Il ministro c’è, e tutti lo cercano, lo incontrano (online), gli scrivono. Il ministero, con tutto ciò che comporta (risorse, personale) è invece ancora sulla carta. E, fra gli addetti ai lavori, c’è già chi gli predice una vita non facile.
In riviera la novità di un ministero del turismo autonomo, con portafoglio, è stata accolta con entusiasmo, è stata letta come il segnale della volontà di considerare finalmente il turismo come un’industria, non come un’attività residuale. Sarà perché il ministro Franceschini si interessava più della cultura o aveva in mente solo il turismo dei borghi e delle città d’arte, ma l’arrivo del leghista Massimo Garavaglia ha generato grandi aspettative. Un ministro del turismo con portafoglio mancava dal 1993, anno in cui fu soppresso con referendum popolare. Quale fu l’ultimo ministro? Per chi non se lo ricorda, scriviamo che fu la socialista Margherita Boniver. Non è che i ministri del turismo fossero molto popolari in riviera. Chi li conosceva? E chi se li ricorda oggi? I nomi di Capria, Lagorio, D’Arezzo, Ariosto, Signorello, Pastorino, probabilmente non evocano grandi emozioni fra gli operatori turistici della riviera. Fa certamente eccezione Franco Carraro, ministro dal 1987 al 1991, che legò il suo nome alla legge (la Carraro-Vizzini, appunto) che aiutò la riviera adriatica a risollevarsi dal trauma delle mucillagini. Forse, a parte Franceschini, non sono ricordati nemmeno quelli che negli ultimi anni hanno avuto la delega nell’ambito del ministero dei beni culturali. Prima di dedicarsi a cani e gatti, fu ministro del turismo, ma senza portafoglio, anche Maria Vittoria Brambilla.
Dunque, abbiamo un ministro ma non abbiamo ancora un ministero. Garavaglia può al momento contare sulla precaria struttura facente capo al ministero della cultura. Una recente inchiesta de Il Domani offriva questo quadro: “I dipendenti sono appena una trentina, per lo più a un passo dalla pensione, spesso demotivati dai continui sballottamenti degli ultimi anni, tra un ministero e l’altro; le risorse sono modeste, una settantina di milioni di euro l’anno, da spartire oltretutto con l’Enit, che spende senza brillare, mentre i quattrini per gli investimenti turistici e gli incentivi passano dal Ministero dello Sviluppo Economico”.
Quando dunque ci sarà un ministero del turismo degno di questo nome? Se tutto va bene, entro il 31 maggio la nuova “creatura” comincerà a muovere i primi passi. Un decreto legge del 1 marzo scorso stabilisce infatti che entro 90 giorni l’attuale Direzione generale Turismo del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo sia soppressa e che sempre entro 90 giorni si dovrà procedere a tutte le questioni organizzative del nuovo dicastero. Il nuovo ministero, rispetto ai 27 dipendenti della direzione soppressa, potrà contare su 20 dirigenti e 130 dipendenti, un organico di 150 persone. Il decreto stabilisce anche che il Ministero del turismo è autorizzato ad assumere a tempo indeterminato fino a 107 unità di personale non dirigenziale, e fino a 13 unità di personale dirigenziale di livello non generale. Potrà farlo mediante concorso pubblico (tempi lunghi), o anche utilizzando le graduatorie valide di altre pubbliche amministrazioni o mediante procedure di mobilità. Certo che una volta che c’è il personale, gran parte del lavoro è fatto. Le risorse aggiuntive di cui parla il decreto sono 1,5 milioni per l’affitto della sede; 1,667 milioni per i collaboratori diretti del ministro, 3,337 per due organismi che fanno capo al ministero: il Centro per la promozione del Codice mondiale di etica del turismo e il Comitato permanente per la promozione del turismo. Ma quali competenze avrà il ministero? L’articolo 6 del decreto recita: «E' istituito il Ministero del turismo, cui sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di turismo, eccettuate quelle attribuite, anche dal presente decreto, ad altri ministeri o ad agenzie, e fatte salve in ogni caso le funzioni conferite dalla vigente legislazione alle regioni e agli enti locali». Tutto chiaro? No, non è chiaro, perché un altro comma dello stesso articolo aggiunge: «Il Ministero cura la programmazione, il coordinamento e la promozione delle politiche turistiche nazionali, i rapporti con le regioni e i progetti di sviluppo del settore turistico, le relazioni con l'Unione europea e internazionali in materia di turismo, fatte salve le competenze del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, e cura altresì i rapporti con le associazioni di categoria». A parte il ministro Di Maio, Garavaglia può incontrare resistenze dai presidenti e assessori regionali. Non è un caso che il ministro abbia subito dichiarato che cercherà di procedere di concerto con le Regioni: più che una volontà politica è un passo obbligato perché le Regioni grazie al Titolo V della Costituzione sono titolari della delega al turismo. Ecco perché alcuni osservatori (per esempio Roberto Gentile su TTG Italia) hanno pronosticato vita dura al risorto Ministero.L’ex ministro Centinaio, che nel governo gialloverde ha gestito la delega insieme all’agricoltura, ha confidato a Il Foglio: «Quando ero al ministero volevo mettere mano alla classificazione alberghiera, per rivedere le modalità con cui si concedono le stelle agli hotel. Ma le Regioni hanno bloccato tutto, perché ognuna potesse continuare a decidere le modalità che preferisce».
Nella medesima intervista il leghista Centinaio ha espresso una preoccupazione: «Aver preso il ministero del Turismo potrebbe diventare un boomerang per noi», E perché mai? «È proprio perché conosco la materia che dico che sarà dura. E se falliamo, il settore passerà dall’entusiasmo alla frustrazione».