E alla fine è stata trovata la foglia di fico per coprire la “manovra iniqua” (definizione del consigliere Pd Juri Magrini) con l’aumento dell’addizionale Irpef. I gruppi di maggioranza presenteranno un emendamento che rialza la soglia di esenzione da 10 a 15 mila euro per rendere “la manovra ancora più attenta alle esigenze delle fasce sociali più deboli”. Il saldo però deve rimanere invariato, ragione per cui saranno ulteriormente aumentate le aliquote di chi paga. I gruppi di maggioranza lo chiamano pudicamente “una riconfigurazione tecnica dell’allineamento dell’addizionale”, ma il senso è quello prima indicato. L’aumento a 15 mila euro della soglia di esenzione è stato caldeggiato anche da alcuni consiglieri di opposizione, come Gennaro Mauro. Tuttavia nessuno ha provato a fare i conti con una verità sottolineata anche dall’assessore Gian Luca Brasini: se è vero che esiste a Rimini un forte gap fra Pil e dichiarazioni dei redditi, con le soglie di esenzione non si rischia di favorire anche chi evade? Il tema resta sospeso in aria, ma risulta centrale per una politica di reale equità fiscale.
Comunque, la prima e quinta commissione hanno dato il via libera (sì della maggioranza, non dell’opposizione) al rincaro delle addizionali Irpef dopo quattro ore di intenso dibattito.
Riassumiamo seguendo alcuni temi. Il primo è ovviamente quello del bando periferie, il principale argomento speso dall’amministrazione. Con la nuova convenzione regna la più totale incertezza perché i progetti di 96 Comuni, fra cui Rimini, saranno finanziati solo con le economie risultanti dagli altri 24. Inoltre è stato tolto l’anticipo pari al 20 per cento (3,7 milioni, ora finanziati con l’Irpef). L’amministrazione ritiene che il progetto di Rimini Nord sia una priorità ed ha pertanto costruito questa manovra basata sull’inasprimento fiscale. Tesi sostenuta, oltre che da Brasini, dai consiglieri di maggioranza Bertozzi, Corazzi, Muratori. Tesi respinta al mittente di consiglieri di opposizione, secondo i quali, poi vedremo come, si poteva agire con leve diverse. È rimasta senza risposta certa una domanda: se dallo Stato arriveranno poi i finanziamenti ora incerti, l’amministrazione è pronta a fare marcia indietro? Neanche per sogno, secondo Corazzi; si può discutere, secondo Magrini: Brasini sul punto ha taciuto. C’è poi una incongruenza che dovrà essere chiarita. Nella relazione alla variazione di bilancio, il dirigente Dellavalle scrive che dopo i 3,7 milioni messi al bilancio dal Comune, ci saranno i 14,3 di finanziamento statale. Ma non dovevano essere 18 i milioni messi dallo Stato? E come si procederà se dallo Stato non arriveranno nemmeno i 14,3 milioni? Si farà un mutuo, ha detto il consigliere Muratori di Patto Civico. Ma lo ha detto solo lui.
Secondo punto: il bilancio presenta o non presenta criticità sulla parte corrente? Mario Erbetta (Rinascita Civica) ritiene di sì e lo ha ripetuto con forza in commissione. E la prova, a suo giudizio, sta nei numerosi inasprimenti fiscali compiuti nel giro di un anno: Tari, imposta di soggiorno, passi carrai ed ora addizionale Irpef. Il Comune è inoltre inefficiente sul fronte della lotta all’evasione fiscale: dei 3,5 milioni mancanti alla Tari nel 2013, finora ne sono stati recuperati solo 500 mila.
Terza questione: c’erano strade alternative? Con un intervento ben documentato, Carlo Rufo Spina (Forza Italia) ha sostenuto che con una oculata spending rewiew si potrebbero recuperare nove milioni di euro. Fra le proposte, quella di acquistare all’asta la “nuova ex questura” di via Roma e trasferirvi tutti gli uffici comunali, risparmiando sugli affitti. Se non si vuole agire sulla spesa, si può incrementare l’imposta di soggiorno. A Rimini i turisti sono 53,3 per ogni abitante, e da ogni turista si ricava in media un euro di imposta di soggiorno. Altre città hanno un’incidenza minore del turismo e ricavano molto di più, almeno il triplo. Una proposta alternativa è arrivata anche da Gioenzo Renzi (Fratelli d’Italia), secondo il quale il Comune potrebbe vendere le azioni Hera non vincolate ricavandone circa 4,6 milioni. Brasini lo ha contestato dicendo che il ricavo sarebbe di 2,5 milioni, Renzi ha osservato che l’assessore non è aggiornato.
Il dibattito è stato molto vivace, con inevitabili concessioni alla demagogia e qualche scivolone, come quelli di Pecci (Lega) secondo il quale i dirigenti comunali sono tutti fannulloni. Nicola Marcello di Forza Italia si è immediatamente dissociato.
Fra molti interventi che hanno seguito un copione già scritto, fuori dal coro quello di Juri Magrini (Pd). Ha sostenuto che le difficoltà agli enti locali derivano dalle scelte dei recenti governi di centrosinistra “che ci sono costate la sconfitta del 4 marzo 2018”. Ed ha messo il dito nella piaga: “Non siamo in grado di sostenere la spesa per i contenitori culturali, fra cui il Teatro Galli. Questo è il grande tema da affrontare”. Pur giudicando la manovra iniqua, alla fine ha votato sì come tutta la maggioranza. È auspicabile che non cada nel vuoto la sua osservazione sul tema dei contenitori culturali.