivolte ai giovani, i quali, dicono gli psicologi del Sert, restituiscono soprattutto diffusi sentimenti di rabbia e di paura. “In pandemia – ha spiegato in un’intervista la psicologa Elisa Zamagni - c’è stato un incremento dell’uso della rete attraverso i social, ma anche serie tv, gioco d’azzardo e anche canali pornografici. Sono aumentati i consumi di energy drink, dolci, alcol e tabacco, ma anche cannabis. In generale, è stato rilevato un cambiamento nel tono dell’umore, e le ragazze hanno mostrato maggiore vulnerabilità rispetto ai maschi, una maggiore ansia, spesso dettata dalle interrogazioni online.“

Non è mai stato facile essere adolescenti, ancora meno in un’epoca di pandemia. A scuola la didattica a distanza, per quanto valida, non restituisce l’esperienza della scuola in presenza. “La routine quotidiana che prima era vissuta con sopportazione – racconta il professor Paolo Valentini, direttore delle Scuole Karis – adesso è in qualche modo rimpianta. Manca ai ragazzi uscire di casa, incontrare amici e professori, fare le cose di tutti i giorni. Adesso è tutto più difficile rispetto a quella routine che prima tagliava le gambe”. Qualche studente denuncia preoccupato che sta perdendo la passione per lo studio. “Il fenomeno che capita sempre più spesso – aggiunge Valentini - è che i ragazzi sfuggono dagli appuntamenti. Non rispettano le date per le interrogazioni o le verifiche. Si costruiscono un orario scolastico su misura, si fa una lezione, la seguente si salta, poi si torna ad essere connessi. Avvertono come invasiva la didattica a distanza”. C’è infine un aspetto del disagio giovanile particolarmente doloroso. “Laddove ci sono difficoltà in famiglia, nel rapporto fra i genitori, la situazione anche per i ragazzi diventa immediatamente più esplosiva”.

L’indagine del Sert mira a verificare se i giovani in tempo di Covid diventano più dipendenti da smartphone, internet e videogiochi. “Questo accade – osserva Valentini – ma non è una forma di isolamento. Stanno sempre connessi, ma fra di loro, cercano di continuare online un rapporto di amicizia”.

“Stiamo per entrare in zona rossa, che ne pensate?”, ha chiesto nei giorni scorso in classe la professoressa Gabriella Giavolucci. E la domanda ha scoperchiato un vaso di Pandora. “E’ emerso – racconta Giavolucci – che questi ragazzi si sentono colpevolizzati dal mondo degli adulti. Loro percepiscono che li abbiamo additati come i colpevoli della diffusione del contagio. Inoltre, avvertono un grande disaggio per non poter uscire fuori da casa, per non poter fare una passeggiata al mare. Per non poter respirare, ha detto qualcuno di loro”. Beh, si potrebbe obiettare che certe assembramenti giovanili si sono visti. “Ma non si può generalizzare. Esiste la singola persona, la sua responsabilità. È evidente che i ragazzi oggi siano molto in difficoltà. Sono rimasta molto colpita da questa loro fragilità, che poi è la mia stessa fragilità”. Che risposta possono dare gli adulti per aiutarli in questa circostanza? “Penso che noi adulti dobbiamo farci vedere, mostrare che siamo pronti a percorrere un pezzo di strada insieme a loro, per scoprire insieme che la vita può avere un senso. Farci vedere e provocare i ragazzi, per dire loro: fatevi aiutare, noi siamo qui”.

Giavolucci è presidente dell’associazione Portofranco di Rimini, che dona gratuitamente un aiuto allo studio ai ragazzi che hanno problemi in questa o in quella materia. “Una ragazza – racconta – doveva mandarmi nel pomeriggio un messaggio per fissare un appuntamento per un aiuto allo studio. Arriva sera, e il messaggio non è arrivato. Avrà deciso di non far niente, ho pensato. Poi è arrivato il giorno dopo, quel pomeriggio non aveva guardato il cellulare. Sarebbe stato sbagliato se avessi tagliato i ponti perché non si era fatta viva. Bisogna avere pazienza nel rapporto con i ragazzi, non dare nulla per scontato. Essere sempre pronti a intraprendere un cammino che non si sa dove può portare”. L’esperienza di aiuto allo studio di Portofranco continua online anche in tempo di pandemia. “Online tutto è più difficile. Per un lavoro di recupero nella materia in cui si è rimasti indietro, la presenza è fondamentale. Online i ragazzi fanno più fatica a far emergere i loro bisogni. Spesso non riescono ad avere l’esatta percezione del bisogno che hanno. Bisogna implicarsi con loro. Che gli adulti si facciano vedere vuol dire essere disposti a implicarsi. A questo proposito, Portofranco è un’esperienza davvero interessante. Un insegnante può dare la propria disponibilità per aiutare i ragazzi a studiare. Sperando di tornare presto a farlo in presenza”.

Rimini in Azione sta dialogando con tutte le forze liberali e progressiste della città per aggregare un polo riformista riminese, oggi impegnato all’interno della coalizione di centro sinistra, ma pronto a percorrere una strada indipendente se il PD aprirà ai 5 stelle”.

Lo annuncia Roberto Biondi, referente locale si “In Azione”, il partito di Carlo Calenda.

“Nelle prossime settimane, - afferma - con atteggiamento costruttivo, condivideremo con i riminesi idee e proposte per una Rimini che deve continuare ad innovare e guardare al futuro, senza nostalgie per un passato non più attuale”.

Rimini in Azione vede le continue polemiche a fini elettorali irrispettose verso i tanti riminesi in difficoltà. A tale riguardo, respinge al mittente qualsiasi illazione relativa ad accordi di palazzo in base ai quali Azione possa vedere rafforzata la propria presenza in consiglio regionale. Rimini in Azione non è in vendita e continuerà a lavorare solo per il bene di Rimini, con coerenza e in sinergia con chi ne condividerà programma e valori”.

