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Spina e Renzi, all'attacco di Gnassi armati di retorica

Venerdì, 27 Ottobre 2017

Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini, recita una “pasquinata” romana a proposito dei danni che fece all’urbe la dinastia dei Barberini. Siamo a Rimini, XXI secolo, e un consigliere comunale dall’antico nome romano, Rufo, si lancia in una veemente catilinaria contro il sindaco Andrea Gnassi, colpevole di aver osato e potuto “laddove nemmeno gli imperatori romani e i papa re si erano avventurati”. E cioè nel più grave dei delitti che si possa commettere sotto il sole: lo stupro di monumenti. Di fronte a tanta sapienza oratoria, dai banchi della maggioranza si leva un ironico applauso. A Roma dileggiavano il potere con le “pasquinate”, a Rimini non siamo da meno con le “spinate”.

Carlo Rufo Spina, capogruppo di Forza Italia, ha appena trentacinque primavere alle spalle, ma la foga oratoria di un avvocato ottocentesco, di quelli che sapevano coniugare l’eloquio forbito con la battuta ad effetto, lasciando senza possibilità di replica i loro interlocutori. Memorabile resta il commento al tuono che si abbatte mentre in consiglio lui sta parlando contro le micro aree per i nomadi. “Anche il cielo esprime la sua indignazione!”. A Carlo Rufo Spina mancano solo il pizzetto e i baffi arricciati all’insù, e lo potresti considerare come l’epigono di un vecchio senatore del Regno d’Italia.

I consiglieri di maggioranza votano contro tutte le sue proposte, in realtà sono segretamente ammirati, e forse anche un po’ invidiosi. L’avessero un oratore del genere fra i compagni, non si dovrebbero affidare alle repliche un po’ dimesse dei loro consiglieri che, per carità, dicono anche cose sensate, ma con lo stile di chi sta ordinando un etto di mortadella al salumiere. E i poveri consiglieri della Lega, prima di farfugliare qualche concetto, non possono esimersi dall’inchinarsi al genio che li sovrasta (sta infatti nel banco più in alto) e riconoscere umilmente che loro non hanno la preparazione culturale di Rufo.

Forse era proprio l’argomento, “lo stupro del Ponte di Tiberio” (traduciamo: i lavori per l’installazione dell’ormai famosa passerella), a riscaldare gli animi e a suggerire di fare ricorso alla più collaudata retorica. Se il giovane Spina tromboneggia con l’immagine di Gnassi che osa e può più di papi e imperatori, il veterano Renzi si lancia in una filippica contro i comunisti che in settant’anni di amministrazione della città, dalla distruzione del Kursaal in poi, hanno sempre fatto scempio della cultura e dei beni monumentali. Non resta sul piano amministrativo, si lancia sull’ideologico, sostenendo che è il progressismo della sinistra che geneticamente mal si accorda con la tutela della memoria storica della città. E se oggi i comunisti non ci sono più, se la prende con gli eredi, affibbiandogli l’etichetta di transgender della politica.

Tra la retorica del Terzo Millennio (Spina) e quella Quarantottesca valida per tutte le stagioni (Renzi), il malcapitato cittadino si aspetta che da sinistra venga resa pan per focaccia. E invece l’assessore Jamil Sadegholvaad legge solo un compitino preparato dagli uffici in cui si sostiene che i lavori sono sotto il controllo costante della Soprintendenza, e se la Soprintendenza non ha nulla da eccepire, vogliono forse eccepire Renzi e Spina? Sissignori, Renzi eccepisce e sostiene che se i beni culturali in Italia sono allo sfascio la colpa è delle Soprintendenze compiacenti. Il cerchio è chiuso, e i consiglieri vanno a casa.

 


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