Un duro e realistico reportage scritto con il linguaggio proprio di un raffinato animo poetico. Non è un romanzo, non è nemmeno un saggio il libro di Maria Gabriella Bortot dedicato all’avventura sponsale dei suoi genitori. È piuttosto un reportage poetico, il racconto di chi ha visto e udito, una narrazione che sgorga decenni dopo dai vortici mai sopiti della memoria. Ha perfettamente ragione Rosita Copioli nel sostenere che spesso i racconti intrecciati con sapienza dalla Bortot assomigliano al miglior cinema realista degli anni Cinquanta; nello stesso tempo Copioli riconosce che “In ogni passo di questo libro denso, realistico e ispirato, fatto di molti strati pur nella sua unitarietà, c’è l’impronta della parola biblica, delle simbologie radicali che scandiscono la storia cristiana, rifacendone costantemente un evento cosmico dentro le più umili tracce quotidiane”.
In questo rimando reciproco di realismo e poetica biblica sta il cuore di Carbone e diamante. Una fede nuziale per due, fresco di stampa da Il Ponte. È la storia di Carlo e Ada, due emigrati italiani nel Belgio del dopoguerra che offriva una vita di miseria e abbruttente fatica nelle viscere della terra in cambio di un po' di carbone per la patria d'origine. Carlo e Ada non sono due nomi di fantasia, sono i genitori di Maria Gabriella Bortot, meglio conosciuta con “suor” davanti al nome. Dal 1970 appartiene alle Francescane Missionarie di Cristo (Rimini, S.Onofrio) delle quali è stata madre generale per due mandati. Suor Maria Gabriella coltivava da anni il desiderio di riportare sulla pagina scritta i ricordi che le affollavano l’anima. Non le interessava il reportage sociologico sull’epopea dei migranti italiani nelle miniere di carbone del Belgio. Le interessava piuttosto riportare in primo piano le vicende umane di Carlo e Ada. Lo ha chiarito nell’incontro di presentazione del libro, giorni fa nella Sala del Giudizio dei Musei comunali: “Il libro è un dono che ho voluto fare alla Chiesa e a tutta l’umanità. Volevo testimoniare cos’è una famiglia cristiana”.
Non si immagini che il libro segua pertanto un itinerario apologetico dove i fatti narrati sono immediatamente seguiti da una conseguente morale da inculcare; no, il libro conserva in ogni pagina il sapore del racconto poetico, fedele alla realtà dei fatti e fedele al Mistero che con questi fatti è indissolubilmente intrecciato. Non sarebbe un bravo cronista, e nemmeno un bravo romanziere, quello che censurasse una parte della realtà così come si presenta ai suoi occhi. E Bortot non censura niente, tutto tiene insieme, i fatti e il Mistero che li sostiene. Quella di Carlo e Ada non è una storia eccezionale - ci suggerisce – ma una storia grande sì, perché una storia vera, nel senso di autenticamente umana. L’ambiente è appunto quello del Belgio dell’immediato dopoguerra dove altri europei – italiani e polacchi soprattutto – sono andati a conquistare il pezzo di pane. La storia è di due giovani delle montagne bellunesi talmente poveri che quando si sono sposati solo per lei c’era la fede nuziale da mettere al dito.
“Dio lo aveva creato uomo e l’uomo lo aveva reso talpa”, scrive con stupenda efficacia Maria Gabriella di suo padre. Quel mondo scomparso della miniera con tutti i particolari ricordati con i nomi del dialetto locale, quelle storie di emigrazione e di integrazione nel paese ospitante (la lunga teoria dei nomi di Baldovino e Fabiola imparata a memoria “perché loro ci hanno accolto nella loro terra”), quel sudore umano così capace di costruire futuro ben oltre l’abbruttimento momentaneo; queste e molte altre immagini ci restituisce la brillante scrittura di Maria Gabriella.
Il suo è un racconto a lieto fine, quale non si è più abituati a leggere: il carbone, nero e sporco, diventa diamante luminoso e brillante. Così accade nella natura. E accade anche in questa storia. Come osserva monsignor Francesco Lambiasi nella Prefazione, siamo di fronte ad un inno alla tenerezza. Non è sbagliato pensare che solo la tenerezza di Dio può trasformare il carbone in diamante.