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Davanti a un nuovo periodo di guadagni, la volontà di privatizzare tentenna

Giovedì, 17 Aprile 2014

7bDavanti a un nuovo periodo di guadagni, la volontà di privatizzare tentenna

 

C’è un equivoco di fondo che soggiace al dibattito sulla privatizzazione di Rimini Fiera e che puntualmente è riemerso anche in occasione della conferenza stampa del presidente Lorenzo Cagnoni sul business plan del prossimo triennio.

 
L’equivoco sta nel fatto di pensare alla privatizzazione come risposta ai problemi finanziari del momento. Poiché il bel castello del sistema fieristico-congressuale di Rimini rischia di crollare rovinosamente sotto i debiti contratti per costruire il palacongressi, a questa disastrosa eventualità si risponde mettendo sul tavolo l’ipotesi privatizzazione. Ben vengano i privati, se ci salvano dai debiti. Da questa considerazione ne deriva una seconda, espressa soprattutto da chi è contrario alla privatizzazione: non è questo il momento di vendere, sarebbe una svendita, ci rimetteremmo.  Il sottinteso a tutte queste considerazioni è che se tutto filasse liscio, ovvero un tranquillo tran tran fra debiti da onorare e utili da incassare, il problema della vendita ai privati nemmeno si porrebbe.


Cagnoni ha annunciato che dal 2017 la Fiera tornerà a distribuire utili ai soci, i quali avranno quindi denaro fresco a disposizione per pagare il mutuo contratto con Unicredit. Poiché si è ricominciato a parlare di vendita ai privati quando si è visto che era impossibile pagare le rate del mutuo, viene quindi meno l’esigenza di privatizzare? I soci pubblici (Comune, Fiera, Camera di Commercio) dovrebbero con assoluta chiarezza rispondere di no.  Non si vende perché si ha l’acqua alla gola, ma si vende perché si è capito, finalmente, che l’epoca del Comune-imprenditore è finita. Ha certamente avuto un senso - positivo - l’intraprendenza del Comune e degli altri soci pubblici per dotare Rimini di un moderno quartiere fieristico. Adesso che l’investimento è realizzato, che la “macchina” è avviata, è bene che i soci pubblici passino la mano ai privati, realizzando un plus valore che può essere opportunamente impegnato per altri investimenti di cui la città ha urgente bisogno. La privatizzazione deve essere una consapevole scelta culturale e politica di una classe politica che decide di scommettere pienamente su di essa. Privatizzare non è una sconfitta o un ripiego, è una scelta che può rivelarsi vincente. Fino ad oggi la classe politica non ha dato questa impressione. Va però in questa direzione la notizia che all’assemblea di Rimini Fiera sarà cancellata la clausola che vuole che la maggioranza delle azioni rimanga sempre in mano pubblica. Se si percorre davvero la strada delle vendita ai privati, bisogna anche accettare l’idea che i privati vogliano la maggioranza. D’altra parte è questo il contenuto del mandato esplorativo che Rimini Congressi aveva affidato qualche me fa al proprio presidente Maurizio Temeroli. Da quel che si sa, la procedura è ancora ai preliminari. Non c’è fretta, purchè non la si trascini alle lunghe con l’obiettivo di vedere come va intanto a finire la partita.


Se si guarda alle scadenze dell’immediato, non c’è da stare allegri. La Provincia “svuotata” e la spending review sulle Camere di Commercio rischiano di far gravare sul Comune tutto l’onere del debito. “La situazione può esser non facilmente sostenibile” ha dichiarato l’assessore al bilancio Gian Luca Brasini. Tradotto: siamo in guai seri. Ma del famoso piano finanziario per il Palacongressi faceva parte anche la vendita dei terreni di via della Fiera. Vendita possibile se si cambia destinazione d’uso: una delibera che deve approvare il consiglio comunale. Con molto ottimismo Cagnoni si disse certo che sarebbe arrivata prima di Natale, siamo a Pasqua e l’obiettivo è spostato a metà maggio. Nel frattempo i mugugni e le divisioni all’interno della maggioranza non sono certo rientrati.


Ciò che si intende dire è che per un po’ la navigazione sarà per forza a vista, ma l’obiettivo strategico degli enti pubblici deve essere comunque la privatizzazione. C’è da augurarsi che ci sia una classe politica all’altezza di questo cambiamento.


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