“Ma…. che bello era quando si faceva politica?!?”, ha commentato sul proprio profilo Facebook il sindaco di Riccione Renata Tosi nel giorno, il 21 settembre scorso, in cui si era scatenata la bagarre a proposito dell’indagine a suo carico per abuso di ufficio, provocata da un esposto della minoranza.
La notizia dell’indagine a carico della Tosi è arrivata all’indomani dell’iniziativa dell’ex assessore di Rimini, Roberto Biagini, che ha diffuso parte dei documenti di quella che riguarda invece Tecnopolo - Acqua Arena, da lui provocata con un esposto alla Procura risalente a quattro anni fa.
Ha ragione il sindaco Tosi: le reazioni a queste due notizie di cronaca giudiziaria hanno messo in ombra la politica che, forse complice la perdurante bella stagione, è andata a farsi un giro in spiaggia. Stringi, stringi, le reazioni possono essere ricondotte ad uno degli slogan di successo imperanti sui social. Da destra: “E allora il Pd?”. Da sinistra: “E allora la Lega?”.
Non vogliamo qui entrare nel merito dei due episodi, né stilare una sorta di classifica sulla gravità dei fatti contestati a Rimini e a Riccione. Al di là del peso specifico di ogni episodio, sono seri e gravi, come ha riconosciuto il sindaco Gnassi, i fatti emersi dall’indagine in corso sul sistema degli appalti per Tecnopolo-Acqua Arena; così come sarebbe serio e grave che un sindaco approvasse una delibera per non pagare una sanzione amministrativa.
Qui interessa invece rilevare come le reazioni dei politici locali abbiamo obbedito al più classico dei copioni, lo stesso che quasi sempre vediamo rappresentato anche a livello nazionale, ovvero il garantismo a fasi alterne: duri e inflessibili, come ci fossero sentenze già passate in giudicato, quando nei guai con la giustizia finiscono gli avversari; assolutamente garantisti, con la denuncia di presunti complotti politico-giudiziari, quando a doversi difendere è uno della propria parte. Addirittura c’è stato chi, pur appartenendo a un partito che a livello nazionale sostiene che in Italia ci sono 60 milioni di cittadini presunti innocenti e non presunti colpevoli, ha rispolverato la vecchia teoria, che si sperava defunta, del “non poteva non sapere”.
Ha ragione il sindaco Tosi: in tutto questo la politica è andata a farsi un giro. Una ragione, certamente, è che dalla scena pubblica sono scomparsi i partiti, si è quasi completamente dissolto il ruolo da loro storicamente assolto. Un ruolo che era descritto dal fatto di avere delle idee, un progetto di città; che a partire da queste idee si ascoltassero i bisogni dei cittadini e si formulassero proposte; che se si era all’opposizione si lavorasse sodo per diventare classe di governo e, pertanto, già nel fare opposizione si desse testimonianza di possedere una mentalità e una competenza di governo e si costruissero le necessarie relazioni (con i singoli, con le associazioni, con i gruppi di interesse, ecc.) per conseguire l’obiettivo.
Al posto dei partiti sono rimasti i singoli interpreti che prima di tutto sentono il bisogno di conquistare visibilità nel circo mediatico, soprattutto in quella versione, oggi particolarmente ambita, rappresentata dai social; che hanno bisogno di ricordare ai loro elettori che ancora esistono, che avvertono la necessità di sgomitare e di farsi notare per conquistare una candidatura di prestigio (a volte anche solo una qualunque) oppure l’urgenza di presidiare lo spazio pubblico per posizionarsi in vista di avanzamenti di carriera. Così è, e forse non vale neppure la pena stracciarsi le vesti. Per come sono evolute le cose, i partiti, così come li avevamo conosciuti e apprezzati, forse non torneranno più.
Se da una parte, però, è legittima e anzi necessaria l’ambizione personale, proprio la politica cui ci si appella ci ricorda che la sola ambizione non basta e gli elementi che la rendevano ‘interessante’ sono tanti e diversi. Ma oggi forse il più necessario è quello di uscire dall’urgenza di ‘successo’ immediato (tipica appunto dei social), da quella frenesia che costringe a cavalcare le occasioni, qualunque esse siano ma giudiziarie è sempre meglio, per ingrandire la propria bolla di consenso.
È invece affermare, dimostrare, perseguire un orizzonte del proprio fare, della propria azione politica e del fare insieme, ciò che oggi farebbe la differenza. Perché nel tempo delle montagne russe del successo, quello di un orizzonte comune intravisto sarebbe anche un buon criterio per i lettori dei giornali (e dei social) di oggi e per gli elettori di domani per giudicare i protagonisti della politica.
Insomma, per dirla con papa Francesco, “Il tempo è superiore allo spazio”, ovvero sono preferibili politici che innescano processi di lunga durata e di reale cambiamento rispetto a quelli che sono alla ricerca del consenso immediato.