Thomas O. Fadimiluyi in arte Fadi è pronto ad esordire fra le Nuove Proposte sul palco del Teatro Ariston al 70° Festival di Sanremo. Fadi è figlio padre nigeriano di etnia Yoruba e di mamma riccionese. Nel suo profilo Facebook così è descritta la sua formazione: “Nella tratta casa - scuola e nell’autoradio del padre suonano le canzoni di Marley, Ray Charles, Fela Kuti. In quella della madre i grandi cantautori italiani: Battisti, Dalla. Due mondi che in lui trovano una sintesi perfetta: come mettere insieme Michael Kiwanuka, Celentano e Chuck Berry, una miscela potenzialmente pericolosissima che in FADI si traduce semplicemente in una questione di attitudine soul. Arriva l’adolescenza, il grunge, i Fugazi, i Pearl Jam, gli Afterhours, il gusto per la chitarra elettrica, l’indie romagnolo e le sonorità dei Cosmetic, il nuovo cantautorato e Brunori Sas, le discoteche sulla riviera, i motori: una passione ereditaria per l’assemblaggio e lo sporcarsi le mani da un lato e dall’altro una riflessione sul concetto della velocità, sulla sua potenza e i suoi limiti”.
Gli strappiamo un quarto d’ora al telefono nei giorni affannati che precedono il debutto a Sanremo.
Fadi, un po’ di ansia o sei tranquillo?
“Beh, un po’ di ansia si fa sentire. Comunque sto bene, anche se un po’ acciaccato dalle cose da fare. Ho anche fatto le prove con l’orchestra…”.
Cosa significa per te essere arrivato a Sanremo?
“Per me passare dal palco di Sanremo è un onore, è il palco più importante, da lì è passata la storia della musica, è una specie di istituzione. Salire su quel palco è una bella roba da raccontare quando sarò al bar con i miei amici”.
Ho letto che non lo vivi come una competizione. Possibile?
“Lo so che è una competizione, ma io sono contento di esserci arrivato. Sarei contentissimo di andare ancora avanti, ma sono uno che vuole godersi il viaggio. Suonare in quel posto non lo vede come una gara, le gare le concepisco in pista con i miei amici. Lì faccio anche le sportellate, in amicizia. A Sanremo la sfida non è contro altri, ma con me stesso. Tirare fuori al meglio l’emozione che la prima volta ha fatto scaturire il brano”.
A Sanremo Giovani si è visto che hai conquistato la giuria con la tua simpatia e il tipico tratto romagnolo. È questa la tua arma segreta?
“Non saprei. Non so fare altro che essere me stesso, con tutto il background che mi accompagna”.
Oggi è uscito il tuo primo disco. Hai detto che i temi sono la Romagna, l’orientarsi con il mare e il West Africa. Partiamo dalla Romagna.
“La Romagna sono un sacco di cose. Sono dei volti, il mare, le persone care. È la storia da cui provengo, è casa mia”.
Orientarsi con il mare. Che significa?
“Se sei un romagnolo anche tu, capisci che il mare è un punto di riferimento. Sono cresciuto nella pensione davanti al mare. Da un lato c’è sempre il mare. Quando da Riccione vai verso Rimini, ce l’hai sulla destra. Quando da Rimini vai a sud, ce l’hai sulla sinistra. Il mare è come le montagne, le vedi, sai che sono lì, e ti sai orientare”.
E il West Africa?
“Sono figlio di un Yoruba, quello che l’Occidente chiama Nigeria”.
Come vivi questo incrocio che c’è dentro di te?
“E’ un bell’impasto di tante cose, con cui convivo da trent’anni. Sono un punto di incontro di culture diverse”.
La copertina del disco è molto affollata. Oltre a te ci sono molte altre persone. Chi sono?
“C’è mia sorella, c’è mio babbo. C’è il liutaio, c’è un ragazzo ghanese che lavora come volontario nella Croce Rossa, c’è l’elettrauto, c’è un bagnino di Riccione”.
E li hai scelti per quale motivo?
“Perché sono i miei amici”.
A Sanremo riproponi ‘Due noi’. Cosa racconta?
“Racconta del mio periodo universitario a Bologna. Di rapporti che per me sono importanti. Parla di storie e amicizie che ho vissuto in quel periodo, che a vicenda ci porteremo dietro”.
Il titolo non è ‘Noi due’, ma ‘Due noi’, come dire che ognuno è un noi, che dentro di sé ha sempre anche gli altri?
“Esatto. Ognuno di noi è una persona che va a impattarsi con la realtà, incontra tante persone e queste se le porta dietro per sempre”.
Cosa è per te l’amicizia?
“L’amicizia è come la Romagna. È la casa”.
Il famoso carrozziere di Bologna che tu citi sempre ti ha detto qualcosa di importante. Cosa?
“Mi ha detto: Thomas, quando mi alzo la mattina non è scontato che io ci sia. Quando mi alzo, quando metto i piedi per terra, non lo do più per scontato. Anche il fatto di rialzarsi, il fatto che dopo una caduta ci si rialza, anche questo non è scontato”.
È uno sguardo religioso sulla vita. Sei religioso?
“Con tutto il connubio di culture che mi ritrovo, ho un profondo rispetto, e penso che questo sia la base per affrontare molte cose. Ho un forte rispetto per la realtà, per le cose che mi sono date. Sarà per il fatto che sono figlio di albergatori, che mio padre mi ha insegnato quello che mi ha insegnato, rispetto molto questo concetto: che le cose non sono le mie, sono mie ma non sono le mie”.
Come nasce una tua canzone?
“Qualsiasi fatto può essere l’incipit di una canzone. Una passeggiata, una chiacchierata con un amico, poi ti metti davanti allo strumento e quello che accade, accade. Magari viene fuori più bella di come te l’aspettavi o invece devi lavorare tantissimo sull’impulso che hai ricevuto”.
Hai interpretato Rimini nel CD di tributo a De Andrè.
“E’ stato un onore cantare De Andrè e soprattutto cantare Rimini. Mentre la cantavo pensavo a casa, chiudevo gli occhi e vedevo il mare”.
Nel disco c’è una canzone Fluido che ha come sottotitolo un’espressione dialettale Vola bel, vola bello. Di cosa parla?
“Mi sono trovato molte volte nella vita ad avere il volante fra le mani e decidere dove andare. Altre volte a sentirmi copilota, a non avere il volante, ma solo le indicazioni. Ho utilizzato il gergo tecnico del rally: fluido, scorre, apre, chiude. Termini usati nel rally per far capire al conducente il percorso. Mentre la scrivevo ero in una camera d’albergo che mettevo a posto una tapparella. Parlavo con un mio amico che corre con le moto, un mondo che sempre mi ha appassionato. “Io vorrei essere come te, scrivere le canzoni”. “Io vorrei essere come te e girare con la moto”. Ad un certo punto ho capito che ognuno si trova a dare il meglio con quello che gli viene dato. Siamo sette miliardi, ma ognuno è unico”.
Valerio Lessi