Ti sposi in Comune? Vieni al corso prematrimoniale
Ci si sposa di meno rispetto a qualche decennio fa, e chi decide di unirsi in matrimonio preferisce sempre di più il rito civile rispetto a quello religioso. A Rimini, per esempio, nell’ultimo decennio il numero dei matrimoni è stato poco più o poco meno di 400, quando nel 2000 erano invece 663. Ma se vent’anni fa la percentuale dei matrimoni celebrati in chiesa era del 70 per cento, nel 2019 è crollata al 35 per cento. In provincia c’è il caso limite del comune di Bellaria Igea Marina dove su 59 matrimoni, solo dieci sono stati religiosi, appena il 15 per cento.
“Le statistiche - osserva l’avvocato Giuliano Zamagni, presidente del Forum delle associazioni famigliari di Rimini – ci dicono anche che il maggior tasso di separazioni e divorzi avviene fra le coppie che si sono sposate con il rito civile”. È il punto di partenza di un ragionamento che ha spinto il Forum ad organizzare, insieme al Centro comunale per le famiglie, un corso di preparazione al matrimonio per quanti scelgono di pronunciare il fatidico sì davanti al sindaco. Per chi si sposa in chiesa, il corso preparatorio da una parte è un obbligo, dall’altra ormai è diventato un passaggio normale che rientra nel percorso scelto. Non che la partecipazione al corso metta al riparo da eventuali crisi, ma almeno si arriva al grande passo con un briciolo di consapevolezza in più.
“Ci siamo resi conto – spiega l’avvocato Zamagni – che chi si sposa con il rito civile non ha alcun momento di formazione che lo aiuti ad essere consapevole della scelta che compie. Me ne rendo conto quando si presentano coppie che vogliono separarsi. Spesso non hanno idea di cosa prevedano quegli articoli del codice civile che frettolosamente vengono letti durante la cerimonia. Si stupiscono che sia previsto un obbligo di fedeltà o un obbligo di assistenza morale. Sono sorpresi che il rifiuto di avere rapporti sessuali con il coniuge possa essere considerato un addebito”.
Il corso (titolo “Le cose che abbiamo in comune”) partirà il 4 marzo e proseguirà ogni settimana fino al 1 aprile. A tenere gli incontri ci saranno avvocati che spiegano dal punto di vista giuridico i contenuti degli articoli del codice civile e consulenti del Centro per la famiglia che ne svolgeranno le implicazioni relazionali. “Partiamo dal codice civile – spiega Zamagni – perché le norme recepiscono il matrimonio come fenomeno naturale. Il diritto non crea il matrimonio, ma lo trova, lo riconosce e lo disciplina. Dalle coppie che vanno in crisi si capisce che all’origine non c’è stata una scelta consapevole dei diritti e dei doveri che si assumono. È il motivo per cui non reggono alla crisi. Faccio sempre l’esempio del mutuo. Quando lo contraggo, so che ogni mese devo pagare una rata. Se arriva un momento di difficoltà, sono consapevole dell’impegno che mi sono assunto e cerco comunque di regolarmi di conseguenza. Le coppie devono sapere cosa scelgono con quel passo. Devono sapere che nel matrimonio ci sono momenti belli ma possono arrivare anche i momenti difficili. E normalmente sono impreparate ad affrontarle. Normalmente dicono: “Ma lui è cambiato!”. Certo che è cambiato, sono passati vent’anni dal matrimonio. Se non ti sei accorta che è cambiato, significa che non siete cresciuti insieme. Insomma, il corso vuole dare una mano ai futuri sposi a comprendere in profondità le implicazioni della decisione presa”.
La proposta è una sfida impegnativa, in Comune ci si può andare a sposare senza l’obbligo di frequentare un corso preparatorio. Deve essere una scelta: ci sarà chi la compie? “Vedremo – dice Zamagni - Sappiamo che già due coppie hanno chiesto informazioni. Speriamo che se ne aggiungano altre. Vorremmo che passasse il messaggio che per sposarsi non basta l’amore, non basta essere innamorati. Ci deve essere una decisione consapevole, anche delle conseguenze del sì che si pronuncia”.
I titoli dei singoli incontri aiutano a comprendere lo spirito dell’iniziativa: “Sì, lo voglio. L’amore lontano dai luoghi comuni”; “Parla con me. Alla ricerca di una grammatica della relazione”; “Due cuori, una capanna e un conto corrente. Abitare la casa, vivere le scelte e custodire i sogni”; Complici, amici, amanti. Mantenere viva e curare l’intimità”; “Mamma e papà. Essere genitori. Ruoli, alleanze e nuovi equilibri familiari”.
Il nodo Gnassi è centrale nelle elezioni comunali di Rimini 2021
Il nodo delle prossime elezioni comunali 2021 di Rimini si chiama Andrea Gnassi. Nel senso che sia per il centrosinistra che per il centrodestra le possibilità di vittoria sono strettamente legate alla posizione che i due schieramenti assumeranno di fronte al lavoro compiuto dal sindaco uscente negli ultimi dieci anni. La possibilità di un cambiamento di colore in un’amministrazione comunale, al di là della geografia politica del momento, è facilitata dall’esaurirsi di un ciclo e dalla uscita di scena del suo protagonista principale. Se il sindaco uscente – come nel caso di Rimini – ha lasciato una forte impronta sulla città e nel corso degli anni ha allargato la fascia di consenso sul proprio operato, quanti si candidano a rilevarne l’eredità non possono però non tenerne conto.