Filippo Sacchetti, segretario provinciale del Pd, interviene per far sapere che domani, all’assemblea nazionale del partito, voterà con grande convinzione Enrico Letta come nuovo segretario. "Avanti tutta su Enrico Letta, - scrive in una nota - figura di garanzia in grado di mettere finalmente un punto e a capo a un partito sempre più autoreferenziale e autolesionista. Perché è questo che chiediamo a chi si assumerà l'onere di prendere in mano le redini dopo le dimissioni di Zingaretti: la chiusura definitiva di una fase da dimenticare e un rilancio reale e concreto all'insegna del coraggio di cambiare una classe dirigente stanca e di indicare nuovi protagonisti che abbiano energie fresche e connessioni reali con il territorio e la vita sociale. In grado di attuare quella politica diretta e connessa ai problemi reali delle comunità necessaria più che mai".  

"Con il suo passo indietro, - aggiunge Sacchetti - Zingaretti ha denunciato pubblicamente lo stato di un Pd diventato teatro di lotte intestine poco aderenti alla realtà e ai territori. Ha scoperchiato il vaso di Pandora su un partito che si allontana sempre più dall'attualità e pare proiettato più sulle vicende interne che sull'Italia vittima della pandemia. A noi serve un partito proiettato su una società che vive con preoccupazione e incertezza i mesi che abbiamo davanti e che chiede risposte sul lavoro, sulla riapertura delle scuole, sui bisogni di tutti i giorni".

La conclusione del ragionamento: “Speriamo quindi che Letta porti davvero a una svolta, alla costruzione di un partito più aperto e rinnovato e che dia davvero spazio alle migliori energie, quelle di giovani e donne impegnati per migliorare la realtà in cui vivono. Era quello che chiedeva Zingaretti, come segreteria provinciale ci affidiamo convintamente a Letta convinti sia la persona giusta per questo cambio di passo".

In realtà adesso nel Pd di Rimini sono tutti per Letta, anche coloro che fino al giorno prima raccoglievano le firme perché Zingaretti restasse al suo posto.

Fra i riminesi eletti nell'assemblea del Partito Democratico chiamati a pronunciarsi sul nuovo segretario ci sarà anche Claudia Corsini, assistente sociale e vice presidente di ACER Rimini. Corsini che "voterà convintamente Enrico Letta perché serve una guida autorevole in grado di ricollocare il nostro Partito al centro della scena politica e di fornire una forte identità allo stesso dopo i giorni difficili delle dimissioni di Zingaretti".

Lasciate anche voi Patto Civico e venite con me a costruire l'alternativa di governo per la città. E' l'appello che il consigliere comunale Davide Frisoni, ora passatto all'opposizione della giunta Gnassi, rivolg agli ex sodali di Patto Civico.

"Si sono fatti coinvolgere - scrive -  in una guerra senza esclusioni di colpi dalle correnti interne al PD che a Rimini come nel resto d'Italia porteranno ad un sicuro naufragio della sinistra. Lotte che non li riguardano. Non ci sono molte considerazioni da fare sul perché si avrà l'implosione del PD,  bastano le accuse dell'ex segretario Zingaretti che " si Vergogna " del poltronificio che lui stesso ha contribuito a creare ed ora con l'ingresso di 2 assessori grillini nella Sua giunta regionale del Lazio ha messo la parola fine ad aperture a future alleanze con il civismo liberale. Il percorso è tracciato, pur di galleggiare per un altro pò di tempo, per le amministrative di questo autunno, si privilegerà l'alleanza con i 5 stelle piuttosto che a una apertura verso il civismo. Non basterà una brava persona come Letta a rimettere insieme i cocci, o a  ridimensionare  l'arroganza e la prepotenza di chi si è sentito e ha agito sempre da depositario della verità assoluta".

"Tornando a Rimini - conclude Frisoni - invito gli amici che sono rimasti in Patto Civico, considerato ininfluente dai più, ad abbandonare l'alleanza ormai  improponibile ed innaturale dal punto di vista politico, e seguirmi in questo nuovo progetto che porterebbe un ricambio vero per Rimini e realizzerebbe un sogno che i Riminesi aspettano da sempre".

Tempi duri per i balneari. La settimana dal 7 al 13 marzo ha visto susseguirsi una dopo l’altra notizie che mettono in discussione la proroga delle concessioni al 2033, introdotta nel 2018 dal governo giallo-verde. Per rendersi conto di quanto sia forte l’allarme nell’intera categoria basta sfogliare le pagine di mondobalneare.it, l’organo di informazione che si fa interprete delle posizioni dei titolari delle concessioni demaniali marittime a scopo ricreativo turistico.

Il 7 marzo è stata resa nota la lettera (in realtà spedita il 15 febbraio) del presidente dell’Agcm, l’autorità per la concorrenza, a Camera, Senato, Presidente del Consiglio, Ministro dello sviluppo economico. La lettera ha per oggetto “disciplina delle concessioni di posteggio per il commercio su area pubblica”, ma le considerazioni sono estese anche alle concessioni balneari. “La contigua giurisprudenza, europea e nazionale, in materia di concessioni demaniali marittime – scrive l’Agcom - ha costantemente ribadito la necessità di assegnare le concessioni all’esito di selezioni trasparenti e non discriminatorie e per una durata limitata e proporzionata agli investimenti. La giurisprudenza ha altresì costantemente ribadito l’illegittimità di previsioni che dispongano proroghe automatiche al concessionario uscente, in quanto di per sé ostative a qualsiasi forma di selezione, necessaria ogni qual volta occorra assegnare un bene pubblico per l’esercizio di attività suscettibili di apprezzamento in termini economici”. Una bocciatura a tutto tondo delle proroghe automatiche, tante care a molti bagnini e alle loro associazioni di categorie.

