Aeroporto di Rimini: guarda un po' che succede in Germania...
Non sappiamo se abbia ragione chi sostiene che dietro le incertezze sulla riapertura dell’aeroporto di Rimini ci siano anche i dubbi di Airiminum sulla sostenibilità economica di uno scalo che proprio in queste settimane (al di là della chiusura forzata per le ragioni note) ha perso gran parte del proprio core business, ovvero i voli provenienti dalla Russia. Adesso ad Ancona atterrano 4 voli settimanali quando nei periodi d’oro i voli su Rimini erano 14 alla settimana. È vero che Airiminum ha annunciato un piano industriale di sviluppo che va oltre i voli dalla Russia. È altrettanto evidente però che in queste settimane la situazione è evoluta velocemente in senso negativo, assottigliando notevolmente lo zoccolo duro di partenza.
A Rimini poi sono ancora acute le ferite provocate dal fallimento di Aeradria, aggravate anche dalle gravi accuse di reato, perfino l’associazione a delinquere, che la Procura ha formulato a proposito della recente gestione.
Ma guardando anche cosa succede intorno a noi e le ultime direttive dell’Unione europea a proposito degli aiuti di Stato agli aeroporti scopriamo che si basano su presupposti che ci interessano da vicino: la struttura dei costi e la loro indivisibilità si traduce per la maggior parte degli aeroporti con traffico inferiore ad 1 milione di passeggeri all’anno nell’impossibilità di coprire i costi di capitale e in buona parte anche quelli operativi. In Europa sono circa 250 gli scali in queste condizioni. Con la nuova gestione di Airiminum l’aeroporto di Rimini esce definitivamente dalla gestione pubblica per approdare integralmente ad una gestione privata. La considerazione fatta dall’Unione Europea non ci interessa qui principalmente per eventuali aiuti di Stato (che in via transitoria continuano ad essere ammissibili per alcuni anni) quanto perché anche Rimini è un aeroporto al di sotto del milione di passeggeri (la recente gestione del curatore Renato Santini ha sfiorato i 500 mila) e quindi con economie di scala che rendono difficile il pareggio di bilancio. Pur tenendo conto che la gestione Santini, grazie anche alla “colletta” fra imprenditori e istituzioni, ha avuto un saldo positivo, ma si tratta appunto del conto economico di un anno, in condizioni particolari, senza investimenti per lo sviluppo.
Tutto ciò è solo una premessa per scoprire cosa succede in Europa quando un aeroporto di piccole e medie dimensioni si trova ad accumulare deficit. Ne dà conto un rapporto dell’Unioncamere presentato circa un anno fa, ricco di non poche sorprese. Il rapporto si sofferma soprattutto sul caso della Germania, un Paese sempre indicato come esempio di saggia gestione delle finanze pubbliche.
Si prenda per esempio l’aeroporto di Dortmund, 1,8 milioni di passeggeri l’anno. L’aeroporto è posseduto dalla città di Dortmund (26%) e dalla municipalizzata locale (74%), la quale a sua volta è posseduta interamente dalla medesima città di Dortmund. Negli ultimi dieci anni ha perso la bellezza di 20 milioni di euro l’anno. Come ha fatto a sopravvivere? Semplice, con i rincari nelle bollette di energia e gas.
Interessante è anche il caso di un piccolo aeroporto, quello di Erfurt-Weimar, posseduto per il 95% dallo stato di Thürringen e dalla città di Erfurt per il 5%. Stato e città hanno investito dalla riunificazione ad oggi circa 220 milioni di euro e continuano a sostenerlo con 4 milioni di euro all’anno.
L’aeroporto di Leipzig/Halle registra in media 2,3 milioni di passeggeri e perde ogni anno 50 milioni di euro. I soci pubblici (stato e città) sono intervenuti con 71 milioni di euro per favorire la localizzazione dell‘hub logistico di DHL e 350 milioni di euro per la costruzione di una nuova pista.
Lo scalo di Frankfurt ‐ Hahn registra ogni anno 2,8 milioni di passeggeri e rappresenta una delle maggiori basi di Ryanair in Europa. Il socio di maggioranza era un privato che però si è sfilato vendendo le proprie azioni agli enti pubblici al prezzo simbolico di 1 euro. Nell’ultimo triennio ha perso circa 8 milioni di euro all’anno. Lo stato della Renania è intervenuto con un prestito di 14 milioni per evitare l’insolvenza e ha pianificato investimenti fino al 2017 per 120 milioni di euro.
Il gestore privato dell’aeroporto di Niederrhein (2,2 milioni di passeggeri) ha ricevuto fra contributi e prestiti circa 10 milioni di euro dalla provincia, nonché la costruzione del collegamento autostradale. Nonostante l’aeroporto generi dei profitti di gestione, l’investitore privato non è stato in grado di ripagare i prestiti della «Provincia» la quale ha accettato di aumentare la propria quota di possesso dell’aeroporto, anziché la restituzione del debito.
L’esempio tedesco documenta che quando un territorio giudica fondamentale e strategica l’infrastruttura aeroportuale non lesina contributi e non esita ad applicare una tassazione diffusa per sostenerla. La crisi della finanza pubblica in Italia e un livello di tassazione già eccessivo rendono impraticabile una simile prospettiva. Però è anche indubbio che i casi citati gettano una luce nuova sulle difficoltà in cui si è dibattuta Aeradria negli ultimi anni e pongono seri interrogativi sulla reale volontà e/o capacità degli enti pubblici (Regione, Provincia, Comune) di sostenere l’aeroporto di Rimini. Cosa è stato fatto oltre le famose e fumose lettere di patronage che oggi si rivoltano come un boomerang contro chi le aveva sottoscritte?
Lo studio citato dell’Unioncamere rivela altri interessanti elementi di riflessione. Nel 2012, dei 23 aeroporti italiani sotto il milione di passeggeri, Rimini era il secondo in ordine di grandezza, con circa 800 mila passeggeri, venendo solo dopo Trieste e prima di Reggio Calabria, Ancona, Pescara e Forlì. Se dovessero chiudere tutti gli aeroporti con meno di 1 milione di passeggeri ci sarebbe un costo (dovuto agli spostamenti per prendere un aereo) pari a 21,5 milioni di euro. La chiusura di Rimini (in questo momento una realtà) era valutata oltre 5 milioni di euro all’anno. Si dirà che a Rimini interessa soprattutto che i turisti ci arrivino in aereo, ma in realtà questo è stato un limite storico: pensarlo solo per l’incoming e non per l’outgoing.
Lo studio analizza anche la ricchezza portata dai turisti che arrivano in aereo. Curiosamente però indica il dato di Forlì e non quello di Rimini. Comunque nel 2011 i turisti arrivati a Forlì hanno speso 37,5 milioni. Giusto per capire, se ce ne fosse bisogno, cosa significa un aeroporto chiuso.