Sul tema del referendum costituzionale del 4 dicembre è legittimo per chiunque avere opinioni diverse, per il sì o per il no. Quanto detto è una tautologia, ma si rende necessaria perché in taluni settori dell’opinione pubblica, specialmente in campo cattolico, vengono sollevati argomenti che portano a sostenere che la fedeltà a determinati principi e valori implichi un sicuro “no” al quesito referendario.
Ci soffermiamo soprattutto su due argomenti. C’è chi sostiene che la riforma Renzi-Boschi rappresenti una negazione del principio di sussidiarietà così caro alla dottrina sociale cattolica. È un’affermazione di principio che però non viene documentata indicando in quale articolo della legge si metterebbero a rischio i valori della persona, della famiglia e della sussidiarietà.
Chi ha compiuto lo sforzo di informarsi sull’oggetto del referendum, e non si limita agli slogan ripetuti nei dibattiti televisivi, sa che la riforma introduce cambiamenti nella seconda parte della Costituzione, quella relativa all’organizzazione dello Stato, mentre lascia intatta tutta la prima parte, dedicata ai valori e principi fondamentali. Resta pertanto in vigore anche l’articolo 2 che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». Qui è affermato il principio di sussidiarietà che non viene toccato. Una insignificante modifica è introdotta nell’articolo 118 che recita «Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà». La modifica si riduce a togliere le Province che sono state abolite dalla stessa legge di riforma. Eppure si sostiene che la legge ha cancellato il principio di sussidiarietà. Se con questi giudizi ci si riferisce al fatto che vengono eliminate le materie concorrenti fra Stato e Regioni e la riforma stabilisce quali sono le materie di competenza esclusiva dell’una e dell’altra articolazione dello Stato, siamo di fronte ad una delle modifiche che anche un sostenitore del no, come il professor Casavola, intervenendo al Meeting nell’agosto scorso, ha definito come uno degli aspetti positivi perché meglio garantisce i diritti di uguaglianza dei cittadini.
Eppure un giurista colto e preparato come Alfredo Mantovano, pure lui intervenuto nei mesi scorsi a Rimini, sostiene, trovando molti seguaci, che la riforma va bocciata perché favorisce il “processo di disintermediazione”, cioè riduce il ruolo dei corpi intermedi. Quale sia la norma che provochi tale disastro non è dato sapere, però è diventato un luogo comune (e si sa quanto sia difficile liberarsi dai luoghi comuni) che la riforma costituzionale faccia strame della sussidiarietà e dei corpi intermedi. Gli unici fatti che il giurista Mantovano ha citato nel corso del suo intervento a Rimini sono alcune prassi di governo attuate dal premier Renzi. Queste prassi sono ovviamente criticabili ma non c’entrano nulla con il quesito referendario sulla riforma che nulla dice e modifica a proposito di questo argomento.
L’altro argomento che viene messo in campo, anche in questo caso nell’ambito del mondo cattolico, è che chi pensa di votare “sì” al referendum è in qualche modo succube del potere e della mentalità dominante, che qualcuno, con qualche triplo salto mortale dialettico, definisce addirittura come gramsciana e comunista. In questo caso il pensiero, che si pretende intelligente e arguto, denuncia una totale incomprensione della realtà. Continuare a leggere la situazione sociale e culturale di oggi con categorie che ormai appartengono solo ai libri di storia non aiuta a capire il presente. Se c’è una mentalità dominante oggi non è forse quella, in vario modo espressa, dell’antipolitica e del populismo che, infischiandosene apertamente di una discussione sulla riforma, afferma apertamente che l’unica vera ragione per dire “no” è la possibilità concreta di mandare a casa Renzi? Vengono in mente le elezioni politiche del 1976 quando il Psi condusse una feroce campagna contro la Dc di cui era alleato, con il risultato di incrementare come non mai i voti del Pci, che dell’opposizione allo Scudo Crociato faceva la sua ragion d’essere. Sì disse allora che il Psi aveva scosso l’albero e che il Pci aveva raccolto i frutti. Esiste il concreto rischio che il 4 dicembre tutti coloro che oggi entusiasticamente si esprimono per il “no” facciano da battistrada per una ravvicinata affermazione del populismo grillino o salviniano. Ma si fa fatica a pensare come un’Italia grillina o salviniana (sul resto del centrodestra stendiamo un velo pietoso) possa meglio esprimere i valori della persona, della famiglia e della sussidiarietà.
Il dibattito, fuori o dentro il mondo cattolico, dovrebbe essere liberato di pre-giudizi. O si sta sul merito della riforma (ma ormai sembra non interessare più nessuno) o si può votare pro o contro Renzi purché lo si dica apertamente, senza usare argomenti che puzzano di strumentale lontano un miglio.