Walter Vitali, il referendum sulle paritarie è un ritorno alla guerra fredda
Era quasi inevitabile che accadesse: a Rimini c’è chi comincia a parlare (vedi Galvani della FdS) di un referendum per togliere i contributi alle scuole paritarie dell’infanzia. Possono essere solo chiacchiere in libertà se il referendum di Bologna del prossimo 26 maggio si concluderà con la vittoria di chi vuole confermare la convenzione con le paritarie. Se invece dovessero vincere quanti combattono la parità, un effetto domino è purtroppo prevedibile, anche perché adesso queste frange minoritarie della sinistra possono saldarsi con il vetero-statalismo dei grillini.
Quanto succederà a Bologna avrà quindi un indubbio valore nazionale. E lo fanno capire anche le parole dell’ex sindaco Walter Vitali che è, per dirla con un termine giuridico, una persona informata sui fatti. È stata una giunta da lui presieduta che nel 1993, giusto vent’anni fa, fece la scelta storica di rispondere alla domanda di scuola per l’infanzia anche con la partecipazione delle scuole che allora si chiamavano private e che oggi, dopo la legge 62 del 2000, sono diventate paritarie.
“Nel 1993 – racconta Vitali – decisi di avviare un confronto con il mondo cattolico di Bologna su vari temi, tra cui anche la scuola. Volevo superare certe contrapposizioni. Non andavo alla ricerca di voti, avevamo una solida maggioranza, la mia era una ricerca culturale”. Vitali ricorda che in città c’erano già esperienze di integrazione pubblico-privato in altri settori, sport, servizi sociali, sanità. “Sulla scuola no, quello era un terreno minato, teatro di scontri fra maggioranza e opposizione democristiana”.
Vitali decise di cambiare musica. “Non pensammo mai di dare semplicemente dei contributi alle scuole private. Realizzammo da subito un sistema pubblico di istruzione, dove all’ente pubblico è demandato il compito di fissare determinati standard di qualità. All’interno di questo sistema, hanno pari dignità le scuole statali e comunali e le scuole gestite dai privati”. Ed è la situazione che vogliono cancellare i promotori del referendum. “Sono mossi dall’idea – afferma Vitali – che sia pubblico solo ciò che è gestito direttamente da un ente pubblico. Questa è un’idea arcaica, anacronistica, da anni Cinquanta. È contraria allo spirito e alla lettera della Costituzione. Si invoca il famoso articolo 33, “senza oneri per lo Stato”, ma si dimentica che quel comma significa solo che non c’è obbligo di finanziamento da parte dello Stato, non pone un divieto. Tanto è vero che tutti i ricorsi al Tar e alla Corte Costituzionale si sono conclusi con la sconfitta dei proponenti. Inoltre oggi c’è l’art.118 della Costituzione che ha introdotto il principio di sussidiarietà. Dico ancora di più: l’identificazione pubblico uguale a statale è contrario allo spirito del tempo, è il ritorno ad uno statalismo che non ha più senso. Non è più l’epoca della crescita della tassazione per garantire i servizi a tutti. È davanti a tutti come l’eccesso di imposizione fiscale finisca per far crescere apparati pubblici e burocratici non più sostenibili. La nostra è l’epoca dello Stato o del Comune leggero, che si limita a indirizzare e non a gestire”.
L’ultima arma dei referendari sembra essere quella economica: in tempi di crisi non si possono dare soldi alle private. “Anche su questo terreno si dicono cose non vere. – ribatte Vitali – Dove starebbe il danno per le finanze pubbliche? Le scuole comunali rispondono al 60 per cento della domanda, il Comune spende 35 milioni, 6.900 euro a bambino. Alle paritarie private, che coprono il 21 per cento della domanda, il Comune dà un milione, cioè 600 euro ad alunno. Se i referendari vincessero, il Comune non potrebbe mai rispondere alla domanda che resterebbe senza servizio, si alimenterebbero le liste di attesa. Molte scuole private dovrebbero chiudere e questo è un male perché il pluralismo scolastico è un valore”.
Vitali osserva anche che lo stesso quesito referendario è capzioso, tale da poter indurre all’errore “perché accredita l’idea che ci siano risorse da dare a qualcuno e si chiede a chi devolverle”. “Se si voleva aprire un dibattito su questi temi – aggiunge – c’erano altri strumenti. Non si fanno test politici sulla pelle delle scuole. Questo referendum ci fa tornare alla guerra fredda, è una regressione grave”.
Valerio Lessi