Gli occhi del mondo balneare italiano sono puntati a Roma dove domani è convocata la conferenza unificata (coi rappresentanti di Regioni, Province e Comuni) che fra i punti all’ordine del giorno ha anche la richiesta, fatta pervenire dalla Conferenza delle Regioni, di un chiaro orientamento del governo sulla legge 145, la finanziaria dello scorso anno che ha prolungato le concessioni balneari per quindici anni. Da tempo anche le associazioni degli imprenditori balneari chiedono che vanga emanata una circolare applicativa che tolga ogni dubbio su ciò che si può o non si può fare. Le concessioni sono attualmente prorogate dal 31 dicembre 2020 e quindi, senza l’applicazione della ulteriore proroga decisa dal governo gialloverde, dovrebbero andare a gara dal 1 gennaio 2021.
L’incertezza al momento è massima. Alcuni Comuni hanno avviato le procedure per il rinnovo delle concessioni sulla base di quanto stabilito dalla legge 145. Nella nostra provincia, dopo i casi di Misano e Riccione, l’ultimo in ordine di tempo è il comune di Bellaria Igea Marina, retto da una maggioranza di centrodestra con sindaco Filippo Giorgetti. Il dirigente del servizio territorio Michele Scaglioni ha pubblicato un avviso pubblico che invita gli operatori balneari a presentare istanza per il rinnovo della concessione. L’avviso è conseguenza diretta di una determina in cui il dirigente, dopo aver chiarito che gli operatori balneari per ottenere il rinnovo per altri quindici anni devono essere in regola con la legge (niente abusi edilizi, tasse pagate, ecc.), dà il via libera “salvo diverse indicazioni ministeriali” e con un curioso inciso “senza entrare nel merito degli aspetti di coerenza della norma in esame (cioè la legge 145, ndr) con l'ordinamento comunitario”.
Ma l’argomento sul quale il comune di Bellaria Igea Marina non vuole entrare nel merito è proprio quello che ha spinto molti Comuni a non emettere provvedimenti di proroga: temono cioè di compiere un atto contrario al diritto comunitario, che in questo caso ha il nome di direttiva Bolkestein.
A parte i dubbi e le riserve manifestate da esperti del settore e da alcune parti politiche, nel novembre scorso è intervenuto il Consiglio di Stato con una sentenza che ha dato una valutazione del tutto negativa della legge, pur non disapplicandola per motivi tecnici. Successivamente, il Ministero delle Infrastrutture, retto dalla dem Paola De Micheli, ha emanato una circolare alle autorità portuali invitandole a non applicare la norma. Successivamente, all’inizio di questo mese di gennaio, è arrivata una circolare della Procura di Genova che invitava tutti i soggetti interessati a non procedere con le proroghe e di mettere le spiagge a bando, secondo la direttiva Bolkestein. Segnali diversi ma convergenti che hanno indotto qualche comune a far ricorso al principio di autotutela revocando alcune proroghe già concesse.
Su tutta la vicenda pende inoltre la spada di Damocle di una probabile e imminente procedura di infrazione da parte dell’Unione europea. Gli operatori balneari e i Comuni sperano che dalla riunione di domani a Roma possa arrivare finalmente una parola di chiarezza.
Negli ultimi giorni sul tema delle concessioni balneari è intervenuto anche l’Osservatorio sui conti pubblici, diretto dal professor Carlo Cottarelli. “Uno studio della Camera dei Deputati sulle concessioni demaniali marittime in Croazia, Francia, Portogallo e Spagna – si legge - nota che la maggior parte delle concessioni nei paesi vicini sono gestite con più attenzione alla concorrenza di mercato di quanto avvenga in Italia. In particolare, in Grecia e Croazia le concessioni vengono sempre assegnate tramite bando di gara, per un minimo di 5 anni in Croazia, e con durata variabile in Grecia. Stessa cosa avviene in Portogallo, ma con qualche diritto di prelazione nei confronti dei titolari delle concessioni originarie. In Spagna, le gare pubbliche non sono obbligatorie, ma parrebbe essere pratica comune la concessione tramite bando di gara. In Francia, oltre concedere l’assegnazione tramite bando pubblico in regime di concorrenza, la durata massima che viene consentita è di 12 anni, senza nessuno tipo di deroga, esenzione o eccezione rispetto al disposto generale”.
L’Osservatorio inoltre lamenta di non essere riuscito a reperire i dati su quanto le concessioni demaniali marittime (circa 52mila e 500, di cui circa 27mila e 300 a uso “turistico ricreativo”) fruttano alle casse dello Stato. L’ultimo dato disponibile si riferisce al 2016: un gettito annuo di 103 milioni. “Se da parte dei gestori degli stabilimenti esistono legittime aspettative sulla durata delle concessioni e sul fatto che il costo delle stesse sia determinato su basi eque, - conclude l’Osservatorio - dall’altra parte c’è la necessità dello Stato e della collettività di valorizzare adeguatamente il demanio pubblico”.