A preoccupare i balneari è il fatto che, lettera a parte, l’Agcm sembra aver messo nel mirino le proroghe al 2033 applicate da alcuni Comuni. In alcuni casi, per il momento, si è limitata a una diffida, in altri casi si è costituita in giudizio davanti al Tar. È il caso del procedimento contro il comune di Piombino che aveva pubblicato una determina con la proroga al 2033 di alcune concessioni. La sentenza, 26 pagine, si pronuncia su tutti gli aspetti della complessa materia e ha messo in forte allarme i sostenitori del “protezionismo” ad oltranza. Si teme in un effetto valanga, cioè che l’Agcm, visti i primi successi ottenuti, ricorra al Tar contro tutte le determine dei Comuni (anche Rimini ne ha assunta una).

Il Tar della Toscana ha accolto il ricorso dell’Agcm con le seguenti motivazioni: «In seguito alla soppressione dell’istituto del “diritto di insistenza”, ossia del diritto di preferenza dei concessionari uscenti, l’amministrazione che intenda procedere a una nuova concessione del bene demaniale marittimo con finalità turistico-ricreativa, in aderenza ai principi eurounitari della libera di circolazione dei servizi, della par condicio, dell’imparzialità e della trasparenza, ai sensi del novellato art. 37 cod. nav., è tenuta a indire una procedura selettiva e a dare prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico, anche sotto il profilo economico». I giudici del Tar della Toscana richiamano inoltre l’articolo 12 della direttiva Bolkestein, secondo cui quando «il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento», Inoltre la direttiva precisa che «l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami».

Ma la settimana nera dei balneari italiani non era ancora finita. Il giorno dopo la sentenza del Tar della Toscana (per sua natura ancora appellabile, quindi non definitiva), ecco arrivare la sentenza del Consiglio di Stato, che invece è definitiva. Il pronunciamento dei giudici del Consiglio di Stato è avvenuto nell’ambito di un giudizio di ottemperanza (cioè quando si obbliga un’amministrazione a dare esecuzione ad una sentenza). Ma, al di lè dell’occasionemparticolare, il pronunciamento è comunque netto: «l’ente competente al rilascio della concessione demaniale marittima ad uso turistico ricreativo, in ragione della normativa disciplinante il settore, non può procedere in via diretta al rilascio stesso ma solo all’esito di una selezione tra gli aspiranti concessionari se non previa selezione». Nelle note sono richiamate la celeberrima sentenza del 2016 della Corte europea di giustizia e le sentenze precedenti di altre sezioni del Consiglio di Stato.

Le sentenze che periodicamente si susseguono mettono in evidenza che l’automatica proroga di quindici anni non aveva una solida base giuridica. La proroga era stata introdotta annunciando che poi sarebbe seguita una organica legge di riforma del settore. Quella che non si riuscì ad approvare in tempo nella scorsa legislatura. Nell’attuale Parlamento non risulta che qualcuno vi stia lavorando. Adesso la palla passa dalle aule dei tribunali amministrativi a quelle della politica. Anche se c’è chi ancora si attarda a immaginare una non applicazione della Bolkestein per gli stabilimenti balneari. Ed è tutto da vedere come (e se) si pronunceranno sulla questione questo Parlamento e questa estesa maggioranza al cui interno convivono tutte le posizioni e il loro contrario.

Il ministro c’è, e tutti lo cercano, lo incontrano (online), gli scrivono. Il ministero, con tutto ciò che comporta (risorse, personale) è invece ancora sulla carta. E, fra gli addetti ai lavori, c’è già chi gli predice una vita non facile.

In riviera la novità di un ministero del turismo autonomo, con portafoglio, è stata accolta con entusiasmo, è stata letta come il segnale della volontà di considerare finalmente il turismo come un’industria, non come un’attività residuale. Sarà perché il ministro Franceschini si interessava più della cultura o aveva in mente solo il turismo dei borghi e delle città d’arte, ma l’arrivo del leghista Massimo Garavaglia ha generato grandi aspettative. Un ministro del turismo con portafoglio mancava dal 1993, anno in cui fu soppresso con referendum popolare. Quale fu l’ultimo ministro? Per chi non se lo ricorda, scriviamo che fu la socialista Margherita Boniver. Non è che i ministri del turismo fossero molto popolari in riviera. Chi li conosceva? E chi se li ricorda oggi? I nomi di Capria, Lagorio, D’Arezzo, Ariosto, Signorello, Pastorino, probabilmente non evocano grandi emozioni fra gli operatori turistici della riviera. Fa certamente eccezione Franco Carraro, ministro dal 1987 al 1991, che legò il suo nome alla legge (la Carraro-Vizzini, appunto) che aiutò la riviera adriatica a risollevarsi dal trauma delle mucillagini. Forse, a parte Franceschini, non sono ricordati nemmeno quelli che negli ultimi anni hanno avuto la delega nell’ambito del ministero dei beni culturali. Prima di dedicarsi a cani e gatti, fu ministro del turismo, ma senza portafoglio, anche Maria Vittoria Brambilla.

Dunque, abbiamo un ministro ma non abbiamo ancora un ministero. Garavaglia può al momento contare sulla precaria struttura facente capo al ministero della cultura. Una recente inchiesta de Il Domani offriva questo quadro: “I dipendenti sono appena una trentina, per lo più a un passo dalla pensione, spesso demotivati dai continui sballottamenti degli ultimi anni, tra un ministero e l’altro; le risorse sono modeste, una settantina di milioni di euro l’anno, da spartire oltretutto con l’Enit, che spende senza brillare, mentre i quattrini per gli investimenti turistici e gli incentivi passano dal Ministero dello Sviluppo Economico”.