Il discorso vale innanzitutto per il campo politico in cui milita Gnassi. Il candidato sindaco del Pd e dei suoi eventuali alleati sarà scelto nel segno della continuità o della discontinuità rispetto a Gnassi e alla presa che ha dimostrato di avere su settori della città non riconducibili al tradizionale blocco sociale della sinistra? Detto brutalmente, il centrosinistra sceglierà il candidato con Gnassi o contro o a prescindere da Gnassi? Con l’importante inciso che non è affatto automatico che il consenso raccolto da Gnassi sul proprio progetto di trasformazione della città si riversi automaticamente su qualsiasi candidato scelto dal Pd. Nell’opinione pubblica è prevalente la percezione che i meriti siano di Gnassi, non del partito rispetto al quale spesso e volentieri ha agito autonomamente, rifuggendone tic ideologici e antiche liturgie. Se la scelta del partito dovesse cadere su un candidato che, al di là delle dichiarazioni ufficiali che saranno senza dubbio nel segno della continuità, fosse percepito, per identità e cultura politica, in sostanziale discontinuità, la riconquista di Palazzo Garampi presenterebbe qualche rischio in più.
Le recenti elezioni regionali per gli strateghi all’opera sono state un test importante. Con la candidatura di Emma Petitti, si è voluto verificare la sua popolarità e la sua capacità di attirare voti. Le urne le hanno attribuito 8.000 preferenze, di cui 3.800 nel comune di Rimini, ed il risultato è stato presentato come eccezionale. Tralasciando il 2014, quando c’è stata la metà dei votanti, Roberto Piva nel 2010 prese 8.300 preferenze e Massimo Pironi nel 2005 superò le 14 mila, di cui 5.200 solo a Rimini. Si dirà che erano altri tempi, ma il Pd il 26 gennaio ha comunque raccolto il 32 per cento dei voti e sul nome di Petitti si è mobilitato tutto l’apparato del partito. Al di là delle valutazioni che si possono dare sulla perfomance elettorale dell’ex assessore regionale, è evidente che è sul suo nome che intende puntare l’area che fa riferimento a Maurizio Melucci. Sarebbe un ritorno a un esponente del partito “ditta”, per dirla alla Bersani, e difficilmente potrebbe essere percepito dall’elettorato in sostanziale continuità con Gnassi.
Il Pd ripiegherà su un esponente della giunta uscente? A questo proposito il primo nome che viene in mente è quello di Jamil Sadegholvaad, molto amico di Gnassi, figura molto pragmatica.
Certo è, pena frizioni e spaccature che risulterebbero dannose e perdenti, il candidato dovrà comunque avere il beneplacito di Gnassi. Chi lo frequenta, ritiene che le sue preferenze non siano per un uomo o una donna di partito, nemmeno per un esponente della sua giunta, ma per un candidato esterno, una figura della cosiddetta società civile.
Lo stesso problema di fronte all’eredità di Gnassi ce l’ha lo schieramento di centrodestra che punta a realizzare lo storico ribaltone. Si potrebbe dire che il dibattito finora svolto (“bisogna guardare ai moderati, all’elettorato cattolico”, oppure “bisogna fare proposte di buon senso”) rischia di essere teorico o fuorviante. La prima e più importante questione che anche il centrodestra deve dirimere è spiegare cosa vuole fare della città ereditata da Gnassi. Si presenterà agli elettori come un comitato di liberazione dallo storico predominio della sinistra, incarnato negli ultimi anni dal sindaco Andrea Gnassi, o si proporrà come l’amministrazione che completerà al meglio l’opera iniziata dal sindaco uscente e la integrerà con misure e progetti che negli ultimi dieci anni sono stati trascurati e con un metodo che punterà di più sull’ascolto e sulla valorizzazione di istanze ed esperienze dei cittadini? Non è una domanda retorica. Se l’alternativa che sarà proposta avrà i toni e i contenuti dell’opposizione fino ad oggi condotta in consiglio comunale o di certe dichiarazioni pubbliche, la scelta cadrà evidentemente sulla prima ipotesi e l’esito – non c’è bisogno di fare i profeti – sarà inevitabilmente disastroso. È invece auspicabile, proprio per dare agli elettori una reale possibilità di scelta, che il centrodestra a guida leghista si confronti seriamente con la seconda ipotesi e la traduca in una proposta credibile. A partire innanzitutto dalla scelta del candidato sindaco. Ricordiamo ancora le roboanti dichiarazioni del 2016 su assi nella manica pronti ad essere calati e, in realtà, mai visti. Il tempo per aggiustare il tiro e agire di conseguenza c’è. Si tratta di verificare se la classe politica dell’attuale centrodestra sarà all’altezza della sfida.
Galli (Lega): non so cosa voglia dire moderato. I cattolici sono già con noi
Come valuta il risultato della Lega a Rimini alle elezioni regionali? E come valuta la sua perfomance come candidato? Giriamo le domande a Bruno Galli, segretario provinciale del partito.
Rimini è una delle quattro province dell’Emilia Romagna dove il bollino è blu, ed è una piacevole conferma da quando ho rilevato la segreteria provinciale. Sono rammaricato della sconfitta regionale perché ci credevo, ma a livello provinciale sono soddisfatto. Anche come risultato personale, prima come segretario e poi come candidato, è andata bene: Rimini è la provincia che ha avuto i candidati più votati, nonostante il collegio abbia una popolazione inferiore. Quindi dal punto di vista delle preferenze e del radicamento sul territorio, il risultato è stato strabiliante. Tenendo conto che la Lega ha a Rimini una storia più recente.
