Rimini e le unioni civili: i diritti non sono questa sceneggiata
Non hanno faticato molto e nemmeno brillato per originalità i due consiglieri comunali di sinistra Fabio Pazzaglia e Savio Galvani nel presentare la loro delibera sull’istituzione del registro delle unioni civili nel Comune di Rimini. Hanno fatto come quegli studenti cui non interessa approfondire un argomento ma semplicemente prendere un buon voto per contrattare la paghetta con i genitori: hanno copiato.
La delibera approvata ieri sera dal consiglio comunale (19 voti a favore e 9 contrari) è infatti la copia esatta di quella approvata due anni fa nella Milano del sindaco Giuliano Pisapia. Hanno copiato proprio tutto, dai ragionamenti che giustificano la necessità del registro ai singoli articoli del regolamento, fino alle parole messe tra virgolette o in grassetto. Un lavoro di copia e incolla che nemmeno il più negligente degli studenti avrebbe fatto in modo così preciso, senza metterci niente di suo.
Un lavoro poco approfondito e tanto approssimativo che giustifica un’impressione, avvalorata anche dal dibattito di ieri sera: ai consiglieri Pazzaglia e Galvani, e a quanti hanno votato la loro proposta, non interessava tanto risolvere un problema, dare una risposta ad un bisogno, quanto innalzare una bandierina sul pennone del Comune: anche a Rimini ci sono le unioni civili, anche a Rimini ci sono questi surrogati di matrimonio per persone dello stesso sesso. Sono contenti i due consiglieri comunali (anche se ora insistono subito per la trascrizione dei matrimoni gay contratti all’estero), è contento il sindaco Gnassi che così può dire di aver rispettato un impegno preso in campagna elettorale; anche Rimini rientra nel panorama istituzionale del politicamente corretto promosso da alcune aree politiche e amplificato dai mass media. Gnassi può andare in giro con una bella coccarda arcobaleno appuntata sul petto, i cattolici suoi alleati mostreranno qualche momentaneo imbarazzo e poi tutto come prima in attesa che qualcuno vada a iscriversi a questo benedetto registro, così da mostrarne la pressante (in)utilità.
A questo proposito, bisogna dire che, già che si erano dati da fare con il copia e incolla, i consiglieri Pazzaglia e Galvani avrebbero potuto riservare le loro attenzioni anche al vademecum per le coppie di fatto che il Comune di Milano ha fatto redigere ad un esperto avvocato. Se lo si legge attentamente, infatti, si scopre che il registro delle unioni civili approvato ieri sera altro non è che un simbolo, una bandiera ideologica, perché i nuovi diritti che il regolamento dovrebbe garantire non sono affatto garantiti per il semplice motivo che a introdurre nuovi diritti può essere solo una legge dello Stato e non una delibera comunale.
La delibera – copiata da Milano - afferma pomposamente che all’interno del Comune l’iscritto ad una unione civile è equiparato ad un parente prossimo. Il vademecum del Comune di Milano spiega che in realtà se il compagno o la compagna vuole chiedere informazioni ai medici o prestare assistenza deve avere una dichiarazione, controfirmata dal notaio, che attesti che lui è autorizzato.
Altro cavallo di battaglia è il tema dell’eredità o della reversibilità della pensione: anche in questo caso il puntuale vademecum del Comune di Milano (redatto a spiegazione della delibera che noi abbiamo testualmente copiato) afferma che non c’è niente da fare: l’iscritto alle unioni civili non eredita e non ha diritto alla pensione di reversibilità. L’elenco potrebbe continuare con tutti gli altri diritti, la musica è sempre la stessa.
L’unico ambito in cui il regolamento vale è quello dei servizi di competenza comunale (casa, asili nido, scuole materne), dove peraltro i diritti delle famiglie monoparentali o delle convivenze ricevono già qualche forma di tutela.
Aggiungiamo che se i solerti consiglieri avessero studiato e faticato un po’ di più, avrebbero evitato di riproporre anche a Rimini un regolamento delle unioni civili che sulle modalità di scioglimento lascia alquanto perplessi. Si insiste tanto sui vincoli affettivi che devono essere tutelati, poi se un partner decide di andarsene, basta che mandi una raccomandata al Comune e chi si è visto si è visto. Sarà poi un impiegato comunale a scrivere al partner che la convivenza è sciolta. Si vuole che un rapporto sia equiparato al matrimonio, ma al momento di scioglierlo ci si guarda bene ad assumersi le responsabilità del matrimonio.
Tutto questo per sottolineare che un discorso è il riconoscimento da parte del Parlamento di alcuni diritti (e su questo c’è un consenso abbastanza ampio), un altro sono le battaglie ideologiche che si conducono al solo scopo di far passare surrettiziamente una istituzione, il matrimonio gay, che proposta sic et simpliciter non avrebbe invece il necessario consenso. Sempre pronti a ragionar di diritti, ma senza le sceneggiate di ieri sera.