Quando dunque ci sarà un ministero del turismo degno di questo nome? Se tutto va bene, entro il 31 maggio la nuova “creatura” comincerà a muovere i primi passi. Un decreto legge del 1 marzo scorso stabilisce infatti che entro 90 giorni l’attuale Direzione generale Turismo del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo sia soppressa e che sempre entro 90 giorni si dovrà procedere a tutte le questioni organizzative del nuovo dicastero. Il nuovo ministero, rispetto ai 27 dipendenti della direzione soppressa, potrà contare su 20 dirigenti e 130 dipendenti, un organico di 150 persone. Il decreto stabilisce anche che il Ministero del turismo è autorizzato ad assumere a tempo indeterminato fino a 107 unità di personale non dirigenziale, e fino a 13 unità di personale dirigenziale di livello non generale. Potrà farlo mediante concorso pubblico (tempi lunghi), o anche utilizzando le graduatorie valide di altre pubbliche amministrazioni o mediante procedure di mobilità. Certo che una volta che c’è il personale, gran parte del lavoro è fatto. Le risorse aggiuntive di cui parla il decreto sono 1,5 milioni per l’affitto della sede; 1,667 milioni per i collaboratori diretti del ministro, 3,337 per due organismi che fanno capo al ministero: il Centro per la promozione del Codice mondiale di etica del turismo e il Comitato permanente per la promozione del turismo. Ma quali competenze avrà il ministero? L’articolo 6 del decreto recita: «E' istituito il Ministero del turismo, cui sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di turismo, eccettuate quelle attribuite, anche dal presente decreto, ad altri ministeri o ad agenzie, e fatte salve in ogni caso le funzioni conferite dalla vigente legislazione alle regioni e agli enti locali». Tutto chiaro? No, non è chiaro, perché un altro comma dello stesso articolo aggiunge: «Il Ministero cura la programmazione, il coordinamento e la promozione delle politiche turistiche nazionali, i rapporti con le regioni e i progetti di sviluppo del settore turistico, le relazioni con l'Unione europea e internazionali in materia di turismo, fatte salve le competenze del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, e cura altresì i rapporti con le associazioni di categoria». A parte il ministro Di Maio, Garavaglia può incontrare resistenze dai presidenti e assessori regionali. Non è un caso che il ministro abbia subito dichiarato che cercherà di procedere di concerto con le Regioni: più che una volontà politica è un passo obbligato perché le Regioni grazie al Titolo V della Costituzione sono titolari della delega al turismo. Ecco perché alcuni osservatori (per esempio Roberto Gentile su TTG Italia) hanno pronosticato vita dura al risorto Ministero.L’ex ministro Centinaio, che nel governo gialloverde ha gestito la delega insieme all’agricoltura, ha confidato a Il Foglio: «Quando ero al ministero volevo mettere mano alla classificazione alberghiera, per rivedere le modalità con cui si concedono le stelle agli hotel. Ma le Regioni hanno bloccato tutto, perché ognuna potesse continuare a decidere le modalità che preferisce».

Nella medesima intervista il leghista Centinaio ha espresso una preoccupazione: «Aver preso il ministero del Turismo potrebbe diventare un boomerang per noi», E perché mai? «È proprio perché conosco la materia che dico che sarà dura. E se falliamo, il settore passerà dall’entusiasmo alla frustrazione».

Da mesi Jacopo Morrone, segretario romagnolo della Lega, sta incontrando a Rimini persone, imprese e associazioni, in vista delle elezioni amministrative, ora rinviate in autunno.

Quali domande e attesa ha colto in questi incontri?

La città chiede una prospettiva, chiede un progetto, chiede un’amministrazione che possa governare dieci anni. In un momento di insicurezza generale dovuto a emergenza sanitaria e economica, chiede un Comune, un’amministrazione, una squadra che possa indicare la strada per uscirne. Sto parlando con imprenditori, professionisti, ma anche esercenti, commercianti. Non sono certo interessati alla diatriba politica all’interno di un partito che deve indicare un successore litigando sulla poltrona, come sta facendo il Pd, mi sembrano invece più interessati al percorso che sta facendo l’area alternativa al partito democratico, ovvero ragionare e mettere in campo idee su Rimini. Più che in altre realtà ho trovato persone che non si sono mai occupate di politica e che in questa tornata hanno dato la disponibilità o a candidarsi e a dare un contributo. È un fatto mai accaduto prima a Rimini. Questa è l’aria nuova che si respira. Nei sei mesi che avremo a disposizione, continueremo questo percorso di coinvolgimento della società civile nel governo della cosa pubblica.

Nel corso di questi incontri, che idea si è fatto della città dopo dieci anni di amministrazione Gnassi?

Abbiamo di fronte due realtà diverse. Una cosa è Gnassi sindaco, altra cosa è il partito democratico. Fra chi ho incontrato, nessuno mi ha parlato del Pd, della squadra che ha lavorato dieci anni, ma mi ha parlato di un sindaco, di una persona sola al comando. Una persona che certamente ha anche lavorato. Ho sempre detto che bisogna ripartire da quello che è stato fatto, migliorare le cose fatte male, continuare le opere o i percorsi intrapresi, aprire un confronto con la cittadinanza sulle questioni più discusse. Nel programma alternativo che dovremo redigere con le forze politiche, con le liste civiche, con chi vuole stare in questo progetto, bisognerà interessare e coinvolgere la cittadinanza, le associazioni, le categorie. Un programma aperto. Va affrontato, per esempio, il parco del mare, valutare i benefici e gli ostacoli, gli aspetti sbagliati, individuare le eventuali correzioni da apportare. Noi vogliamo coinvolgere le persone prima di fare le opere. Se c’è un errore del sindaco è che in maniera autoritaria ha portato avanti progetti senza coinvolgere la città nelle sue articolazioni. Non faremo la campagna elettorale criticando quello che hanno realizzato prima, quelli di prima hanno avuto il consenso, sono stati eletti e hanno portato avanti un certo programma. Sono convinto che Rimini meriti molto di più. Ciò che chiediamo è che il prossimo sindaco e la prossima giunta siano una squadra più coesa e abbia maggiore capacità di ascolto delle categorie e degli imprenditori. Si è fatto molto su alcuni temi, poco su altri. Oltre all’economia legata al mare ci sono attività industriali che creano posti di lavoro e non sono mai state interpellate e ascoltate. È una mancanza a cui noi porremo rimedio.