Però aspirava ad essere eletto e non ci è riuscito.
Tutti si candidano per essere eletti, questo è fuori discussione. Il sistema elettorale penalizza la Romagna che ha eletto 9 consiglieri contro i 41 dell’Emilia. Questa è una grossa pecca della classe dirigente romagnola del Pd che non è riuscita a migliorare questo divario. Non si è vinto in Regione, quindi due consiglieri del collegio sono scattati al Pd.
Non ha niente da rimproverarsi?
Si può sempre fare meglio, però ho preso quattromila preferenze, sono il secondo votato in Romagna dopo Matteo Montevecchi, che è riuscito ad attrarre più voti. Non mi metto a fare i conteggi da dove li ha presi perché io faccio il segretario. Ha portato voti nel contenitore della Lega e come segretario non posso che essere contento.
Quindi la battaglia delle preferenze non è stata un modo per condizionare la Lega?
Assolutamente no e mi dispiace dei commenti di persone, tesserate alla Lega da appena due mesi, che si sono avventurate in analisi del voto che definisco improbabili.
Un outsider spazza via un segretario provinciale e per lei va tutto bene?
Un segretario che prende quattromila voti non è spazzato via.
Montevecchi è stato presentato come l’interprete di una linea moderata molto importante per vincere le elezioni del 2021 a Rimini.
Torno a dire: improbabili commenti. Avrò dei limiti, ma io ancora devo capire, dal 1994 di Berlusconi, cosa vuol dire moderato. Se qualcuno ritira fuori questi concetti un po’ obsoleti, ne prendo atto. Sfido chiunque a trovare nella mia segreteria dichiarazioni sopra le righe. Comunque a me piace parlare di buon senso e non di moderato perché buon senso ha un significato, moderato ha mille significati e quindi si fa fatica a capire cosa si intende.
Perché non le piace il termine moderato?
Non ho detto che non mi piace, ho detto che si presta a mille interpretazioni. Non ho capito cosa voglia dire, se vuol dire modi sobri, equilibrio, se vuol dire ponderazione. Preferisco parlare di buon senso e sfido chiunque a dire che la mia segreteria non abbia usato i toni giusti.
Salvini ha condotto la campagna elettorale in Emilia Romagna da moderato o, come preferisce lei, con buon senso?
Con buon senso, ha sempre detto le cose che pensa. Mi rendo conto che quando si governa dire le cose che si pensano sia un’eccezione, evidentemente Matteo è una piacevole eccezione. Se è stato in grado in due anni di raddoppiare i consensi, non è la persona che certa stampa vuole dipingere. Poi Bonaccini ha vinto perché negli ultimi giorni ha promesso il mondo a tutti.
Appunto, la Lega è risultata vincente non certo usando toni moderati, ma toni sempre forti e a volte esasperati.
Se essere determinati e chiari, vuol dire non essere moderati, ne prendo atto. Ma Salvini non ha detto niente di eretico o di non consono alla Costituzione. Se essere moderati vuol dire usare toni pacati, può essere che a volte non lo siamo.
Proviamo con un esempio concreto. La famosa citofonata del Pilastro è un esempio di messaggio politico moderato?
Me l’hanno chiesto anche in campagna elettorale e non ho visto il fatto perché ero impegnato a girare nel territorio. Se ci mettiamo ad analizzare i singoli episodi in maniera asincrona e asettica, si prestano a mille interpretazioni. Matteo Salvini è un personaggio vero, coerente, è un uomo del buon senso. Non si può estrapolare un singolo episodio. Se invece altri partiti hanno leader anonimi, è più difficile anche criticarli. In tanti vorrebbero avere Salvini, noi per fortuna ce l’abbiamo.
Quando si dice che la campagna elettorale a Rimini nel 2021 il centrodestra la può vincere conquistando i moderati, lei è d’accordo?
Sono assolutamente d’accordo. Reputo che l’elettorato di buon senso, l’elettorato cattolico, chiamiamolo anche moderato se volete, sia assolutamente dirimente e da conquistare. Reputo che la Lega sia il contenitore giusto perché siamo un partito vicino all’associazionismo, al volontariato, alla sussidiarietà. Siamo il baluardo dei valori cattolici. Direi che quell’elettorato non va nemmeno conquistato, ma semplicemente attratto di più. Siamo nella posizione giusta.
Vuol dire che la Lega è già nelle condizioni di attrarre l’elettorato cattolico, che non c’è bisogno di iniezioni esterne?
Assolutamente sì. Non a caso ho parlato di improbabili dichiarazioni.
Si riferisce a quelle di Ravaglioli o di Samorani?
Sono contraddittorie fra di loro. Uno ha detto che la candidatura di Montevecchi era partita da mesi, l’altro ha parlato di venti giorni. Non hanno scoperto niente di nuovo, si sono solo contraddetti. Sono personaggi, uno di loro ha la tessera della Lega da due mesi, e si ergono a statisti.
Quindi cosa dice dell’immagine della scalata di una società in borsa, un’opa, usata da Buongiorno Rimini per descrivere l’elezione di Montevecchi rispetto all’attuale dirigenza della Lega?
