Dopo il fallimento della quotazione in Borsa, gli amministratori di IEG (cioè il presidente Lorenzo Cagnoni e l’amministratore delegato Ugo Ravanelli) dovevano presentare le dimissioni agli azionisti. Normalmente nelle società per azioni si fa così, a meno che qualcuno non si comporti da padrone senza esserlo. Ed è perlomeno curioso che gli azionisti (cioè il Comune di Rimini e gli altri soci pubblici) abbiano accettato tutto questo senza battere ciglio.
Solo verso la fine della lunga audizione nella seconda commissione consigliere del Comune di Rimini, l’ex vice presidente di IEG Matteo Marzotto lancia questo acuto polemico. Nelle prime tre ore di noiosa dissertazione non aveva fatto altro che ribadire, aggiungendo qualche considerazione di contorno, le tesi già espresse nell’intervista concessa a Il Giornale di Vicenza prima di Natale. Un acuto che è arrivato, forse non a caso, dopo che il rappresentante dei soci pubblici, cioè l’assessore Gian Luca Brasini, aveva abbandonato l’aula. Marzotto, dopo aver attaccato Cagnoni e compagnia, ha anche assunto i toni del professorino spiegando che al vertice di una società importante come IEG non si può mettere come amministratore delegato una persona solo perché risiede a Santarcangelo. Per dirigere IEG bisogna conoscere almeno due lingue, coltivare solidi rapporti internazionali, non si può avere una visione localistica, non bisogna avere più di sessant’anni, perché è il momento di dare spazio ai giovani quarantenni. Grande soddisfazione per l’acuto finale nei banchi della minoranza, fino a quel momento un po’ delusi dal fatto che Marzotto non avesse fornito argomenti nuovi da spendere contro Cagnoni e contro Gnassi che lo sostiene.
Nella ricostruzione di Marzotto la storia recente della società fieristica ha uno spartiacque ben preciso: prima e dopo il 6 aprile 2018. In quella data, il socio riminese provocò le dimissioni anticipate del consiglio d’amministrazione, motivandole con la necessità di arrivare alla quotazione in Borsa con una Cda coi pieni poteri, senza scadenze in arrivo. Del nuovo consiglio faceva parte anche Marzotto, ma fu licenziato il direttore Corrado Facco e fu nominato amministratore delegato Ugo Ravanelli. Da quel momento – lo ha ribadito ancora una volta – a lui non fu più concesso di toccare palla.
Ma quali erano i motivi di contrasto con Cagnoni nella gestione di IEG?, hanno incalzato i consiglieri di minoranza. Marzotto ha riconosciuto – come aveva sostenuto Cagnoni nell’audizione del 12 dicembre – che in effetti scontri in consiglio non ci sono mai stati (anche perché lui sa stare al mondo) e che l’unico contrasto registrato è stato quello sull’affidamento dell’organo di vigilanza al presidente del consiglio sindacale. Ha riconosciuto anche che nel piano degli investimenti non c’era stata alcuna penalizzazione di Vicenza rispetto a Rimini. Andando ai fatti, il grave torto di Cagnoni è stato quello di aver informato Marzotto delle dimissioni del consiglio solo mezz’ora prima che ciò accadesse. Se la situazione in IEG era diventata così insostenibile dopo il ribaltone del 6 aprile, perché Marzotto ha aspettato fino a dicembre per rassegnare le dimissioni? Una domanda non espressa dai consiglieri della commissione, ma che Marzotto ha avvertito nell’aria, tanto che a un certo punto ha detto che se un errore lui ha compiuto è stato quello di non essersi dimesso il 7 aprile.
Sulla questione più delicata, la mancata quotazione in Borsa, ha sostenuto che quando lui deteneva la delega, cioè da settembre 2017 al 6 aprile, era tutto pronto per far sbarcare IEG in Piazza Affari. Ci sono state più di una, due, tre, quattro finestre per arrivare alla quotazione in un momento in cui il mercato era più favorevole. “Mi sfuggono i motivi per cui non sia stata fatta”, ha commentato più di una volta. Se non lo sa lui che deteneva la delega…
Un altro punto su cui ha insistito è stato l’affossamento da parte di Cagnoni e Ravanelli del rapporto sul personale stilato da un gruppo multinazionale, rapporto particolarmente severo con alcuni storici dirigenti riminesi di IEG. Colpevole di tutto questo l’amministratore delegato Ravanelli che tre giorni dopo la nomina si è presentato in consiglio dicendo che di quel rapporto non si faceva niente e che sarebbe stato rivisto anche il business plan. Quanto invece agli aspetti più controversi del famoso articolo de La Stampa dell’11 novembre (parentopoli, appalti, ecc.) ha detto di non avere elementi o particolari in merito.
In sostanza, l’audizione di Matteo Marzotto non ha aggiunto particolari sostanziali rispetto a quanto già si sapeva e a quanto lui aveva già dichiarato alla stampa. L’unica novità è stato il pesante attacco a Ugo Ravanelli.