Quelli che verranno dopo, in autunno, troveranno una città stremata dalla crisi economica da pandemia. Il Comune come può favorire la ripresa?

Il Comune è il soggetto che può dare entusiasmo. Può dare aiuti anche concreti, progettare piani di investimento, iniziative per rilanciare il l’industria turistica, organizzare eventi. Il Comune può ridurre la burocrazia per chi vuole investire sul territorio. In qualsiasi comune andiamo al governo chiedo venga istituito un assessorato specifico per le imprese e gli artigiani, in modo che sia data priorità a pratiche, anche urbanistiche, di chi vuole investire e creare nuovi posti di lavoro. Dare aiuti per favorire la ripresa economica sarà la priorità. Se chiude un negozio, avanza il degrado, il degrado lo si combatte anche aiutando e facilitando gli investimenti.

Che caratteristiche deve allora avere il candidato sindaco per svolgere questo ruolo?

Deve essere una persona che ha credibilità, che ha realizzato qualcosa nella vita, che può portare un valore aggiunto al governo della città. Sto dialogando con molte persone per individuare un candidato sindaco che sarà espressione della Rimini che lavora e si rimbocca le maniche. Non sarà un candidato di partito, anche se nei partiti abbiamo persone che hanno svolto in maniera ottima il ruolo di consiglieri comunali. La mia vision è un candidato della società civile, che ha già fatto qualcosa per la città. Magari è inesperto in politica però ha fatto qualcosa per cui è riconosciuto e riconoscibile. Una persona così, affiancato dai politici, produce il giusto mix di cui la città a bisogno. È la squadra che è vincente. Molte persone valide hanno già dato la disponibilità a essere parte della squadra. La nostra direzione di marcia è: una squadra per Rimini.

Per metterla insieme adesso avrete più tempo. Ve lo prenderete tutto?

Continuo nel lavoro di incontro con imprenditori e associazioni che mi aprono le porte per offrirmi i loro contributi. Presto faremo anche una diretta Facebook, che in tempi di pandemia è l’unica modalità di comunicazione praticabile. La città ha voglia di cambiare, le nostre buone intenzioni sono piaciute e condivise dalla stragrande maggioranza della città.

Ma i tempi per conoscere il candidato quali sono?

Quando la squadra sarà matura, emergerà anche il candidato. Abbiamo di fronte una campagna elettorale lenta, lunga, difficile. Comunque non sarò io a decidere, sarà la squadra.

Alle ultime tornate elettorali, molti simpatizzanti del centrodestra hanno votato il candidato del centrosinistra. Cosa deve cambiare il centrodestra per tornare ad essere attrattivo per questi elettori?

Il centrodestra è già cambiato, il percorso intrapreso per la scelta del candidato sindaco è già un segnale di cambiamento. Incontro tante persone che hanno votato Gnassi o che hanno votato un partito di sinistra a livello nazionale, che però a livello amministrativo vogliono un cambiamento perché stanche di un uomo solo al comando. Il nostro progetto che parte dalla società civile e che si avvale del sostegno dai partiti ci avvicina a quanti si disinteressavano della politica perché non vedevano un futuro. Ci siamo avvicinati a molti ambienti, come a quello cattolico. Abbiamo già svolto un lavoro importante.

Il superbonus 110, con la corsa a migliorare l’efficientamento energetico delle abitazioni e a ridurnre il rischio sismico, sta creando a Rimini una vera e propria bolla. Ruggero Vitali, responsabile costruzioni della Cna (che dispone di un consorzio, Coeso, per questi interventi), snocciola alcuni numeri: “Il patrimonio residenziale italiano è costituito da circa 12,2 milioni di edifici e circa 7,2 milioni di questi (il 60%), è stato costruito prima del 1980, mentre altri 5,2 milioni di edifici hanno più di 50 anni. La produzione media annua di edifici residenziali in Italia è passata da quasi 200.000 edifici all’anno negli anni ’60 e ’70, a meno di 29.000 tra 2001 e 2018. È chiaro che ci troviamo di fronte a un patrimonio edilizio con un grado di vetustà importante, con una forte percentuale di capitale fisso edilizio realizzato tra il 1946 e il 1970, anni di produzione segnati da modelli speculativi caratterizzati da bassa qualità edilizia e in assenza di normativa anti-sismica; un patrimonio edilizio che nel 90% ha ancora oggi una classe energetica misurabile tra F e G”. Cioè le ultime due classi. Questa la situazione nazionale, ma a Rimini? “Rimini non fa eccezione a questi dati”.

Si capisce allora perché sia scattata la corsa al superbonus 110, quello che ha introdotto la decisiva novità della cessione del credito di imposta. In verità alcuni pareri sono discordi. Secondo Ulisse Pesaresi, presidente di Ance Romagna, i costruttori di Confindustria, “C’è indubbiamente molto fermento, arriva un discreto numero di richieste, però c’è anche tanta incertezza legata al fatto che molti utenti pensano sia tutto gratis, e invece non è così o perché alcune opere non sono comprese nel bonus o perché c’è un costo della pratica. Ragione per cui c’è confusione e di cantieri ne sono partiti pochi”.