Sono molto saldo nella mia posizione di segretario. Faccio politica, non faccio il detective. Non mi arrocco sulle mie posizioni, sono aperto. Nella Lega, però, parla chi è autorizzato a parlare. Dovrei rispondere a chi parla avendo la tessera da due mesi? Non mi sembra una chiave di lettura giusta. Altrimenti diventiamo un circo e noi siamo un partito, non un circo. Sono il segretario più votato della Romagna, faccio il mio mestiere, non sono chiamato a rispondere agli statisti improvvisati.
Valerio Lessi
Coppie in conflitto, arriva il Coordinatore Genitoriale
Si chiama Coordinazione Genitoriale ed è un metodo alternativo di intervento di gestione del conflitto fra genitori che stanno per separarsi o per divorziare. L’intervento, che mira essenzialmente alla tutela dei figli, può essere proposto anche dopo la separazione e il divorzio.
La differenza rispetto alla Mediazione Familiare, istituto certamente più conosciuto? Interviene in maniera più incisiva e meno neutrale, seppure sempre imparziale. Così sostengono i promotori del convegno su La Coordinazione Genitoriale che si svolgerà a Rimini nel pomeriggio di venerdì7 febbraio nella Sala Congressi Sgr.
L’intervento di Coordinazione Genitoriale può essere proposto da parte degli avvocati alle parti o suggerito alle stesse da parte del Giudice.
L’interveto ruota intorno alla figura del Coordinatore Genitoriale che è un professionista debitamente formato al metodo attraverso la frequenza di un corso specifico cui segue l’iscrizione all’Associazione italiana coordinatori genitoriali.
Il Coordinatore, che vede i genitori a cadenza regolare e secondo un programma di incontri, li aiuta a trovare strategie di gestione della quotidianità, nonché modalità secondo cui affrontare le criticità, riferendosi a lproprio sapere professionale, alle ricerche più accreditate nella comunità scientifica piuttosto che a quanto emergerà dal confronto con altri specialisti di supporto di cui il Coordinatore si può avvalere per fornire le informazioni più utili e precise ai genitori che si trovano a fare delle scelte per i propri figli e vengono invitati a farle nella maniera più rispettosa dei reali bisogni degli stessi.
Il Coordinatore, pur mantenendo un atteggiamento di professionale imparzialità, tuttavia non mancherà, di volta in volta, quando necessario, di sottolineare quando l’una o l’altra parte metteranno in atto una condotta contraria alle regole ed agli obiettivi concordati mettendo a rischio l’intero percorso per invitarli a tenere un atteggiamento collaborativo. Viceversa non mancherà di valorizzare le posizioni o le risorse che l’una o l’altra parte vorranno mettere a disposizione del lavoro che verrà fatto insieme.
Lo scopo non sarà quello di assecondare la deriva del conflitto fine a se stessa ma piuttosto quello di mantenere le parti esclusivamente sul loro ruolo genitoriale, su quanto condividono meramente in funzione del fatto che hanno figli insieme, senza tornare sul rancore personale di coppia scoppiata ma perseverando nel mantenere il focus sui figli e su ciò che è il loro interesse.
Al convegno di venerdì, promosso dalla Camera Civile di Rimini, interverrà anche la dottoressa Elena Giudice, assistente sociale e presidente dell’Associazione. La dottoressa Giudice si è formata con Debra Carter che ha introdotto questo metodo negli Stati Uniti, da cui poi ha cominciato a diffondersi a livello internazionale.
Ma davvero il futuro della Lega a Rimini può essere democristiano?
Alla vigilia del voto per le regionali, in riferimento alle dinamiche interne alla Lega, scrivevamo: “La candidatura di Montevecchi si è trasformata in una sorta di Opa ostile all’attuale dirigenza leghista, un’operazione che ha come posta finale le elezioni comunali del 2021 e la gestione delle relative candidature”.
Si sa come è andata a finire: con oltre cinquemila preferenze Matteo Montevecchi ha battuto il segretario provinciale Bruno Galli ed è stato eletto consigliere regionale. All’indomani del voto i protagonisti dell’operazione che con una metafora abbiamo chiamato “Opa ostile all’attuale dirigenza leghista” si sono affrettati a dichiarare che non c’è stata alcuna Opa. Paradossalmente lo hanno fatto con argomenti che hanno confermato al cento per cento la nostra ipotesi.
Prima di documentarlo, ricordiamo gli attori in campo. Da una parte c’è una candidatura, quella di Matteo Montevecchi, che non nasce a livello locale ma è frutto di accordi nazionali. Il giovane lavora a Roma come collaboratore alla comunicazione di parlamentari leghisti, è un ragazzo che sa abilmente usare i social, ma non disponeva di truppe e militanti capaci di raccogliere voti sul territorio. Dall’altra c’erano persone e gruppi che da tempo cercavano di recuperare un ruolo e un peso politico dopo che altri strumenti partitici hanno perso la loro spinta propulsiva o si sono proprio liquefatti. C’è il gruppo di Dreamini che nel 2016 pensava di avere idee e progetti per incidere sulle scelte della Lega, che poi invece candidò Marzio Pecci e li lasciò ad eleggere l’ex grillino Camporesi. C’è un berlusconiano di vecchio corso come Alessandro Ravaglioli, che nella ammirata Russia di Putin ha maturato il nuovo amore per Matteo Salvini. C’è l’ex candidato sindaco di Santarcangelo, Domenico Samorani, che durante la campagna elettorale, per darsi un profilo moderato, teneva a distinguersi dalla Lega, nella quale ora pienamente si identifica. Come lui stesso ha raccontato ai giornali, è stato durante quella campagna elettorale che si è instaurato un rapporto con Montevecchi, consigliere uscente eletto con Fratelli d’Italia. Da una parte dunque un cavaliere senza macchia e senza paura (e anche senza truppe), dall’altra, strateghi bisognosi di una carta vincente da giocare sullo scacchiere politico riminese.
