È certamente un approccio inedito ai rapporti fra islam e cristianesimo quello che ha introdotto Mohammad Sammak, segretario del comitato per il dialogo islamo-cristiano in Libano. Parlando al Meeting a proposito di “un dialogo da riguadagnare”, ha scelto non di esporre il suo punto di vista, ma di rifarsi ai contenuti del Corano, di raccontare come il testo sacro della rivelazione islamico parla di Gesù, di Maria, della chiesa, dei cristiani. Il risultato è certamente sorprendente. Gesù è considerato uno spirito di Dio, autore di miracoli che nessun profeta e neppure Maometto ha realizzato. Maria, sua madre, è citata 43 volte ed è definita la donna preferita di tutti i tempi. La chiesa è chiamata casa di Dio, i rapporti fra cristiani e musulmani sono visti su un piano di parità. Un mondo bellissimo: ma il film che abbiamo sotto gli occhi oggi è diverso. Anche Sammak ne è consapevole e non si nasconde dietro a un dito. C’è un fraintendimento dell’islam da parte alcuni, una falsa interpretazione della religione da parte degli estremisti e dei terroristi. Chi si macchia di questi crimini contraddice l’insegnamento dell’islam. Vi posso assicurare che il mondo musulmano si è reso conto del pericolo rappresentato da questi estremisti resoconto e che islam e cristianesimo convivono da sempre in Medio Oriente e continueranno a farlo nonostante i terroristi perché il nostro futuro è insieme”. Nella conferenza stampa aveva poi anche precisato che parlare di uno Stato islamico non è conforme agli insegnamenti del Corano.
Purtroppo la formula degli incontri del Meeting non permette di approfondire le questioni, altrimenti sarebbe stato interessante potergli chiedere, se l’islam è ciò che dice lui e non quello dei terroristi, chi può essere chiamato a dirimere la questione, a stabilire una volta per tutte quali prassi è conforme agli insegnamenti del profeta e quale no. Purtroppo nella comunità islamica non esiste un’autorità ultima che possa dire una parola definitiva.
In ogni caso sono certamenti fatti positivi queste esperienze di dialogo, come quella realizzata ieri al Meeting, questo provare ad ascoltarsi e a conoscersi senza pregiudizi, secondo l’invito di papa Francesco.
Il superamento dell’ignoranza reciproca costituisce l’inizio di un rapporto che può avere fecondo sviluppi, ha sostenuto il rabbino David Rosen, tornato al Meeting a vent’anni di distanza dalla sua ultima partecipazione. Rosen, da tempo impegnato in diversi organismi a livello internazionale per promuovere il dialogo fra ebrei e cristiani, ha osservato: «Dobbiamo andare oltre stereotipi e pregiudizi che ognuno di noi ha nei confronti dell’altro. Dio ci ha fatti ognuno diverso dagli altri, e se noi siamo fatti a sua somiglianza dobbiamo cogliere il mistero che abita ogni persona. Nessuno ha il privilegio o l’esclusiva della salvezza o verità assoluta. Ciò non significa in nessun modo rinunciare alla propria fede. Solo scoprire che anche nelle altre fedi ci sono bontà e bellezza».
Per sottolineare la necessità e la fecondità del dialogo, il nunzio Silvano Maria Tomasi ha fatto riferimento alle sue esperienze di ambasciatore della Santa Sede nel Corno d’Africa e a Ginevra. Riferendosi all’esperienza in Eiopia, ha raccontato che “di fronte a conflitti tribali, etnici e interreligiosi, si sono riunite chiesa ortodossa, cattolica e islam, e siamo riusciti a ridurre scontri e violenza, con la conoscenza reciproca e un’azione comune che spiegava come la violenza creasse solo altro odio e rancore”. Monsignor Tomasi ha quindi sottolineato l’importante cammino compiuto dalla Chiesa negli ultimi 60anni: da Paolo Vi che con la Ecclesiam Suam ha scritto una sorta di piccolo trattato del dialogo, fino alla recezione del Concilio Vaticano II con la Gaudium et Spes, e il magistero di Francesco espresso nella Evangelii Gaudium. Ha anche avvertito che «per l’efficacia di un dialogo religioso autentico i leader culturali, religiosi, politici, sia islamici che di altre tradizioni religiose, devono essere chiari e senza ambiguità nel dare interpretazioni corrette, in modo da non giustificare alcun silenzio nei confronti del terrorismo».