Si può discutere di referendum costituzionale senza un clima da giudizio universale, nel rispetto reciproco, e soprattutto con la consapevolezza che dal 5 dicembre in poi ci sarà comunque un nuovo lavoro da fare per cerca di tenere insieme questa Italia sbrindellata? Sì, si può, e la prova la si è avuta ieri sera in sala Manzoni a Rimini nel corso dell’incontro organizzato dal Portico del Vasaio. Certamente tutto reso più facile dalla presenza di un “non renziano per il sì”, come Luciano Violante, presidente emerito della Camera dei deputati, e del senatore Mario Mauro che ad un certo punto si è scherzosamente dichiarato un “violantiano per il no”. Non è che non siano mancati i colpi bassi o i luoghi comuni della propaganda, ma sono stati limitati e non hanno avuto il sopravvento sulla volontà di dialogo.
Origine e sviluppo di una riforma
È stato l’antipasto della serata. Violante fa un rapido volo sulla storia recente dell’Italia per dire che dopo il rapimento e assassinio di Moro il sistema dei partiti non tiene più. E subito dopo si comincia a parlare di riforme. In primo piano l’esigenza di stabilità che i costituenti, divisi fra loro dalla cortina di ferro, avevano tenuto fuori dalle regole per affidarla alla ricerca di equilibrio fra i partiti. Giudizio implicito: c’è bisogno oggi di introdurre in Costituzione regole che garantiscano la stabilità. Mauro invece sottolinea che questa riforma nasce e si sviluppa in modo sbagliato perché non è nata da un accordo di tutte le forze politiche come sarebbe necessario quando si devono scrivere le regole comuni. Lancia quindi l’idea di un’assemblea costituente. Violante gli risponde che non c’è un caso nella storia in cui convivano un parlamento e una costituente, il parlamento dovrebbe farsi da parte per far posto ad altri. Difficile. Quanto alla mancanza di un accordo ampio: nelle prime tre votazioni la riforma ha avuto anche il consenso del centrodestra. Dopo che è stato ritirato non ci si poteva fermare, altrimenti si consegnava il diritto di decidere ad una minoranza.
Italicum, deriva autoritaria e altre pillole
Arrivando al primo piatto, il moderatore Samuele De Sio vuole sapere quale equilibrio sia stato raggiunto nella riforma fra stabilità di governo ed esigenza di rappresentanza di tutti. Fa finalmente capolino il “combinato disposto”, cioè gli effetti perversi di riforma e legge elettorale insieme. Mauro parte all’attacco sostenendo che non c’è alcun equilibrio e subito punta il dito contro l’Italicum (la legge elettorale voluta da Renzi) che ha il difetto di far diventare ampia maggioranza quella che nel voto dei cittadini è una minoranza. Il parlamento in mano ad una forza politica avrebbe poi carta bianca per eleggere a suo piacimento il presidente della Repubblica, ci sarebbe insomma il rischio di uno strapotere del presidente del Consiglio. La governabilità non si decide per legge ma si costruisce con un accordo virtuoso fra le forze politiche.
Violante fa il becchino dell’Italicum e auspica pure lui che venga sostituito. Non ci sta invece sulla deriva autoritaria. Ed elenca uno dopo l’altra le novità che danno più potere ai cittadini: iniziative di legge popolare sui cui il parlamento ha l’obbligo di esprimersi, introduzione del referendum propositivo, abbassamento del quorum nel referendum abrogativo, statuto delle opposizioni, limiti all’uso dei decreti legge da parte del governo. È il fronte del no che, opponendosi a queste novità, limita i diritti dei cittadini.
Titolo V, e il valzer fra Stato e Regioni
E così siamo ad uno dei piatti forti del dibattito. Violante sostiene che la riforma del 2001 (quella che adesso viene cambiata) andava fatta perché era chiesta dai presidenti delle Regioni eletti direttamente dal popolo. Va al punto controverso e generatore di conflitti, e cioè le materie su cui Stato e Regione hanno potestà legislativa concorrente. Dice che il punto si risolve solo tenendo presente l’interesse dei cittadini, e fa l’esempio del sud con meno malati di tumore e più morti del nord dove i malati sono più numerosi. C’è insomma l’esigenza di diritti uguali per tutti. Sottolinea che la riforma concede più potere alle Regioni che hanno il pareggio di bilancio. Per Mauro l‘opposizione alla riforma del Titolo V è la madre di tutte le battaglie. Bisognerebbe calcolare quanto ci costa il trasferimento di alcune competenze dalle Regioni allo Stato. Si rischia di vanificare quanto fino ad oggi è stato costruito. Alla Corte Costituzionale sono in calo i casi di conflitto sulle materie concorrenti. Viene colpita la sussidiarietà, cioè il fatto che c’è qualcosa che viene prima dello Stato. Critica il modo con cui sarà composto il nuovo Senato e la contraddittorietà della permanenza di un organismo come la Conferenza Stato Regioni.
Cosa succede il 5 dicembre?
Come dessert finale, viene proposta una riflessione sulle ragioni comuni del vivere insieme e su come pertanto vada affrontato il risultato del referendum, sia che vinca il sì, sia che vinca il no. Mauro auspica che non si avveri quando detto da Agostino di fronte ai Vandali che saccheggiavano il suo paese: “Lo Stato è la banda che ha vinto”. Dice che occorre andare al fondo della propria umanità per trovare il modo di fare un percorso comune e che qualcosa cambi. Violante osserva che se vince il sì ci sarà da attuare la riforma, se vince il no ci sarà una situazione complicata da gestire. In ogni caso si apre una fase nuova che dovrà vedere il dialogo fra soggetti diversi. Se nasce un sentire comune fra la gente, anche le forze politiche dovranno prenderne atto.