L’idea geniale, risultata vincente, è stata quella di cucire addosso al ‘cavaliere’ una tunica da moderato, poco importa se palesemente contraddittoria con il background del candidato (per rendersene conto bastava scorrerne il profilo Facebook). È stata imbastita una riuscita operazione di riposizionamento politico, che a Montevecchi serviva ad avere voti aggiuntivi a quelli prodotti dalle campagne social e che ai suoi mentori serviva a dimostrare di avere alle spalle truppe scelte indispensabili soprattutto per future battaglie. L’operazione è andata a buon fine perché è riuscita ad attecchire in quella parte di elettorato storicamente indisponibile ad un voto diverso da quello per il centrodestra e che, nel disorientamento generale, era alla ricerca di un voto che corrispondesse al proprio radicato sentiment anti sinistra, pur non sbavando per la Lega. Per tutti costoro, ecco servita la nuova ricetta: Montevecchi, il moderato. E il candidato si è attenuto alle consegne ricevute.
Ravaglioli, in una intervista al Corriere Romagna, propone un ragionamento il cui obiettivo è dimostrare che le diecimila preferenze andate nel 2010 a Marco Lombardi (Forza Italia) sono le stesse ottenute insieme, su diversi fronti, da Montevecchi e da Nicola Marcello. A chi si debba ascriverne il merito è ben sintetizzato nella foto opportunity confezionata in campagna elettorale e riproposta con insistenza dopo il voto: Montevecchi, giovane virgulto politico, in mezzo a due professionisti di moderatismo come Samorani e Ravaglioli.
L’obiettivo immediato, tattico, era l’elezione di Montevecchi, ma l’obiettivo strategico guarda certamente alle elezioni di Rimini 2021. Se non piace il nome Opa, la si chiami con un altro nome, ma è evidente dalle dichiarazioni di Samorani al Carlino («Una Lega che sia capace di rappresentare il mondo cattolico e interpretarne i bisogni e le istanze»), e di Ravaglioli al Corriere Romagna, che ora, una volta eletto Montevecchi, si vuole passare all’incasso - almeno in termini di peso politico - in vista delle comunali del prossimo anno. Ma questo è un film non solo tutto da vedere ma ancora tutto da girare.
L’incognita da verificare è una sola. La Lega, sotto la guida di Salvini, è passata dal 4 al 32 per cento alzando continuamente i toni, esasperando le tensioni, mostrando un’anima tutt’altro che moderata. Lo stesso Salvini, rispondendo a chi lo ha criticato sulle regionali per citofonate e dintorni, ha risposto che rifarebbe tutto tale e quale. È quasi banale affermare che le elezioni del 2021 il centrodestra le può vincere solo conquistando i moderati. Non si può però evitare di ricordare che fino ad oggi, in previsione di quella scadenza, le dichiarazioni dei dirigenti leghisti sono sempre state di tutt’altro segno. Davvero si può pensare che i Pecci, i Zoccarato, i Galli, i Morrone siano pronti a farsi da parte per lasciare ricondurre il leghismo nostrano a una rinnovata versione della Dc o di Forza Italia? Nel caso, Rimini diventerebbe un clamoroso laboratorio politico.
Marcello replica agli strateghi che hanno invitato a non votare per lui
Anche i moderati a volte sbottano. Ed anche una persona posata e tranquilla come Nicola Marcello, candidato nelle lista di Forza Italia alle regionali, non ha potuto non reagire alle dichiarazioni di Alessandro Ravaglioli, ex berlusconiano ora passato sotto le insegne della Lega. In una intervista al Corriere Romagna si è proposto come grande stratega dei moderati riminesi, fatti convergere su Montevecchi. A leggere l'intervista sembra che anche il successo di Marcello in Forza Italia sia frutto di questa strategia.
"Stamane - scrive Marcello sul proprio profilo Facebook - aprendo i giornali scopro di avere “degli amici “ strateghi di politica che esaltavano il mio risultato in città ma che tuttavia per mesi hanno predicato anche ad amici miei, se non familiari addirittura, che il voto dato a me era sprecato, inutile e che il seggio di Rimini veniva sempre dopo Modena ! Senza nulla togliere ai modenesi, in particolare al mio collega fraterno Andrea Galli, il responso delle urne ha fatto diventare Rimini il secondo collegio ed in caso di vittoria del centro destra, anche con il risultato deludente del partito il seggio scattava per Rimini".
W a riprova Marcello pubblica i quozienti elettorali di Forza Italia dove risulta che Rimini arriva dopo Bologna e prima di Modena.