Ha un punto di vista diverso Sergio Pizzolante, presidente e amministratore delegato di Vertical, società del Gruppo Sgr che si è lanciata nel mercato del superbonus. “Noi – spiega – siamo un general contractor che coordina una rete di professionisti e imprese. Finora, fra bonus 90, che riguarda esclusivamente le facciate, e bonus 110 abbiamo concluso 60 cantieri. Nella nostra area di riferimento, la Romagna e le Marche, abbiamo 500 pratiche in corso. A me sembra che il bonus 110 abbia prodotto grande movimento sul mercato, la domanda di interventi supera l’offerta di imprese e professionisti, che faticano a star dietro alle richieste. C’è una sorta di overbooking”.

Basta parlare con qualsiasi tecnico per scoprire che il primo scoglio da superare per poter avviare fruttuosamente la pratica è la verifica fra lo stato di fatto dell’immobile e il progetto depositato negli uffici pubblici. “E’ quasi una consuetudine - conferma Vitali, della Cna - riscontrare, seppur sanabili, difformità durante il percorso degli accertamenti. dagli accessi agli atti per recuperare i precedenti edilizi alle verifiche e rilievi degli immobili fino alla corrispondenza tra stato di fatto e stato legittimo, la strada è sempre complessa”.

A rendere ancora più complicata la situazione c’è l’emergenza Covid. “Sono necessarie informazioni da parte delle amministrazioni pubbliche. Ma fra smart working e quarantene dei dipendenti le informazioni sono spesso centellinate. È faticoso ottenere documenti senza un interlocutore fisico con cui trattare. Altri ritardi vengono dalle assemblee di condominio: la decisione di eseguire i lavori va deliberata in assemblea, e l’esperienza dice che è difficile deliberare in call conference. Per colpa del Covid, si è perso tutto il 2020 e si rischia di perdere anche gran parte del 2021.

I tempi sono una variabile di non poco conto. La scadenza del bonus 110 è stata fissata al 31 dicembre 2022, ma c’è l’obbligo, per poter usufruire del bonus, che entro il 30 giugno 2022 sia stato realizzato il 60 per cento dei lavori. La bolla (super carico di lavoro per imprese e professionisti) è destinata a sgonfiarsi subito. “Come Cna siamo sempre stati convinti di questa legge e della grande opportunità concessa a cittadini e imprese. Tuttavia per riuscire ad avere l’effetto ricercato sul mercato, sia in termini di risultati sul piano della sostenibilità sia in quelli di spinta economica al settore edilizio, le attuali scadenze non sono sufficienti. Abbiamo chiesto più volte al Governo che questa proposta possa diventare strutturale, anche riducendo la percentuale di beneficio fiscale”. Anche i rappresentanti nazionali dell’Ance, afferma Pesaresi, sono intervenuti per spingere in direzione di una proroga. Anche se, a quanto risulta, le autorità di governo temono che la dilazione della finestra possa far lievitare la spesa oltre i 30 miliardi previsti.

La dilatazione dei tempi potrebbe aiutare a risolvere un altro problema segnalato da Ulisse Pesaresi: “la difficoltà di reperimento sia di prodotti (cappotti termici) che di determinate attrezzature come i ponteggi”. Un altro fenomeno evidente è l’incremento dei prezzi, ma nessuno degli interlocutori lo accusa come problema perché lo legge come una inevitabile legge di mercato: l’aumento della domanda fa lievitare i prezzi, che oltretutto, per via della crisi edilizia, erano stagnanti da anni.

L’ultima questione è il bonus 110 e gli alberghi. Qualche politico è già intervenuto per chiederne l’estensione. “Il bonus 110 non si può attualmente applicare agli hotel – spiega Pizzolante – perché un albergo è considerato come una unica unità immobiliare, anche se ha un volume complessivo più ampio di un condominio di dieci appartamenti. Noi abbiamo segnalato ad alcune forze politiche la proposta di applicare il bonus anche agli hotel tenendo conto dei volumi, anziché delle unità immobiliari”.

“Al momento - rileva Ruggero Vitali della Cna - ci sono solo proposte ed interrogazioni alla Regione e al Governo con richieste di avviare un confronto all’interno della Conferenza Stato-Regioni. La proposta di estendere anche alle strutture ricettive la possibilità di accedere al bonus 110 potrebbe avere un duplice obiettivo: quello di sostenere un settore che sta attraversando una profonda crisi e un complessivo ammodernamento ed efficientamento delle strutture, rinnovando ulteriormente l’offerta turistica sia in termini economici sia ambientali”.

Ancora non sappiamo se il rinvio in autunno delle elezioni comunali sortirà l’effetto di decantare la tensione accumulatasi in queste settimane dentro il Pd. Poiché al momento i due contendenti sono in gioco e nessuno sembra intenzionato ad abbondare il campo, abbiamo deciso di sottoporre a ciascuno di loro alcune domande che mirano a capire che ruolo intendono far giocare al Comune dopo il superamento dell’emergenza e nella fase di “ricostruzione”.

Qui di seguito le risposte di Emma Petitti

Nell’articolo a fianco le risposte di Jamil Sadegholvaad

1. Anche Rimini è pesantemente colpita dalla crisi attuale.
Come le sembra che stia reagendo la città alla crisi economica e sociale determinata dalla pandemia da Covid? C’è rassegnazione, o addirittura disperazione, o vede la volontà di reagire positivamente anche di fronte a questa drammatica sfida?

