“I giovani ci stanno provocando, il loro disagio riguarda noi adulti”, osserva don Claudio Parma, da una vita insegnante di religione nelle scuole superiori, guida dell’esperienza di Gioventù studentesca. “I giovani – insiste - sono una domanda per me, sulle certezze su cui poggia la mia esistenza, su cosa mi permette di essere uomo fino in fondo”.
Ma come vivono oggi i giovani? Il vescovo nel suo messaggio alle autorità per San Gaudenzo ha osservato che oggi assistiamo ad una fatica di essere giovani…
“I giovani sono avviliti, si sentono come un problema da risolvere, si sentono sbagliati. E questo li mortifica. A mio parere, il loro disagio va guardato come una risorsa. È vero, vivono in un limite enorme, ma può diventare un punto da cui ripartire. Hanno bisogno di incontrare adulti che dicano loro che la fatica e l’angoscia della vita costituiscono una domanda forte da valorizzare. Hanno bisogno di incontrare qualcuno che dica loro che quella domanda non è da buttare via, che loro non sono sbagliati.
Oggi i giovani ti rifiutano anche se dai loro delle dritte giuste, dei suggerimenti puntuali, utili. E ti rifiutano pure se li inviti ad essere liberi di decidere. Vivono il rifiuto sia della libertà con una proposta sia della libertà senza paletti. Si sentono soli”.
Un educatore come può incrociarli?
“Bisogna stare vicino ai giovani, diventare dei compagni di cammino. Giovani e adulti hanno lo stesso cuore, e i ragazzi chiedono la presenza di adulti impegnati con la propria umanità che condividono con loro un’esperienza. Bisogna coinvolgerli i giovani in un’esperienza, cioè aiutarli a giudicare la realtà”.
Quando vede i giovani riprendere speranza?
“ Quando riesci a fargli capire che le loro debolezze e le loro angosce sono il modo con cui il Mistero va loro incontro. Ciò che loro getterebbero via, ciò che fa schifo, è in realtà la strada con cui il Mistero li va a prendere. E allora capiscono che non sono mai stati abbandonati. I giovani si rianimano quando incontrano persone che li aiutano a guardarsi in un modo di cui loro non sono capaci. Persone che guardino con simpatia alla loro umanità e povertà. Non per dire loro che sono bravi, ma che li aiutano a capire che quella povertà che sperimentano è l’occasione per riprendere in mano la loro vita”.
Monsignor Lambiasi ha osservato che i giovani non hanno bisogno di adulti con atteggiamento giovanilistico.
“È vero. Se un adulto si pone di fronte a loro in modo giovanilista o vitalista, è la prima persona che respingono. Non cercano un adulto che gli assomigli ma che sia felice, che testimoni un gusto per la vita. Che sappia guardare con simpatia alle loro ferite”.
Spesso si dice che oggi, per la prima volta, i giovani non hanno l’aspettativa di una vita migliore rispetto ai loro padri. E questo genera paura del futuro…
“Hanno paura del futuro perché hanno incertezza nel presente. Manca loro un’esperienza nel presente, qualcosa che li porti a entrare dentro se stessi. Le paure dipendono dalla fragilità del presente. Se vivi un significato nel presente, sei capace di affrontare il futuro, pur con tutte le oggettive difficoltà e contraddizioni che presenta”.
I giovani come possono tornare ad essere protagonisti nella storia?
“Oggi certi ideali non mobilitano più. I giovani esprimono una posizione fiacca. La passione per un ideale è sostituita da una certa tecnologia in cui sono immersi, che può diventare anche una forma di estraniazione dalla realtà. La tecnologia promette emozioni senza fare fatica, e oggi giovani sono riluttanti di fronte alla fatica”.
Quindi il vuoto dei giovani si esprime nella cultura digitale?
“Il mondo digitale non va demonizzato, può essere utile e divertente. È una forma che non capisco, perché appartengo ad un’altra generazione. Ma se un ragazzo passa le ore a fare un certo gioco sullo smartphone significa che manifesta un desiderio e pensa di aver trovato la risposta in quel gioco.
Un professore aveva visto un ragazzo con le cuffie nelle orecchie. Cosa stai facendo? Sto ascoltando musica. Fammi ascoltare. Ma è bellissima, per me è come una preghiera. E il ragazzo: allora è da tre ore che sto pregando! Quindi di per sé non vanno demonizzate certe forme, i ragazzi vanno piuttosto aiutati a trovare un senso in ciò che fanno”.
Il disagio attuale dei giovani è uguale o diverso rispetto al disagio che anche nel passato si sperimentava?
“Lo psicoanalista Galimberti dice anni fa le persone avevano problemi emotivi, sentimentali, sessuali. Ora riguardano il vuoto di senso. Un tempo avevo un problema, oggi ho il vuoto, questa è la fondamentale differenza”.
Ma i giovani sono tutti uguali, tutti segnati dal vuoto di senso?
“Non tutto è generalizzabile. I ragazzi che hanno incontrato educatori validi riescono a stare in piedi. Vivono in luoghi dove fanno esperienza di un significato. Però sono pochi. Quella educativa oggi è la vera emergenza. La famiglia è distrutta, per cui è fondamentale che ci siano scuole con una precisa impostazione educativa. Una scuola dove gli insegnanti, come diceva Pasolini, ti educhino con il loro stesso essere. Una scuola così può essere di aiuto anche alla famiglia”.