I sammarinesi sono arrivati più tardi, rispetto all’Italia, a voler sperimentare il “nuovismo” in politica e sono anche quelli che se ne sono liberati al più presto. Potrebbe essere questa la lettura sintetica delle elezioni politiche celebrate domenica sul Titano dopo che si è sfasciata la coalizione di governo risultata vincitrice nel 2016. Il Pdcs, ovvero la Dc di San Marino che solo tre anni fa era data morente con il 24 per cento del voti, è il partito vincitore con il 33,3 dei consensi. I sammarinesi, dopo aver sperimentato per tre anni i politici “nuovi” (i populisti, li chiameremmo in Italia), hanno deciso di tornare all’’usato sicuro’ ed hanno consegnato al Pdcs una posizione di assoluta centralità con la quale tutte le altre forze politiche dovranno necessariamente fare i conti. I democristiani avevano fiutato un vento a loro favorevole, ma loro stessi sono stati sorpresi dal consistente recupero di voti. La coalizione di governo (Repubblica Futura, Civico 10 e Ssd) si era presentata al voto divisa ed è uscita con le ossa rotte.
Dopo il Pdcs, si è classificata al secondo posto con il 24,69 per cento dei voti la coalizione Domani in movimento, formata da Rete (18,28) e da Domani Motus Liberi (6,09), una nuova lista promossa da giovani del mondo cattolico e di area democristiana. Rete, insieme al Pdcs, ha condiviso le battaglie di opposizione al governo uscente. La dialettica parlamentare l’ha portata a smussare le posizioni estremiste avute in campagna elettorale e a trovare concreti punti di convergenza con i democristiani. Per Rete il risultato elettorale rappresenta una delusione perché i suoi dirigenti, dando per scontato il declino democristiano, pensavano di conquistare il primo posto. Una delusione che potrebbe avere qualche conseguenza nella sua fase che si apre ora, ovvero le trattative per la formazione del nuovo governo. La legge mette il boccino in mano al Pdcs, in quanto formazione politica arrivata prima. La stessa legge chiede che si formi un governo che abbia una base parlamentare di almeno 35 seggi su 60. Il Pdcs da solo ne ha conquistati 21, Rete e Motus Liberi insieme sono a quota 15. Quindi basterebbe unire queste forze (36 seggi) per formare un nuovo governo. Ma il Pdcs punterà ad una maggioranza parlamentare ancora più ampia, coinvolgendo nel governo anche Noi per la Repubblica (la coalizione che potremmo paragonare al Pd italiano) che ha ottenuto 8 seggi. I democristiani vogliono una maggioranza ampia perché nella nuova legislatura bisognerà intervenire su alcune questioni importanti che richiedono il voto di almeno due terzi del Consiglio Grande e Generale. Meglio partire subito con una maggioranza solida e coesa che avventurarsi poi in estenuanti trattative per far passare i provvedimenti.
Non appena il segretario Pdcs Giancarlo Venturini inizierà gli incontri e le trattative, cercherà di capire se Rete sarà disponibile a convergere subito con il Pdcs o se i malumori per la delusione elettorale non spingano a giocare la seconda carta. La nuova legge elettorale del Titano, abbandonato il ballottaggio che nel 2016 vide sconfitta la coalizione a guida Pdcs, prevede infatti che se il primo partito/coalizione fallisce, debba esperire un tentativo il secondo, cioè la coalizione Domani in Movimento formata da Rete e Motus Liberi. Ma in casa democristiana pensano che sarebbe un azzardo poco comprensibile, ed anche con effetti contrari. Il Pdcs in campagna elettorale aveva dichiarato che avrebbe aperto le trattative con tutte le forze politiche, tranne che con Repubblica Futura, che ha ottenuto il 10,19 per cento. Insomma se Rete dovesse fare le bizze, ci sono altri forni, per stare a metafore italiane, che potrebbero aprirsi, compreso quello di Libera, la lista dove sono confluite due forze del governo uscente, Civico 10 e Ssd (16,40 e 10 seggi).
C’è infine un’ultima possibilità se non si dovesse formare un governo: andare ad un ballottaggio fra Pdcs e Rete, cioè fra due potenziai alleati, con tutti gli altri partiti a decidere dove far pendere la bilancia. Una prospettiva poco raccomandabile.