“La voglia di reagire fa parte dei riminesi. Dopo il secondo conflitto eravamo una città completamente a terra, distrutta dai bombardamenti, fatta solo di macerie. Ciononostante Rimini ne è uscita nuova, ricostruita, ancora più viva. Rialzarci dalle crisi fa parte della nostra storia. Sicuramente questa pandemia ci lascia feriti, siamo un territorio che ha un’economia imperniata in particolare sui servizi, sul commercio, sul turismo, tutti settori colpiti al cuore dalle restrizioni. Il bello del mio ruolo istituzionale è la possibilità di confrontarmi di continuo con le persone, i territori; dappertutto noto molta energia propositiva, la disponibilità a mettere sul tavolo idee, soluzioni e sistemi nuovi per ripartire. Ora abbiamo i vaccini che ci fanno vedere una luce in fondo al tunnel e ci fanno pensare che la stagione estiva non venga del tutto persa, ma possa comunque registrare dati positivi. Reperire più dosi è il tema dei temi in questo momento. Alla campagna vaccinale, che speriamo prosegua nella maniera più rapida possibile, si aggiunge il capitolo Recovery fund, 209 miliardi di euro, il nostro Piano Marshall. Per essere davvero efficace però non basta. Da un lato servono buone riforme volte alla semplificazione della burocrazia e alla riduzione del carico fiscale, dall’altro lato, è necessaria un’approfondita riflessione sul “come” vogliamo risollevarci, sulla società che vogliamo da qui ai prossimi decenni, su nuovi modelli di sviluppo capaci di mettere al centro le persone, il lavoro, l’ambiente”.

2. Di fronte alla crisi delle mucillagini, più di trent’anni fa, ci fu una reazione immediata e forte, sia delle istituzioni che degli operatori. Portò ad una rimodulazione dell’offerta turistica: piscine negli hotel, mondo della notte, interventi per la salvaguardia del mare, ecc. C’è oggi un’analoga reazione condivisa o prevalgono gli elementi di conflitto? O ci si limita a chiedere i ristori?

“Le crisi richiedono di volgere lo sguardo al presente e nel frattempo di innalzarlo al futuro. I ristori sono necessari in questo momento, sono dei sostegni imprescindibili per aiutare chi adesso ha più bisogno, ma da soli, senza investimenti, senza riforme strutturali, rischiano di essere una goccia nel deserto che risolve a mala pena il contingente. Questa emergenza sanitaria ci consegnerà comunità impoverite, depauperate. Già nel passato, alla fine degli anni ’80, di fronte a una grossa crisi del turismo balneare, la risposta fu investimenti per il futuro. Ecco, oggi siamo chiamati a un altro grande progetto di innovazione, in grado di rilanciare il nostro sistema economico e accrescerne il potenziale. Tornando alla sua domanda, la differenza tra l’evento delle mucillagini e del Covid è importante. Il primo ha colpito la Romagna, il secondo è un fenomeno globale che impone un cambio di paradigmi al mondo intero. Rimodulare l’offerta turistica, assolutamente sì. Reputo prioritario estendere ad esempio un’operazione come il bonus 110% anche alle strutture alberghiere e turistiche. Sono tanti i fronti su cui concentrare gli sforzi: progetti di riqualificazione; efficientamento delle infrastrutture per rendere Rimini una destinazione sempre più facile e veloce da raggiungere; definizione di tecniche costruttive che permettano il miglioramento dei servizi e degli spazi urbani; più attenzione alle zone periferiche. Il concetto di ‘città resiliente’ deve fungere da guida, ovvero una città in grado di sviluppare strategie di risposta alle sollecitazioni esterne e di predisporre in parallelo piani di prevenzione dei rischi”.

3. Nel contesto attuale, l’amministrazione comunale, alla cui guida lei si candida, come può efficacemente svolgere un ruolo di abbrivio per la ripresa economica? Con quali risorse? Con quali strumenti?

“Serve un intenso lavoro di squadra tra amministrazioni locali, Governo ed Europa per mettere in fila priorità e strumenti attraverso cui cominciare a risalire la china, a partire da una maggiore coinvolgimento delle città nella discussione del Recovery plan, da chi ha più il polso della situazione e dei bisogni per favorire la nascita di progettualità concrete che favoriscano la crescita economica, l’occupazione, la coesione sociale e la transizione green e digitale. L’Europa è il nostro principale alleato in questa fase, così come il Governo dev’essere un interlocutore costante a cui sottoporre le questioni, gli obiettivi. La futura amministrazione avrà un importantissimo lavoro da portare avanti, che richiede grande visione. Il lavoro dovrà essere il baricentro di tutto, soprattutto in questa fase in cui molti o l’hanno già perso o corrono il rischio di perderlo. Vale sia per i lavoratori dipendenti che autonomi. A questo si aggiunge un ripensamento del prodotto turistico, della mobilità. Un maggiore coraggio negli investimenti legati alla sostenibilità e la creazione di uno “scudo” per proteggere e dare slancio alle piccole medie imprese. E poi ci sono i temi della scuola, della cultura, della sicurezza, della parità, della sanità integrata, dello sport, che devono essere in cima alle agende politiche e amministrative. La Rimini del futuro sarà davvero un esempio nel mondo post Covid se saprà fare del green, della cultura e del lavoro le sue principali leve”.

Ancora non sappiamo se il rinvio in autunno delle elezioni comunali sortirà l’effetto di decantare la tensione accumulatasi in queste settimane dentro il Pd. Poiché al momento i due contendenti sono in gioco e nessuno sembra intenzionato ad abbondare il campo, abbiamo deciso di sottoporre a ciascuno di loro alcune domande che mirano a capire che ruolo intendono far giocare al Comune dopo il superamento dell’emergenza e nella fase di “ricostruzione”.

Qui di seguito le risposte di Jamil Sadegholvaad.

Nell’articolo a fianco le risposte di Emma Petitti.

1. Anche Rimini è pesantemente colpita dalla crisi attuale. 

Come le sembra che stia reagendo la città alla crisi economica e sociale determinata dalla pandemia da Covid?  C’è rassegnazione, o addirittura disperazione, o vede la volontà di reagire positivamente anche di fronte a questa drammatica sfida? 