Dossier segreto sui crimini degli Alleati: i fatti di Rimini e Riccione
È noto che il beato Alberto Marvelli sia morto a causa di un camion militare alleato che lo ha travolto mentre correva in bicicletta alla vigilia di una competizione elettorale. È altrettanto conosciuto il fatto che i conducenti degli automezzi anglo-americani avessero un concetto tutto loro delle norme di circolazione stradale. Ora sappiamo che non era solo un problema riminese quello che costò la vita al promettente giovane politico cattolico. La conferma viene dal dossier segreto scoperto all’Archivio di Stato da Emiliano Ciotti, un vigile del fuoco di Latina con la passione degli studi storici. Il dossier contiene diverse relazioni inviate a Roma da organi di polizia locali relative ai crimini commessi dalle truppe alleate in Italia, specialmente negli anni 1943-1944, con strascichi fino al 1946. I crimini sono violenze sui civili, stupri, furti, omicidi ed anche un gran numero di incidenti stradali che, si desume da un rapporto, fino al 1947 hanno provocato 3.047 morti. Gli incidenti sono «da imputarsi per la maggior parte al dispregio per le norme di disciplina stradale manifestato dai conduttori». Erano liberatori ma si sono comportati anche da bulli violenti e a volte da feroci assassini, mietendo vittime fra l’inerme popolazione civile.
Alcune pagine del dossier, pubblicate dal Corriere della Sera, riguardano la zona di Rimini. Si tratta di tre fogli dattiloscritti datati 4 ottobre 1944 aventi per oggetto “comportamento truppe alleate”, sui quali il funzionario ministeriale che li ha ricevuti ha apporto il timbro SEGRETO.
Di cosa si tratta? L’incipit lo spiega: “Fonti attendibili comunicano le seguenti notizie sul comportamento delle truppe canadesi e greche , appartenenti alla 8a armata nella zona da Jesi a Cattolica, durante le recenti azioni di sfondamento della linea gotica”. Tralasciando le azioni compiute nelle Marche, vediamo cosa è successo dalla nostre parti. “Le popolazioni già vessate dai tedeschi e che attendevano con ansia le truppe liberatrici, rimasero terrorizzate”.
Si racconta che a San Lorenzo di Riccione “venne ucciso un colono per pura brutalità e venne incendiata la sua cascina”. La relazione informa che il sindaco di Riccione e il marchese Antinori, capaci di parlare l’inglese, si sono adoperati per mettere un freno ai violenti comportamenti dei militari alleati.
Un altro episodio. Nei pressi del castello di Gradara una ragazza è stata brutalmente violentata da sei canadesi ubriachi. La relazione parla anche del prelievo delle bandiere dal castello definite “preziosi cimeli malatestiani”.
La relazione afferma inoltre che Rimini, completamente distrutta dai bombardamenti, fu saccheggiata dalle truppe greche e che lo stesso trattamento ricevettero le case contadine del forese. Si parla di episodi specifici: la casa delle suore di Miramare devastata e saccheggiata, con la superiora costretta a rifugiarsi a Riccione.
A San Lorenzo in Correggiano è stato depredato anche l’orfanotrofio gestito dalle suore.
Le truppe canadesi prestarono attenzione anche a Villa des Vergers, che la relazione definisce “la proprietà del sig. Ruspoli di Poggio Suasa”. La Villa era stata infatti acquistata fra il 1936 e il 1937 dal principe Mario Ruspoli e fu occupata dai tedeschi dopo l’8 settembre del 1943. La relazione spiega che i canadesi portarono via mobili, argenteria, porcellane, quadri, statue, libri, oggetti personali. La relazione afferma che molti di questi oggetti erano stati nascosti dai proprietari, ma la ricerca da parte dei militari era stata minuziosa. Prova ne sarebbero i colpi di piccone riscontrati in alcuni vani. Il principe Ruspoli aveva presentato denuncia ed erano in corso indagini. Depredate anche le case dei contadini, contro i quali i militari si accanirono pure in un altro modo: “Alcuni sono stati derubati dai loro denari con la scusa di controllare i documenti che avevano nel portafogli”.
Conclusione della relazione: “Si ritiene necessario un intervento presso le autorità alleate competenti perché questi fatti non abbiano a ripetersi”. E vi si aggiunge anche una motivazione politica: “Le popolazioni delle zone che vengono man mano liberate possono anche rimpiangere il regime fascista e la dominazione tedesca. Tale comportamento da parte delle truppe alleate può suscitare (specialmente ora in cui ci si avvicina al Nord) nei centri abitati in cui vi sono grandi masse di operai, delle pericolosissime rappresaglie”. In sintesi: attenti a non suscitare nostalgie fasciste e a non provocare reazioni comuniste.
La Romagna, il mare, le amicizie. Alla vigilia di Sanremo Fadi si racconta
Thomas O. Fadimiluyi in arte Fadi è pronto ad esordire fra le Nuove Proposte sul palco del Teatro Ariston al 70° Festival di Sanremo. Fadi è figlio padre nigeriano di etnia Yoruba e di mamma riccionese. Nel suo profilo Facebook così è descritta la sua formazione: “Nella tratta casa - scuola e nell’autoradio del padre suonano le canzoni di Marley, Ray Charles, Fela Kuti. In quella della madre i grandi cantautori italiani: Battisti, Dalla. Due mondi che in lui trovano una sintesi perfetta: come mettere insieme Michael Kiwanuka, Celentano e Chuck Berry, una miscela potenzialmente pericolosissima che in FADI si traduce semplicemente in una questione di attitudine soul. Arriva l’adolescenza, il grunge, i Fugazi, i Pearl Jam, gli Afterhours, il gusto per la chitarra elettrica, l’indie romagnolo e le sonorità dei Cosmetic, il nuovo cantautorato e Brunori Sas, le discoteche sulla riviera, i motori: una passione ereditaria per l’assemblaggio e lo sporcarsi le mani da un lato e dall’altro una riflessione sul concetto della velocità, sulla sua potenza e i suoi limiti”.
