Più che salvare un ipotetico “soldato Ryan”, qui c’è da salvare addirittura un intero esercito di elettori del centrodestra. Se si sta ai risultati delle regionali del 2020 sono addirittura la maggioranza, il 47,79 contro il 44,81 del centrosinistra. Approfondendo quel risultato di un anno e mezzo fa, si ha subito un indizio di quello che è il problema del centrodestra riminese. La candidata a presidente della Regione scende, rispetto ai voti di lista, al 45,53, mentre Stefano Bonaccini nell’altro campo vola al 48,75. Ciò significa che a destra c’è un problema di classe dirigente, che si riverbera su candidature che non riescono ad attrarre nemmeno tutto il voto di appartenenza e il voto di opinione. Evidente a livello regionale, evidentissimo a Rimini.
Il popolo riminese orientato al centrodestra chiede, il 5 agosto, chi sarà il suo candidato nelle elezioni del 3 e 4 ottobre. Sgomento, si sente rispondere che ancora non c’è. Ecco perché ci sarebbe davvero bisogno di lanciare un appello pubblico per salvare gli elettori di centrodestra di Rimini dall’inadeguatezza e dall’insensatezza dei loro capi politici. Non li chiamiamo leader perché sarebbe sprecare una parola a cui dovrebbe corrispondere esperienza, competenza ed empatia con la base. Più prosaicamente, sono coloro che occupano le caselle, che detengono questo o quel simbolo sulla piazza di Rimini. Anzi, in certi casi a detenere la bandierina è un deputato di Forlì. Ma sarebbe ingiusto prendersela esclusivamente con loro, ormai da settimane la decisione su Rimini è stata delegata al cosiddetto “tavolo nazionale”. Ma evidentemente Salvini, Meloni, Tajani, Lupi hanno numerose gatte da pelare (in ballo c’è la guida nazionale del centrodestra e quindi del prossimo governo) e Rimini non è una priorità. A questo punto c’è da sperare che, siccome tutti i nomi citati sono attesi a Rimini per il dibattito al Meeting, almeno in quell’occasione si presentino con il candidato da offrire al popolo in sfibrante attesa. Del resto, a quel punto, per la presentazione delle liste ci sarebbero addirittura dieci giorni…
Mettendo in fila queste amare considerazioni, non ci vogliamo associare alle solite contumelie che tanto spazio hanno sui social secondo cui ancora una volta il centrodestra avrebbe deciso di perdere e quindi tutte le manfrine sul candidato sono state pianificate per raggiungere questo obiettivo. È insomma la solita teoria del complotto che emerge quando non si vuole fare la fatica di un’analisi compiuta e aderente alla realtà. Magari ci fosse qualcuno che ha pianificato la disfatta del centrodestra: tutti, elettori ed osservatori, ce ne faremmo una ragione.
Per capire l’oggi, invece, bisogna un attimo volgere lo sguardo al passato. Basta arrivare al 2016, all’inizio del mandato amministrativo che si sta concludendo. Come esordì l’opposizione di centrodestra formata da Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e sovranisti vari? Inseguendo un gruppo di genitori che si opponeva alla decisione dell’amministrazione di affidare ai privati la gestione di alcuni asili comunali. Assecondando la protesta, schierandosi aprioristicamente contro la giunta, credendo in questo modo di acquisire nuovi consensi, non si sono neppure accorti che in questo modo contraddicevano quelle che dovrebbero essere le loro radici culturali (sussidiarietà, liberalismo, ecc.).
Tutta l’opposizione di questi cinque anni è stata fedele a quell’esordio. Sono state inseguite le proteste spontanee, senza valutare nel merito le questioni, ritenendo che tale linea avrebbe pagato sul piano elettorale. Qualsiasi proposta dell’amministrazione è stata giudicata negativamente, a prescindere, come avrebbe detto Totò. Un’opposizione urlata e pasticciona (ad di là dell’eccezione di qualche raro consigliere) che non ha lasciato trasparire alcuna cultura di governo alternativa al centrosinistra. A dispetto della percezione diffusa in città, con cui sarebbe stato doveroso fare i conti, il sindaco Gnassi è rimasto un pericoloso comunista colluso con settant’anni di strapotere di Falce e Martello. La definizione di Vittorio Sgarbi, sabato scorso all’inaugurazione della sede di Davide Frisoni (“Gnassi? Un sindaco con idee di destra”) è apparsa lontana mille miglia dalla pratica politica dei suoi sodali locali.
Gli esiti fallimentari di tale linea politica sono sotto gli occhi di tutti: in cinque anni non è cresciuta una classe dirigente credibile, capace di proporsi come alternativa alla gestione del centrosinistra. Tale classe dirigente sarebbe stata il naturale punto di partenza per l’individuazione di un candidato, civico o politico che fosse. Invece, vista l’assenza di tale classe dirigente, ci si è affidati al commissario di Forlì che per sei mesi ha inseguito la chimera del candidato civico, senza mai aver chiarito quali caratteristiche dovesse avere: si è avuta l’impressione che ci si sia limitati a scorrere l’elenco dei presidenti delle associazioni di categoria e degli ordini professionali. Fallito quel tentativo, su suggerimento proveniente da Riccione, è stata estratta dal cilindro la candidatura dell’ex sindaco di Bellaria, presentato come civico. L’effetto è stato un incartamento ancora più ingarbugliato dal quale nessuno ha idea di come e quando si potrà uscire.
Fra quelli che abbiano definito genericamente elettori di centrodestra, oltre chi vota per appartenenza e opinione, ci sono persone, gruppi, comunità, imprenditori che sono alla ricerca di un partner politico, di qualcuno cioè che si affianchi, nelle istituzioni, al loro tentativo quotidiano di costruire imprese, di educare i figli, di fare cultura, di dare il proprio contributo ad una società più libera e più umana. Il disgustoso teatrino sulle candidature andato in onda sulla scena riminese è innanzitutto un’offesa a chi guarda al centrodestra come a questo potenziale partner politico.