Ecco una notizia inaspettata, assolutamente non corrispondente alla percezione diffusa e alla maggioranza delle opinioni. Negli ultimi dieci anni, cioè dal 2008 al 2018, il numero degli esercizi commerciali (negozi e licenze ambulanti) nel centro storico di Rimini è rimasto invariato: 794 erano nel 2008, 794 sono oggi. Non lo dice l’amministrazione comunale per replicare agi attacchi dell’opposizione. Lo dice una ricerca compiuta dalla Confcommercio nazionale, basandosi sui dati delle Camere di Commercio e comprendente le 120 maggiori città italiane. Tanto che lo stesso direttore della Confcommercio di Rimini, Andrea Castiglioni, riconosce che “Il centro storico mostra una capacità di tenuta maggiore rispetto al tessuto commerciale che si colloca al suo esterno, soprattutto su alcuni settori merceologico”, pur aggiungendo subito che tuttavia “il quadro che emerge per la città è tutt’altro che confortante”.
Sappiamo cosa abbiano significato gli ultimi dieci anni per il commercio: la crisi che ha coinvolto l’economia mondiale si è tradotta a casa nostra ad un calo dei consumi pro capite del 3,4 per cento. Sono calati i consumi ma nel centro storico il numero degli esercizi è rimasto invariato. È evidente che queste statistiche sono come quelle del turismo, nulla ci dicono dei fatturati delle aziende commerciali e nulla ci rivelano sulla qualità degli esercizi.
Se si guarda nel dettaglio si vede: gli alimentari scendono da 87 a 81, le farmacia salgono da 11 a 14, informatica e telefonia passano da 8 a 13, prodotti per uso domesticonscendono da 50 a 40, altri prodotti in esercizi specializzati (cioè abbigliamento, pelletterie, cosmesi, calzature, ottica, ecc.) calano da 388 a 362, balza da 89 a 121 il commercio ambulante.
La ricerca prende in esame anche alberghi, bar e ristoranti. Gli alberghi sono passati da 338 a 318, evidentemente vecchie strutture uscite dal mercato, mentre bar e ristoranti sono cresciuti da 330 a 339.
Guardando il totale delle attività, Rimini registra un -2,3% con una performance peggiore rispetto alla media dell’Italia (-2,1%) e alla media delle 120 città di medio-grande dimensione (-1,8%). Tra le cause il mancato effetto traino delle attività turistiche - servizi di alloggio e pubblici esercizi - che per i 120 Comuni vale mediamente un +18% e per l'Italia in generale un +15,1%. Nel nostro Comune, invece, il calo delle strutture ricettive, 64 tra alberghi, bed and breakfast e residence stempera il deciso incremento di pubblici esercizi (+ 52 unità) determinando per Rimini una leggera contrazione del comparto turismo (-0,6% complessivo).
Con riferimento a tutti gli esercizi di commercio al dettaglio, alberghi, bar e ristoranti di tutto il territorio comunale, nel periodo 2008-2018 Rimini mostra un saldo negativo di 98 attività (da 4.234 a 4.136), in larga parte generato da una crisi del commercio al dettaglio, settore in cui si osserva un decremento di 86 attività commerciali. Gli esercizi specializzati di articoli quali abbigliamento, calzature ed articoli in pelle, cosmetici, profumerie, gioiellerie, negozi di ottica e fioristi registrano da soli la scomparsa di 83 esercizi. In calo anche negozi di tessuti, ferramenta, forniture elettriche, librerie, negozi di giocattoli e giornalai (-64 attività complessive).
In controtendenza, invece, gli esercizi di vendita di apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni, le farmacie (comprendendo esercizi di vendita di medicinali senza prescrizione medica) e il dettaglio alimentare (frutta e verdura, macellerie, panifici, pescherie) che vedono un incremento complessivo di 34 unità.
“Questi dati – commenta Gianmaria Zanzini, vice presidente regionale di Federmoda - dimostrano che a Rimini, come nel resto d’Italia e come ormai diciamo da anni, non siano più rimandabili interventi in grado di fermare un declino che per alcuni settori merceologici sembra inarrestabile. La GDO da un lato e il commercio elettronico dall'altro stanno stritolando il piccolo commercio, servono politiche per la sopravvivenza di quelle attività che contribuiscono in modo determinante alla vitalità e alla vivacità di una città, al suo appeal, alla sua capacità di attrazione dei flussi turistici”.
“Un altro punto mi preme sottolineare. – conclude Zanzini - Questi numeri e queste percentuali, fondamentali per comprendere i fenomeni di cui stiamo parlando, non possono tuttavia trasferire concetti quali identità, qualità, gusto, bellezza, cultura, innovazione. Temi centrali nel concetto stesso di rigenerazione urbana e che devono guidare un sano processo di rinascita dei centri storici e delle città, che altrimenti finirebbero per diventare ognuna una copia - più o meno bella - dell’altra, perdendo quei tratti qualificanti che le rendono uniche e attrattive”.