Gli strappiamo un quarto d’ora al telefono nei giorni affannati che precedono il debutto a Sanremo.
Fadi, un po’ di ansia o sei tranquillo?
“Beh, un po’ di ansia si fa sentire. Comunque sto bene, anche se un po’ acciaccato dalle cose da fare. Ho anche fatto le prove con l’orchestra…”.
Cosa significa per te essere arrivato a Sanremo?
“Per me passare dal palco di Sanremo è un onore, è il palco più importante, da lì è passata la storia della musica, è una specie di istituzione. Salire su quel palco è una bella roba da raccontare quando sarò al bar con i miei amici”.
Ho letto che non lo vivi come una competizione. Possibile?
“Lo so che è una competizione, ma io sono contento di esserci arrivato. Sarei contentissimo di andare ancora avanti, ma sono uno che vuole godersi il viaggio. Suonare in quel posto non lo vede come una gara, le gare le concepisco in pista con i miei amici. Lì faccio anche le sportellate, in amicizia. A Sanremo la sfida non è contro altri, ma con me stesso. Tirare fuori al meglio l’emozione che la prima volta ha fatto scaturire il brano”.
A Sanremo Giovani si è visto che hai conquistato la giuria con la tua simpatia e il tipico tratto romagnolo. È questa la tua arma segreta?
“Non saprei. Non so fare altro che essere me stesso, con tutto il background che mi accompagna”.
Oggi è uscito il tuo primo disco. Hai detto che i temi sono la Romagna, l’orientarsi con il mare e il West Africa. Partiamo dalla Romagna.
“La Romagna sono un sacco di cose. Sono dei volti, il mare, le persone care. È la storia da cui provengo, è casa mia”.
Orientarsi con il mare. Che significa?
“Se sei un romagnolo anche tu, capisci che il mare è un punto di riferimento. Sono cresciuto nella pensione davanti al mare. Da un lato c’è sempre il mare. Quando da Riccione vai verso Rimini, ce l’hai sulla destra. Quando da Rimini vai a sud, ce l’hai sulla sinistra. Il mare è come le montagne, le vedi, sai che sono lì, e ti sai orientare”.
E il West Africa?
“Sono figlio di un Yoruba, quello che l’Occidente chiama Nigeria”.
Come vivi questo incrocio che c’è dentro di te?
“E’ un bell’impasto di tante cose, con cui convivo da trent’anni. Sono un punto di incontro di culture diverse”.
La copertina del disco è molto affollata. Oltre a te ci sono molte altre persone. Chi sono?
“C’è mia sorella, c’è mio babbo. C’è il liutaio, c’è un ragazzo ghanese che lavora come volontario nella Croce Rossa, c’è l’elettrauto, c’è un bagnino di Riccione”.
E li hai scelti per quale motivo?
“Perché sono i miei amici”.
A Sanremo riproponi ‘Due noi’. Cosa racconta?
“Racconta del mio periodo universitario a Bologna. Di rapporti che per me sono importanti. Parla di storie e amicizie che ho vissuto in quel periodo, che a vicenda ci porteremo dietro”.
Il titolo non è ‘Noi due’, ma ‘Due noi’, come dire che ognuno è un noi, che dentro di sé ha sempre anche gli altri?
“Esatto. Ognuno di noi è una persona che va a impattarsi con la realtà, incontra tante persone e queste se le porta dietro per sempre”.
Cosa è per te l’amicizia?
“L’amicizia è come la Romagna. È la casa”.
Il famoso carrozziere di Bologna che tu citi sempre ti ha detto qualcosa di importante. Cosa?
“Mi ha detto: Thomas, quando mi alzo la mattina non è scontato che io ci sia. Quando mi alzo, quando metto i piedi per terra, non lo do più per scontato. Anche il fatto di rialzarsi, il fatto che dopo una caduta ci si rialza, anche questo non è scontato”.
È uno sguardo religioso sulla vita. Sei religioso?
“Con tutto il connubio di culture che mi ritrovo, ho un profondo rispetto, e penso che questo sia la base per affrontare molte cose. Ho un forte rispetto per la realtà, per le cose che mi sono date. Sarà per il fatto che sono figlio di albergatori, che mio padre mi ha insegnato quello che mi ha insegnato, rispetto molto questo concetto: che le cose non sono le mie, sono mie ma non sono le mie”.
Come nasce una tua canzone?
“Qualsiasi fatto può essere l’incipit di una canzone. Una passeggiata, una chiacchierata con un amico, poi ti metti davanti allo strumento e quello che accade, accade. Magari viene fuori più bella di come te l’aspettavi o invece devi lavorare tantissimo sull’impulso che hai ricevuto”.
Hai interpretato Rimini nel CD di tributo a De Andrè.
“E’ stato un onore cantare De Andrè e soprattutto cantare Rimini. Mentre la cantavo pensavo a casa, chiudevo gli occhi e vedevo il mare”.
Nel disco c’è una canzone Fluido che ha come sottotitolo un’espressione dialettale Vola bel, vola bello. Di cosa parla?
“Mi sono trovato molte volte nella vita ad avere il volante fra le mani e decidere dove andare. Altre volte a sentirmi copilota, a non avere il volante, ma solo le indicazioni. Ho utilizzato il gergo tecnico del rally: fluido, scorre, apre, chiude. Termini usati nel rally per far capire al conducente il percorso. Mentre la scrivevo ero in una camera d’albergo che mettevo a posto una tapparella. Parlavo con un mio amico che corre con le moto, un mondo che sempre mi ha appassionato. “Io vorrei essere come te, scrivere le canzoni”. “Io vorrei essere come te e girare con la moto”. Ad un certo punto ho capito che ognuno si trova a dare il meglio con quello che gli viene dato. Siamo sette miliardi, ma ognuno è unico”.