Credo che il sentimento sia comune a quello del mondo: un saliscendi di sconforto e speranza, paura di non farcela e desiderio di non mollare. E’ chiaro che per Rimini e per le sue peculiarità socioeconomiche- basate in buona parte sula filiera turistica, tra diretto e indotto- si sta parlando di elementi più preoccupanti che altrove: qui davvero il rischio è di provocare un danno strutturale al tessuto di comunità, se le cose non si riprenderanno a breve. I numeri non mentono: nel 2020 la provincia di Rimini ha perduto oltre 7 milioni di pernottamenti turistici e oltre un milione di arrivi. Il Pil dell’Emilia-Romagna è crollato del 9,3%, in una forchetta tra il 9 e il 9,5. La stima è di Unioncamere Emilia-Romagna, su dati di Prometeia.
Il 48,3% delle imprese, quasi una su due, ha problemi di liquidità. Tra i settori, nei primi tre trimestri le perdite di fatturato più drammatiche arrivano dalla ristorazione (-37,6%), dalla moda (-22,2%) e dalla ceramica (-19,5%), tengono l’agroalimentare (-0,6%) e la chimica (-1,5%).In nove mesi il manifatturiero ha perso il 12% del fatturato, le costruzioni l’8%, il commercio il 7,9%, il turismo il 44%. Quello che vedo in giro è comunque la volontà di prepararsi al meglio. Vedo imprenditori che investono, sento di imprenditori che programmano la ripresa. Sono messaggi importanti perché portano con sé non solo la speranza ma anche un’idea di resistenza al peggio e anche al male. La pandemia, ad esempio, porta con sé il rischio di infiltrazione e ramificazione della componente criminale dentro il tessuto economico, allo stremo finanziariamente. Investire da parte dei nostri imprenditori è una prima forza di reazione. Insieme a loro devono esserci le istituzioni

2. Di fronte alla crisi delle mucillagini, più di trent'anni fa, ci fu una reazione immediata e forte, sia delle istituzioni che degli operatori. Portò ad una rimodulazione dell'offerta turistica: piscine negli hotel, mondo della notte, interventi per la salvaguardia del mare, ecc. 

C'è oggi un’analoga reazione condivisa o prevalgono gli elementi di conflitto? O ci si limita a chiedere i ristori? 

Sono due cose completamente diverse. Anzi, in una politicamente scorretta scala delle disgrazie, penso che la pandemia sia molto peggio della crisi delle mucillagini perché entra sotto la pelle di ogni persona, cambiandone i comportamenti. Pensiamo solo al dramma della scuola: mai, neanche durante la guerra, la campanella era rimasta silenziosa come nell’ultimo anno. Si può parlare di futuro in questa situazione? Sì. Vedo e sento in giro diversi imprenditori che stanno investendo proprio in questi mesi, segnati da una chiusura dietro l’altra. E’ come se intimamente si preparassero alla risalita, usassero questi mesi di buio per rinforzare la vista una volta che si tornerà a guardare il sole. Così è Rimini: l’ampio programma di rigenerazione urbana in chiave ambientale sarà il grimaldello per aggredire la ripresa dopo la pandemia. Natura, spazi, contesti vivibili e peculiari: questo chiederà il viaggiatore di domani. E questo Rimini gli offrirà in dosi massicce. Non è un caso che capiti proprio ora la candidatura a Capitale italiana della Cultura nel 2024: quello è il nostro orizzonte e, a differenza che negli anni dopo il 1989 quando traumaticamente si dovette in corsa ripensare a (quasi) tutto, adesso siamo avanti al resto della concorrenza. Per noi significa non gettare al vento la grande occasione di rilanciare e di agganciare il Next Generation UE che per forza dovrà vedere Rimini tra i protagonisti, soprattutto sul fronte della grande mobilità e accessibilità. Il sostegno più grande che possiamo dare alle nostre imprese è quello di metterle nela condizione ideale per lavorare e crescere e produrre benessere e occupazione.

3. Nel contesto attuale, l'amministrazione comunale, alla cui guida lei si candida, come può efficacemente svolgere un ruolo di abbrivio per la ripresa economica? Con quali risorse? Con quali strumenti? 

Io credo che i prossimi saranno anni in cui ci dovremo concentrare su 4 priorità: sanità, economia, educazione, ambiente, senza dimenticare ovviamente la strategicità del sociale.  I programmi e i progetti dovranno essere sinergici intorno a questi temi, non più approcciabili con la logica dei comparti chiusi. Penso ad esempio al ‘ritorno’ del presidio pubblico nelle aree più decentrate- con servizi comunali, sanitari, commerciali, di vigilanza- dopo che per oltre 30 anni l’Italia e tutto il mondo occidentale si è gettato scriteriatamente sul versante opposto, e cioè la centralizzazione di tutto, provocando abbandono, degrado, desertificazione delle aree oggi tornate essenziali. Il ruolo che deve avere il Comune è amministrativamente concentrare gli sforzi e gli investimenti su quelle priorità, ma sulla base di un concetto di fondo: il Comune deve essere più leggero, non può recitare la parte del player unico o quasi, deve dare fiducia alla comunità, sapendo che trattasi non di cessione di sovranità ma di essere il supporto più funzionale alle energie che dopo la pandemia si libereranno e non dovremo ostacolare con burocrazia o desiderio di sterile protagonismo. In questo senso il Comune dovrà richiamare, con gli strumenti e la sensibilità di adesso, il ruolo dell’Ente guidato negli anni Cinquanta e Sessanta da Walter  Ceccaroni all’inizio del nostro leggendario boom. Una cura dimagrante occorre farla, avendo come risultato collaterale anche una riforma tributaria in chiave locale per pesare meno che si può sule tasche di cittadini e imprese. 

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