La giustizia riparativa “crea qualcosa di bello, di nuovo, come un’opera d’arte”, spiega Caterina Pongiluppi, responsabile servizio Mediazione Cooperativa Sociale L’Ovile di Reggio Emilia. Un’opera d’arte come il Grande Cretto che Alberto Burri ha plasmato sulle macerie di Gibellina, sul grande dolore per l’immensa tragedia del terremoto del Belice. "Costruire sul dolore. Non coprirlo. Un nuovo nasce da un passato. Non annullato o dimenticato. Anche perché, banalmente, non sarebbe possibile", sottolinea Pongiluppi, moderatrice dell'incontro “Vita e giustizia: sentieri di riparazione”, a metà febbraio nella cornice del cinema Tiberio di Rimini, con le testimonianze di Agnese Moro e Franco Bonisoli. Agnese è figlia di Aldo Moro, Franco protagonista della lotta armata degli anni Settanta, partecipò al sequestro dello statista. Quella di Agnese e Franco è una storia più unica che rara che in un mondo ideale sarebbe l’unica via possibile. In questo mondo è comunque una di quelle praticabili, con successo.
"L’opera costruisce su una ferita, o è essa stessa una ferita. Non pretende di nascondere la sofferenza. La accoglie così com’è. E’ ciò che accade nella giustizia ripartiva: l’accoglienza reciproca dell’altro, vittima e carnefice, nella sua essenza ferita". L’immagine del Grande Cretto ha accompagnato le testimonianze di Agnese e Franco.
Franco ha aderito alla lotta armata in un periodo in cui c’era “l’idea di una Resistenza non compiuta”, il “timore di un ritorno del fascismo, tra tentativi di colpi di stato, bombe sui treni, le bombe a piazza Fontana”. In quel clima, “c’era una parte consistente di persone che pensava di trasformare la società non attraverso forme democratiche, ma attraverso una rivoluzione”, l’uso della violenza quindi era ritenuto “possibile per affermare le proprie idee. Purtroppo ho partecipato attivamente”. L’addestramento lo inizia a 23 anni. In carcere arriva dopo quattro anni dall’adesione alle Br. Quattro ergastoli, 105 anni di pene, 40 anni di carcere. Poi una nuova vita fuori. Ma essere a posto con lo Stato non gli basta e cerca l'incontro con Agnese.
Franco Bonisoli: "Non si costruisce la pace facendo la guerra"
Nel 2010 va a trovarla a casa accompagnato dai mediatori. Il Franco che lei si aspettava era diverso da quello che si è trovata davanti. “Mi aspettavo un guerriero, un uomo pericoloso, indifferente al nostro dolore, come li avevo visti quando andavo a testimoniare. Immobile, stereotipato mostruoso, un fantasma. E invece vi siete resi conto anche voi di che persona è, piena di umanità, con un percorso coraggioso e doloroso. Il che non toglie niente di quello che lui è stato allora. Quello di trent’anni prima è stato una cosa, quello di adesso è un’altra". Lo dice lei di lui. Lei che all'inizio non ha subito accettato la proposta di aderire a un percorso di mediazione. "La giustizia riparativa non sana l'irreparabile, non mi ridarà mai papà". Ma sana da quelle che lei chiama scorie radioattive: disumanizzazione, immobilità, silenzio.
Agnese Moro: “L’incontro mi fa tornare a respirare”
"In carcere abbiamo 160 persone in media, e tutte cercano di riparare il male commesso. Nessuno ci riuscirà mai, perché, come diceva Agnese prima, ciò che rotto e rotto. Tutte le attività che si fanno sono volte a tirar fuori la parte positiva che ognuno di loro ha, fargliela vedere e fargliela riconoscere. Perché la sentenza, gli atti, le cose scritte gli fanno vedere solo quelle negativa", ha spiegato la direttrice del carcere di Rimini, Palma Mercurio, condividendo anche una sua esperienza personale e familiare che tanto fa cepire se si parla di "riparare" persone.