Valerio Lessi
Cl si lega al Carroccio? "Erroneo e fuorviante. Dialogo con tutti"
Concessioni balneari, Bellaria in fuga ma resta l'incertezza
Gli occhi del mondo balneare italiano sono puntati a Roma dove domani è convocata la conferenza unificata (coi rappresentanti di Regioni, Province e Comuni) che fra i punti all’ordine del giorno ha anche la richiesta, fatta pervenire dalla Conferenza delle Regioni, di un chiaro orientamento del governo sulla legge 145, la finanziaria dello scorso anno che ha prolungato le concessioni balneari per quindici anni. Da tempo anche le associazioni degli imprenditori balneari chiedono che vanga emanata una circolare applicativa che tolga ogni dubbio su ciò che si può o non si può fare. Le concessioni sono attualmente prorogate dal 31 dicembre 2020 e quindi, senza l’applicazione della ulteriore proroga decisa dal governo gialloverde, dovrebbero andare a gara dal 1 gennaio 2021.
L’incertezza al momento è massima. Alcuni Comuni hanno avviato le procedure per il rinnovo delle concessioni sulla base di quanto stabilito dalla legge 145. Nella nostra provincia, dopo i casi di Misano e Riccione, l’ultimo in ordine di tempo è il comune di Bellaria Igea Marina, retto da una maggioranza di centrodestra con sindaco Filippo Giorgetti. Il dirigente del servizio territorio Michele Scaglioni ha pubblicato un avviso pubblico che invita gli operatori balneari a presentare istanza per il rinnovo della concessione. L’avviso è conseguenza diretta di una determina in cui il dirigente, dopo aver chiarito che gli operatori balneari per ottenere il rinnovo per altri quindici anni devono essere in regola con la legge (niente abusi edilizi, tasse pagate, ecc.), dà il via libera “salvo diverse indicazioni ministeriali” e con un curioso inciso “senza entrare nel merito degli aspetti di coerenza della norma in esame (cioè la legge 145, ndr) con l'ordinamento comunitario”.
Ma l’argomento sul quale il comune di Bellaria Igea Marina non vuole entrare nel merito è proprio quello che ha spinto molti Comuni a non emettere provvedimenti di proroga: temono cioè di compiere un atto contrario al diritto comunitario, che in questo caso ha il nome di direttiva Bolkestein.
A parte i dubbi e le riserve manifestate da esperti del settore e da alcune parti politiche, nel novembre scorso è intervenuto il Consiglio di Stato con una sentenza che ha dato una valutazione del tutto negativa della legge, pur non disapplicandola per motivi tecnici. Successivamente, il Ministero delle Infrastrutture, retto dalla dem Paola De Micheli, ha emanato una circolare alle autorità portuali invitandole a non applicare la norma. Successivamente, all’inizio di questo mese di gennaio, è arrivata una circolare della Procura di Genova che invitava tutti i soggetti interessati a non procedere con le proroghe e di mettere le spiagge a bando, secondo la direttiva Bolkestein. Segnali diversi ma convergenti che hanno indotto qualche comune a far ricorso al principio di autotutela revocando alcune proroghe già concesse.
Su tutta la vicenda pende inoltre la spada di Damocle di una probabile e imminente procedura di infrazione da parte dell’Unione europea. Gli operatori balneari e i Comuni sperano che dalla riunione di domani a Roma possa arrivare finalmente una parola di chiarezza.
Negli ultimi giorni sul tema delle concessioni balneari è intervenuto anche l’Osservatorio sui conti pubblici, diretto dal professor Carlo Cottarelli. “Uno studio della Camera dei Deputati sulle concessioni demaniali marittime in Croazia, Francia, Portogallo e Spagna – si legge - nota che la maggior parte delle concessioni nei paesi vicini sono gestite con più attenzione alla concorrenza di mercato di quanto avvenga in Italia. In particolare, in Grecia e Croazia le concessioni vengono sempre assegnate tramite bando di gara, per un minimo di 5 anni in Croazia, e con durata variabile in Grecia. Stessa cosa avviene in Portogallo, ma con qualche diritto di prelazione nei confronti dei titolari delle concessioni originarie. In Spagna, le gare pubbliche non sono obbligatorie, ma parrebbe essere pratica comune la concessione tramite bando di gara. In Francia, oltre concedere l’assegnazione tramite bando pubblico in regime di concorrenza, la durata massima che viene consentita è di 12 anni, senza nessuno tipo di deroga, esenzione o eccezione rispetto al disposto generale”.
L’Osservatorio inoltre lamenta di non essere riuscito a reperire i dati su quanto le concessioni demaniali marittime (circa 52mila e 500, di cui circa 27mila e 300 a uso “turistico ricreativo”) fruttano alle casse dello Stato. L’ultimo dato disponibile si riferisce al 2016: un gettito annuo di 103 milioni. “Se da parte dei gestori degli stabilimenti esistono legittime aspettative sulla durata delle concessioni e sul fatto che il costo delle stesse sia determinato su basi eque, - conclude l’Osservatorio - dall’altra parte c’è la necessità dello Stato e della collettività di valorizzare adeguatamente il demanio pubblico”.